CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 11 maggio 2015, n. 9462

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 634/2014 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che la rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1273/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/10/2013 R.G.N. 963/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2014 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) venne licenziato, in data 4.4.2012, dalla (OMISSIS) spa per avere, nella conclusione di un contratto di leasing, consentito pratiche commerciali contrarie alle procedure aziendali, esponendo la Societa’ datrice di lavoro al rischio di incorrere in inadempimenti ed insolvibilita’, cosa di fatto vendicatasi nella circostanza per il cliente, con conseguenti danni economici. L’impugnazione del licenziamento venne accolta in prime cure, all’esito di opposizione all’ordinanza Legge n. 92 del 2012, ex articolo 1, comma 49, con applicazione della tutela reale.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 22-30.10.2013, rigetto’ il reclamo proposto dalla parte datoriale, ritenendo, per cio’ che ancora qui rileva, quanto segue:

– non poteva essere invocato in sede di gravame il dedotto obbligo di astensione del giudice dell’opposizione, per essere stato la medesima persona fisica che aveva pronunciato l’ordinanza opposta, non essendo stato fatto valere tale vizio in via di ricusazione;

– la mancata allegazione del danno economico, asseritamente conseguente alla contestata violazione delle procedure, non consentiva di valutare il nesso di causalita’ tra l’inadempimento e il danno, rimasto meramente ipotetico;

– il mancato rispetto delle procedure aziendali, senza alcun danno per l’azienda, non integrava in se’ la giusta causa di recesso ai sensi dell’articolo 2219 c.c., ne’ una delle ipotesi dell’articolo 48 CCNL applicato;

– neppure era ravvisabile un giustificato motivo soggettivo, sia avuto riguardo alla gravita’ dell’inadempimento, sia perche’ si era trattato di un unico addebito in una carriera iniziatasi molti anni prima;

– le modifiche di diritto sostanziale della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, introdotte dalla Legge n. 92 del 2012, articolo 1, erano applicabili soltanto ai licenziamenti intimati dopo il 18.7.2012, data,di entrata in vigore della novella legislativa.

Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la (OMISSIS) spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e illustrato con memoria.

(OMISSIS) ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il controricorrente ha eccepito preliminarmente la tardivita’ della notifica del ricorso e il conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata; in particolare ha dedotto che l’atto notificatogli e ricevuto il 14.3.2014, dunque oltre il termine di cui alla Legge n. 92 del 2012, articolo 1, comma 62, era la “copia autentica” di un ricorso gia’ depositato dalla ricorrente presso questa Corte in assenza di preventiva notifica nei termini di legge, tanto che la Cancelleria della Corte d’Appello di Milano aveva rilasciato la certificazione di passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

1.1 Osserva la Corte che, come emerge ex actis, la notifica del ricorso (ai difensori dell’intimato, nel domicilio eletto) e’ stata effettuata a mezzo del servizio postale, con raccomandata spedita il 24.12.2013, dunque nel termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza impugnata (30.10.2013); a fortiori’, era stata dunque richiesta nel rispetto di tale termine la notifica (in data 23.12.2013, come emerge dal cosiddetto timbro cronologico apposto in calce al ricorso); sempre in calce al ricorso e’ stata altresi’ apposta l’annotazione di “Fatto avviso alla cancelleria competente ai sensi di legge”.

Risulta altresi’ ex actis che la suddetta notifica venne richiesta con esatta indicazione del domicilio eletto (“via Cesare Battisti, 19” – Milano), ma che la raccomandata venne inviata dall’Ufficiale Giudiziario al diverso numero civico di “via Cesare Battisti, 9”, il che determino’ il mancato buon fine della notificazione per irreperibilita’ del destinatario (il controricorrente, infatti, – nega di essere stato destinatario di altra notificazione prima di quella ricevuta il 14.3.2014).

Cio’ premesso, l’eccezione deve ritenersi infondata alla luce del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facolta’ e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avra’ effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreche’ la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (cfr, Cass., SU, n. 17352/2009; cfr, altresi’, Cass., SU, n. 10126/2006, nonche’, ex plurimis, Cass., nn. 24702/2006; 6360/2007; 6547/2008; 6846/2010; 21154/2010; 20830/2013).

Infatti la nuova notifica, richiesta il 4.3.2014 (come risulta ex actis), e’ avvenuta in un termine che deve ritenersi, secondo criteri di comune diligenza, ragionevolmente contenuto, avuto riguardo ai tempi necessari per avere cognizione dell’esito negativo della precedente notificazione e per assumere le informazioni al riguardo necessarie.

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di plurime norme di legge (articolo 111 della Costituzione; articolo 51 c.p.c., comma 1, n. 4, e articolo 158 c.p.c.), deducendo che la sentenza di primo grado era stata illegittimamente resa dallo stesso Giudice persona fisica che si era pronunciato nella prima fase del procedimento, ai sensi della Legge n. 92 del 2012, articolo 1, commi 48 e 49; considerata l’applicabilita’ alla fattispecie del principio sancito della Corte Costituzionale con la sentenza n. 387/1999 in tema di repressione della condotta antisindacale, la ricorrente assume che la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare, anche ai sensi dell’articolo 158 c.p.c., la nullita’ della pronuncia di prime cure, stante il non osservato obbligo di astensione del Giudicante, indipendentemente dalla presentazione di un’istanza di ricusazione.

2.1 Premesso che nella fattispecie non ricorre l’ipotesi di un provvedimento emesso da soggetto privo della potestas iudicandi, onde non ricorre l’ipotesi delineata dall’articolo 158 c.p.c., ma piuttosto, viene dedotta la sussistenza di una ragione di incompatibilita’ del giudice persona fisica, riconducibile alla fattispecie di cui all’articolo 51 c.p.c., n. 4, trova applicazione il principio secondo cui il potere di ricusazione costituisce un onere per la parte, la quale, se non lo esercita entro il termine all’uopo fissato dall’articolo 52 c.p.c., non ha mezzi processuali per far valere il difetto di capacita’ del giudice, cosicche’, in mancanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell’obbligo di astenersi non puo’ essere fatta valere in sede di impugnazione come motivo di nullita’ della sentenza (cfr, Cass., SU, n. 3527/2002; nonche’, ex plurimis, Cass., nn. 702/2003; 2664/2004; 12948/2004; 11187/2007).

Con l’ulteriore conseguenza che, nel giudizio di cassazione, e’ manifestamente irrilevante la questione di costituzionalita’ volta ad estendere i casi di astensione-ricusazione del giudice che si e’ pronunciato nei precedenti gradi, non essendovi spazio in tale sede per l’applicazione delle norme della cui legittimita’ costituzionale si dubita (cfr, Cass., n. 3272/2001).

Essendosi la Corte territoriale conformata al surricordato orientamento, il motivo all’esame non puo’ essere accolto.

3. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’articolo 2119 c.c., e Legge n. 604 del 1966, articolo 3, la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia ritenuto la gravita’ dell’inadempimento, ai fini della sussistenza della giusta causa o, in subordine, del giustificato motivo soggettivo, in relazione al particolare vincolo fiduciario che deve sussistere fra la parte datoriale e un soggetto che, per la posizione ricoperta di direzione, controllo e coordinamento dell’intero settore produttivo afferente alle vendite, era tenuto all’osservanza delle procedure e delle regole che egli stesso avrebbe dovuto far rispettare da parte degli altri venditori, essendo stato accertata l’effettiva inosservanza di tali regole.

3.1 La doglianza non puo’ trovare accoglimento, poiche’ non coglie – e non vi contrappone quindi pertinenti considerazioni critiche, in osservanza dell’obbligo di specificita’ dei motivi di ricorso – quelli che sono stati gli snodi fondamentali dell’iter argomentativo che hanno condotto alla ritenuta insussistenza della giusta causa e, con le ulteriori considerazioni gia’ esposte nello storico di lite, del giustificato motivo soggettivo, avendo la Corte territoriale individuato e precisato che:

– nella lettera di contestazione era stata si’ addebitata la violazione delle procedure aziendali, ma la gravita’ di tale violazione era stata considerata dall’azienda proprio valutando il pericolo di insolvenza del cliente “cosa di fatto verificatasi nella circostanza per il cliente, con conseguenti danni economici”;

– tale danno economico non era stato tuttavia allegato nel suo ammontare e, quindi, nel suo esistere in una certa entita’;

– tale mancanza di allegazione del danno non consentiva di risalire a ritroso alla vantazione del nesso di causa fra l’inadempimento addebitato – e non contestato, cosi’ come descritto dal Tribunale – e un danno, che rimaneva meramente ipotetico;

– la parte datoriale non aveva risposto all’obiezione della difesa del lavoratore secondo cui, avendolo la Societa’ incaricato affinche’, nella sua qualita’ di Responsabile Vendite, tentasse di recuperare l’esposizione debitoria di una cliente di euro 526.000,00, egli aveva rinegoziato il debito, ottenendo la quasi totale estinzione dello scaduto precedente e aveva stipulato un nuovo contratto di leasing per gli apparati necessari all’implementazione tecnologica richiesta dalla cliente, ricevendo le congratulazioni scritte da parte del responsabile Customer Care Clienti Top della (OMISSIS) spa per i risultati raggiunti, con espressa richiesta di procedere alla concordata rinegoziazione per garantire migliori risultati.

4. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’articolo 2697 c.c., lamentando che la decisione fosse stata assunta senza dar corso alle prove testimoniali offerte.

4.1 Il motivo, che, pur denunciando un vizio di violazione di legge, si risolve in una doglianza per vizio di motivazione in considerazione della mandata ammissione delle prove offerte, e’ inammissibile per difetto di specificita’, non essendo state indicate, nel loro puntuale contenuto, le prove offerte e non ammesse e, tanto meno, non essendo stata spiegata la natura decisiva delle stesse.

5. Con il quarto motivo, denunciando violazione della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, nel testo inciso dalla Legge n. 92 del 2012, la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia ritenuto l’applicabilita’ alla fattispecie, pur essendo i fatti anteriori all’entrata in vigore della predetta Legge n. 92 del 2012, della disciplina sanzionatoria prevista da quest’ultima.

5.1 La questione sollevata e’ gia’ stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr, Cass., nn. 10550/2013; 301/2014, nonche’ i precedenti ivi richiamati), che l’ha condivisibilmente risolta negando l’applicabilita’ della nuova disciplina sanzionatoria ai rapporti giuridici sorti anteriormente alla nuova disciplina e ancora in corso ed osservando, in particolare, che:

– la circostanza che la Legge n. 92 del 2012, articolo 1, comma 67, preveda l’applicabilita’ delle nuove norme processuali solo alle controversie instaurate dopo l’entrata in vigore della legge stessa non significa, a contrariis, che le nuove norme sostanziali in essa contenute siano applicabili ai licenziamenti anteriormente intimati, ma semplicemente che queste ultime seguono, in assenza di esplicita disposizione contraria, la regola dell’irretroattivita’ sancita dall’ali. 11 delle preleggi, regola a cui puo’ derogarsi soltanto se cio’ e’ espressamente previsto da apposita disposizione di diritto transitorio, che nel caso di specie manca;

– in assenza di un’espressa disposizione derogatoria, il principio dell’irretroattivita’ della legge, previsto dall’articolo 11 preleggi, fa si’ che la nuova legge non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, anche a quelli sorti anteriormente e ancora in vita ove, in tal modo, si disconoscano gli effetti gia’ verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso, come si verifica nell’ipotesi di un licenziamento giudicato illegittimo; – lo ius superveniens e’, invece, applicabile ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorche’ conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se’ stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore. 6. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 4.100,00 (quattromilacento), di cui euro 4.000,00 (quattromila) per compenso, oltre spese generali 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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