Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 1 marzo 2017, n. 5286

La previsione legislativa di una concorsualità per le assunzioni nei pubblici uffici impedisce la conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, dal momento che l’automatica trasformazione del rapporto inter partes finirebbe per eludere le garanzie predisposte dall’obbligo del concorso a tutela dell’interesse pubblico

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 1 marzo 2017, n. 5286

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere

Dott. GHINOY Paola – Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11092/2013 proposto da:

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 141/2012 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 21/04/2012 R.G.N. 284/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/12/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO

Con sentenza depositata il 21.4.2012, la Corte d’appello di Cagliari – sez. distaccata di Sassari, in parziale riforma della statuizione del primo giudice, rigettava la domanda di (OMISSIS) volta alla conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato del contratto a termine stipulato con (OMISSIS) (oggi (OMISSIS) s.p.a.) per il periodo 19.7.2004-8.11.2004, poi prorogato fino al 18.4.2005, e condannava l’azienda a risarcire il danno patito dal lavoratore, che liquidava in 2,5 mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita.

La Corte, in particolare, riteneva che i contratti stipulati con l’azienda appellante, che all’epoca dei fatti era ente pubblico economico preposto ai trasporti regionali della Sardegna, non fossero suscettibili di essere convertiti in rapporti a tempo indeterminato, ostandovi da un lato la previsione della Legge Regionale Sardegna n. 16 del 1974, articolo 23 e dall’altro il combinato disposto del Decreto Legge n. 702 del 1978, articolo 5 (conv. con L. n. 3 del 1979), e della L. n. 153 del 1980, articolo 8 e – sul presupposto incontroverso che l’apposizione del termine fosse viziata di nullita’ – condannava l’azienda a risarcire i danni al lavoratore appellato in applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 32.

Contro tali statuizioni ricorre (OMISSIS) con cinque motivi. (OMISSIS) s.p.a. resiste con controricorso, illustrato con memoria.

DIRITTO

Con il primo motivo, parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della Legge Regionale Sardegna n. 16 del 1974, articolo 23, dell’articolo 117 Cost. e della L. Cost. n. 3 del 1948, recante approvazione dello Statuto speciale della Regione Sardegna, nonche’ subordinatamente l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 23 cit., per contrasto con gli articoli 3 e 117 Cost. e con la L. Cost. n. 3 del 1948, per avere la Corte di merito ritenuto che l’assunzione alle dipendenze di (OMISSIS) dovesse avvenire necessariamente per pubblico concorso, con conseguente insuscettibilita’ di conversione dei contratti a termine stipulati illegittimamente con essa.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del Decreto Legge n. 702 del 1978, articolo 5 (conv. con L. n. 3 del 1979), nonche’ della L. n. 142 del 1990, articoli 23 e 25, per avere la Corte territoriale ritenuto l’applicabilita’ ad un’azienda pubblica regionale della prima delle disposizioni citate al fine di dedurne la nullita’ delle assunzioni disposte in deroga all’obbligo del concorso.

Con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del Decreto Legge n. 702 del 1978, della Legge Regionale Sardegna n. 16 del 1974 e del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, per avere la Corte di merito ritenuto che soltanto la verifica della legittimita’ dell’apposizione del termine dovesse essere condotta alla stregua di tale ultima disciplina, ricadendo invece le conseguenze dell’accertamento della nullita’ della stipulazione sotto l’imperio del Decreto Legge n. 702 del 1978 e della Legge Regionale Sardegna n. 16 del 1974.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 32, anche in relazione alla L. n. 604 del 1966, articolo 8, per avere la Corte territoriale ritenuto che la disposizione citata prevedesse una sanzione dissuasiva, a termini dell’ordinamento comunitario, rispetto all’utilizzo abusivo della stipulazione a termine.

Da ultimo, con il quinto motivo, parte ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 32, in relazione agli articoli 1218, 1219, 1223, 1224, 1225 e 1226 c.c., nonche’ per vizio di motivazione, per avere la Corte di merito liquidato il risarcimento del danno nella misura minima di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32.

Cio’ posto, i primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante l’intima connessione delle censure svolte, e sono infondati.

Va premesso che la Legge Regionale Sardegna n. 16 del 1974, articolo 23, stabilisce espressamente che, fatta eccezione per gli speciali casi contemplati dal precedente articolo 22, che qui non vengono in rilievo, “il personale dell'(OMISSIS) e’ assunto esclusivamente mediante concorso pubblico”.

Si tratta di una limitazione delle modalita’ di accesso all’impiego che, oltre ad apparire coerente con analoghe disposizioni gia’ previste per i comuni, i consorzi e le rispettive aziende dal Decreto Legge n. 702 del 1978, articolo 5 (conv. con L. n. 3 del 1979), nonche’ per le societa’ che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica dal Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 18 (conv. con L. n. 133 del 2008), ed ancora, da ultimo, per le societa’ a partecipazione pubblica dal Decreto Legislativo n. 175 del 2016, articolo 19, trova la sua ratio nel principio costituzionale di buona amministrazione degli uffici pubblici (articolo 97 Cost.), che collega la regola del concorso non tanto alla natura giuridica pubblica o privata del rapporto di lavoro, quanto piuttosto alla natura “sostanzialmente pubblica” della persona giuridica alle cui dipendenze esso si costituisce (cfr. in tal senso Corte Cost. nn. 29 del 2006, 52 e 68 del 2011), nel senso che il soggetto che figura quale datore di lavoro, indipendentemente dalla forma con cui opera nel mondo giuridico, imputa alla finanza pubblica i risultati della sua attivita’ (cfr. Corte Cost. n. 466 del 1993). E se e’ vero che, proprio per cio’, tale disposizione non e’ nemmeno sospettabile di violare la competenza esclusiva statale in materia di “ordinamento civile”, di cui all’articolo 117 Cost., comma 2, lettera l), giacche’ non puo’ in alcun modo dirsi volta ad introdurre limitazioni alla capacita’ di agire delle persone giuridiche private (cfr. ancora Corte Cost. n. 29 del 2006, che sulla scorta di tali argomenti ha dichiarato non fondata la questione di legittimita’ costituzionale della Legge Regionale Abruzzo n. 23 del 2004, articolo 7, comma 4, lettera f), che prevede che le societa’ a capitale interamente pubblico, affidatarie del servizio pubblico, sono obbligate al rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l’assunzione di personale dipendente), non e’ meno vero che l’effetto precipuo di codesta limitazione all’accesso all’impiego consiste nell’impossibilita’ che gli eventuali contratti a tempo determinato che siano stati illegittimamente stipulati con (OMISSIS) possano essere convertiti in rapporti di lavoro a tempo indeterminato: la previsione legislativa di una concorsualita’ per le assunzioni non puo’ infatti che impedire la conversione, dal momento che l’automatica trasformazione del rapporto precorso inter partes finirebbe per eludere le garanzie predisposte dall’obbligo del concorso a tutela dell’interesse pubblico (cfr. in tal senso Cass. nn. 11163 del 2008, 1308 del 2013 e, da ult., Cass. S.U. n. 4685 del 2015, in motivazione).

Va semmai aggiunto che la disposizione della Legge Regionale Sardegna n. 16 del 1974, articolo 23, nella misura in cui reca logicamente in se’ la norma relativa all’impossibilita’ di conversione dei contratti a termine illegittimamente stipulati con (OMISSIS), con cio’ introducendo una difformita’ di trattamento rispetto alla sanzione generale della conversione di cui al Decreto Legislativo n. 368 del 2001, non appare nemmeno suscettibile di violare l’articolo 3 Cost., avendo la Corte costituzionale gia’ precisato, con riferimento all’analoga norma contenuta nel Testo Unico n. 165 del 2001, articolo 36, che tanto e’ da escludersi in ragione della copertura costituzionale apprestata dall’articolo 97 Cost., al principio dell’accesso all’impiego mediante concorso (Corte Cost. n. 89 del 2003), da ritenersi forma generale e ordinaria di reclutamento per le figure soggettive pubbliche (nel senso anzidetto), a presidio delle esigenze di imparzialita’ e di efficienza dell’azione amministrativa (Corte cOst. n. 363 del 2006). Ed egualmente e’ a dirsi rispetto alla direttiva comunitaria 1999/70/CE, rilevante come tertium comparationis rispetto a possibili violazioni degli articoli 11 e 117 Cost., avendo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea chiarito che spetta alle autorita’ nazionali adottare misure adeguate per far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a termine e che queste ultime possono essere anche diverse dalla conversione del rapporto a tempo indeterminato, purche’ rispettino i principi di equivalenza e siano sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l’efficacia delle norme adottate in attuazione dell’Accordo quadro recepito dalla direttiva cit. (v. da ult. C. Giust. UE, 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia; Id., 7 settembre 2006, C-53/03, Marrosu e Sardino; Id., 7 settembre 2006, C-180/04, Vassallo; Id., 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler).

Corretta negli anzidetti termini la motivazione della sentenza impugnata, dovendosi ritenere estranei all’odierna materia del contendere i riferimenti in essa contenuti al Decreto Legge n. 702 del 1978, articolo 5 e L. n. 153 del 1980, articolo 8, sono parimenti infondati il quarto e il quinto motivo, con i quali, come detto, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia dato in specie applicazione alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, liquidandogli i danni patiti nella misura minima prevista dalla disposizione citata.

Va premesso, al riguardo, che le Sezioni Unite questa Corte, con riferimento all’analoga norma del Testo Unico n. 165 del 2001, articolo 36, hanno gia’ avuto modo di chiarire che nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione, il pregiudizio economico oggetto di risarcimento non puo’ essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest’ultima, infatti, e’ esclusa per legge e trattasi di esclusione affatto legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari (Cass. S.U. n. 5072 del 2016).

Piuttosto, considerato che l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno, che sara’ normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, le Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, consente pro tanto al lavoratore di essere esonerato dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori (cfr. ancora Cass. S.U. n. 5072 del 2016, in motivazione).

Considerato che tali principi possono senz’altro estendersi, da un punto di vista soggettivo, alle fattispecie in cui la conversione non puo’ operare in ragione della natura pubblica in senso sostanziale del soggetto che figura quale datore di lavoro e, da un punto di vista oggettivo, alla fattispecie dell’unico contratto prorogato, non essendo seriamente dubitabile che sussistano al riguardo le medesime esigenze di prevenire gli abusi che hanno ispirato il legislatore comunitario, ne deriva che la sentenza impugnata (che ha debitamente motivato la determinazione del risarcimento nella misura minima “in relazione alla durata complessiva del rapporto”) resiste alle censure mossele con il quarto e il quinto motivo, non potendo, per un verso, darsi ingresso alla pretesa di parametrare il danno a quello subito da un lavoratore licenziato e non avendo, per altro verso, parte ricorrente nemmeno baluginato danni ulteriori rispetto a quelli forfetariamente riconosciutile.

Il ricorso, pertanto, va rigettato. La novita’ e complessita’ della questione, che sotto piu’ profili rientra nel contrasto giurisprudenziale che ha originato l’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, suggerisce la compensazione delle spese del giudizio di legittimita’. Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono invece i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13 , comma 1-bis

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