Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 5 marzo 2018, n. 5066. Ai fini del riconoscimento della malattia professionale

Ai fini del riconoscimento della malattia professionale, l’Inail deve valutare anche lo stress da organizzazione lavorativa, nel caso la patologia sarebbe derivata da un eccesso di straordinari.

Ordinanza 5 marzo 2018, n. 5066
Data udienza 14 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18515/2012 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, C.F. ((OMISSIS)) in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso io studio degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che lo rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 163/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 07/04/2012 R.G.N. 449/2011;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte trasmesse in cancelleria il 13 novembre 2017.

RITENUTO IN FATTO

che con sentenza n. 163/2012, la Corte d’Appello di Brescia ha rigettato il gravame, proposto da (OMISSIS), dipendente de (OMISSIS) S.p.a., contro la sentenza con la quale era stata respinta la sua domanda di condanna dell’Inail al pagamento della rendita per inabilita’ permanente in relazione alla malattia professionale da lei contratta a causa dello stress lavorativo dovuto ad un numero elevatissimo di ore di lavoro straordinario e consistente in un grave disturbo dell’adattamento con ansia e depressione;

che a fondamento della sentenza la Corte d’Appello, mentre confermava l’esistenza, la natura e le cause della malattia professionale denunciata dalla ricorrente (consistente appunto in un disturbo dell’adattamento e stato depressivo con attacchi di panico), sosteneva tuttavia che la malattia non sarebbe stata indennizzabile dall’Inail perche’ non rientrava nell’ambito del rischio assicurato ex articolo 3 Testo Unico 1124 del 1965 che riguardava solo le malattie professionali tabellate o non tabellate, contratte nell’esercizio ed a causa delle lavorazioni specifiche previste in tabella;

che, secondo la Corte d’appello, la malattia in discorso era correlata a scelte di organizzazione del lavoro in ambito aziendale che non sono considerate rischio assicurato dal TU e che non risultavano suscettibili di incidere sulla determinazione del premio dell’assicurazione obbligatoria, che come in qualsiasi contratto di assicurazione, copriva, per evidenti esigenze di corrispettivita’, soltanto i rischi considerati;

che non era pertinente il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale numero 179/1988, poiche’ non si trattava di garantire la copertura assicurativa a patologie che non fossero espressamente contemplate nelle tabelle allegate al testo unico, ma che fossero comunque in nesso causale con i fattori di rischio indicate dalla tabelle medesime; ma si trattava invece della domanda di tutela per una patologia il cui rischio non era coperto dall’assicurazione obbligatoria;

che la Corte territoriale riteneva percio’ di dover condividere la sentenza n. 1576/2009 del Consiglio di Stato, non tanto perche’ fosse vincolante nell’interpretazione della normativa in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, quanto perche’ erano condivisibili i principi di diritto sui quali essa si fondava e perche’ la sentenza aveva reso definitivo l’annullamento della circolare dell’Inail che aveva contemplato come malattie professionali le patologie da costrittivita’ organizzativa, ma anche statuito l’annullamento del decreto ministeriale del 7 aprile 2004, che aveva esteso alle malattie psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro l’oggetto della assicurazione, in assenza e in contrasto con gli articoli 1 e 3 del testo unico; ne’, per gli stessi motivi, la Corte territoriale riteneva di poter fare applicazione del successivo decreto ministeriale del gennaio 2008 che riproponeva (gruppo 7 lista II), quali patologie a possibili cause lavorative, le medesime malattie psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro;

che contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) con un unico articolato motivo, illustrato da memoria, col quale denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2087 c.c., del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articoli 3 e 211, del Decreto Legislativo n. 38 del 2000, articolo 10, comma 4, del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 28, dell’Accordo Quadro Europeo dell’8/10/2004 e dell’Accordo interconfederale del 9 giugno 2008, nonche’ violazione dell’articolo 445 c.p.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3); e lamenta inoltre l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5); e cio’ per avere la Corte d’appello negato l’indennizzabilita’ della malattia professionale non tabellata di natura psichica dipendente dal cosiddetto stress lavorativo, anche in base al vigente Decreto Ministeriale gennaio 2008 non annullato dalla sentenza n. 1576/2009 del Consiglio di Stato;

che l’INAIL si e’ costituito in giudizio con controricorso nel quale pur sostenendo l’inammissibilita’ del ricorso per l’irrilevanza delle censure, contestava tuttavia la motivazione ed il decisum della sentenza del Consiglio di Stato n.1576/2009 e della conforme interpretazione adottata dalla Corte territoriale in relazione all’articolo 3 del testo unico n. 1124/1965 nel testo formulato dopo l’arresto della Corte Costituzionale di cui alla sentenza n. 179/1988 ed in particolare per aver la Corte d’appello affermato testualmente (pag. 5 della sentenza) che fosse “da escludere che l’assicurazione obbligatoria possa coprire patologie che non siano correlati a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle o in disposizioni legislative o regolamentari”, rigettando sulla base di tale presupposto la domanda della signora (OMISSIS);

che il procuratore generale ha depositato in data 13.11.2017 le proprie osservazioni con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il ricorso e’ fondato, risultando per contro la decisione impugnata non in linea con l’ordinamento vigente e con la costante e coerente evoluzione impressa da questa Corte di legittimita’ – cui e’ riservata dall’ordinamento l’esercizio della funzione di nomofilachia – al concetto di rischio tutelato ex articolo 1 del TU, richiamato, ai fini delle malattie professionali, dal successivo articolo 3;

che, invero, secondo un risalente e consolidato orientamento giurisprudenziale, in materia, rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa: come questa Corte ha affermato in svariate occasioni (per le attivita’ prodromiche, per le attivita’ di prevenzione, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche, le attivita’ sindacali) ex articolo 1 TU in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. 13882/16, Cass.7313/2016, Cass. 27829/2009; Cass. 10317/2006, Cass. 16417/2005, Cass.7633/2004, Cass.3765/2004, Cass. 131/1990; Cass. 12652/1998, Cass. 10298/2000, Cass. 3363/2001, Cass. 9556/2001, Cass.1944/2002, Cass.6894/2002, Cass.5841/2002″ Cass. 5354/2002);

che lo stesso orientamento e’ stato riaffermato, a proposito dell’art.3 TU e delle malattie professionali, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa e’ stata estesa alla malattia riconducibile all’esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, situazione ritenuta meritevole di tutela ancorche’, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in se’ e per se’ considerata (come “rischio assicurato”), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell’esecuzione di un lavoro all’interno di un determinato ambiente;

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