Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 3 gennaio 2018, n. 22. L’errore di fatto previsto dall’articolo 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione

L’errore di fatto previsto dall’articolo 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realta’, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attivita’ valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettivita’; l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilita’, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non puo’ consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’ errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5; esso presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreche’ la realta’ desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio; ne consegue che non e’ configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico o siano frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilita’ di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione

Ordinanza 3 gennaio 2018, n. 22
Data udienza 21 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7982-2017 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L. C.F.(OMISSIS), in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 19316/2016 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 29/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/11/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

RILEVATO

che:

1. questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 19316 del 2016 rigettava il ricorso proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna che aveva confermato la legittimita’ del licenziamento intimatogli dalla (OMISSIS) s.r.l. per superamento del periodo di comporto;

2. (OMISSIS) propone ricorso per revocazione ai sensi dell’articolo 391 bis c.p.c. e articolo 395 c.p.c., n. 4. Sostiene che la sentenza sarebbe frutto di un errore di fatto risultante dai documenti della causa, essendosi supposta l’esistenza della malattia posta a fondamento delle assenze, mentre le stesse erano state determinate dalla necessita’ di prestare assistenza alla moglie, gravemente infortunata;

3. la (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso, nel quale ha chiesto la condanna di controparte al risarcimento del danno per responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c.;

4. il (OMISSIS) ha depositato memoria ex articolo ex articolo 380 bis c.p.c., comma 2;

5. il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

CONSIDERATO

che:

1. questa Corte ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’articolo 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realta’, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che. dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attivita’ valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettivita’; l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilita’, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non puo’ consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’ errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5; esso presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreche’ la realta’ desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio; ne consegue che non e’ configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico o siano frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilita’ di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (v. tra le altre, da ultimo, Cass. 03/04/2017 n. 8615, ed i precedenti ivi richiamati);

2. nel caso in esame, questa Corte non ha ignorato l’inesistenza della malattia posta a fondamento delle assenze, ma l’ha considerata irrilevante, affermando che “quale che sia la ragione dell’assenza, quel che rileva ai fini del rapporto di lavoro subordinato e’ che essa sia giustificata; se nella specie l’assenza del lavoratore venne ritenuta giustificata per malattia, che il lavoratore stesso ebbe a richiedere, e se anche il periodo di ferie, successivamente richiesto ed accordato dal datore di lavoro (cui, non. puo’ dunque addebitarsi alcuna scorrettezza o uso improprio dell’istituto della malattia, rientrando peraltro le ferie tra i diritti riconosciuti al lavoratore subordinato secondo le modalita’ stabilite dalla legge e dal c.c.n.l.), giunse a scadenza, non risulta censurabile la ritenuta legittimita’ del licenziamento a causa dell’ulteriore prolungarsi dell’assenza dal lavoro, a quel punto priva di giustificazioni”.

Si ricava quindi dalla lettura della motivazione che questa Corte ha avallato la sentenza che aveva ritenuto costituire legittima causa di recesso 1′ ingiustificata protrazione dell’assenza, oltre i termini del comporto per malattia e delle successive ferie, a prescindere dall’effettivita’ della prima;

3. in tal senso il ricorso, piuttosto che prospettare un errore della Corte di cassazione, chiede una rivisitazione delle conclusioni cui essa e’ giunta nella valutazione del percorso argomentativo compiuto dalla Corte di merito, valutazione che esorbita dai limiti entro i quali puo’ essere operato il sindacato in sede di ricorso per revocazione;

4. il ricorso risulta quindi inammissibile ex articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 1, sicche’ il Collegio ritiene di confermare con ordinanza in camera di consiglio la proposta formulata dal relatore ex articolo 380 bis c.p.c.;

5. quanto alla domanda proposta ex articolo 96 c.p.c., comma 1, si rileva che non ne sussistono i presupposti, considerato che il carattere temerario della lite, che costituisce presupposto della condanna al risarcimento dei danni, va ravvisato nella coscienza della infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta consapevolezza, non gia’ nella mera opinabilita’ del diritto fatto valere (Cass. 09-02-2017, n. 3464, Cass. 0507-2017, n. 16482);

6. non rileva il fatto che il ricorrente abbia successivamente proposto autonomo ricorso di impugnativa del medesimo licenziamento davanti al Tribunale di Genova, considerato che l’azione di risarcimento dei danni ex articolo 96 c.p.c. non puo’, di regola, esercitarsi in un giudizio separato ed autonomo rispetto a quello da cui la responsabilita’ stessa ha origine, salvo che la sua proposizione sia stata preclu’sa per l’evoluzione propria dello specifico processo da cui detta responsabilita’ e’ scaturita, ovvero per ragioni non dipendenti dalla inerzia della parte (v. Cass. civ. Sez. 1, 20-05-2016, n. 10518);

7. la regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza del ricorrente (non potendo giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’articolo 92 c.p.c. il rigetto della domanda, meramente accessoria, ex articolo 96 c.p.c., v. Cass. n. 9532 del 12/04/2017);

8. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto Legislativo n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo linificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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