Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 19 febbraio 2018, n. 3977. Riconosciuto nei confronti di una insegnante il risarcimento per straining

segue pagina antecedente
[…]

2. la seconda critica, formulata sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1218, 2043, 2059, 2087 e 2697 c.c. perche’, in presenza di una categoria sconosciuta alla dottrina e dalla giurisprudenza, i giudici del merito avrebbero quantomeno dovuto fornire una giustificazione della scelta di dare rilevanza giuridica allo straining e non limitarsi ad aderire acriticamente alle conclusioni espresse dal CTU;
3. la medesima rubrica il Ministero antepone alla terza censura, con la quale contesta la valutazione espressa dalla Corte territoriale sulla natura vessatoria degli atti posti in essere dal dirigente scolastico ed evidenzia che quest’ultimo, in presenza di una riscontrata inefficienza del servizio, del tutto ragionevolmente aveva ritenuto di utilizzare altra dipendente che potesse garantire in modo adeguato lo svolgimento delle mansioni amministrative;
4. la violazione delle norme sopra richiamate e’ denunciata anche con il quarto motivo, che censura la sentenza gravata per avere acriticamente recepito le conclusioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio il quale, erroneamente, aveva ritenuto di dovere equiparare l’accertamento e la quantificazione dei pregiudizi derivanti dallo straining a quelli cagionati da mobbing;
5. i motivi di ricorso, che per la loro stretta connessione logico-giuridica possono essere unitariamente trattati, sono infondati per le ragioni gia’ esposte da questa Corte con la sentenza n. 3291 del 19 febbraio 2016, pronunciata in fattispecie non dissimile da quella oggetto di causa;
5.1. con la richiamata decisione si e’ premesso che il vizio di ultra o extra petizione ricorre solo qualora il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, non gia’ allorquando venga diversamente qualificata la domanda o vengano poste a fondamento della pronuncia considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate dalle parti;
5.2. si e’, quindi, evidenziato che non integra violazione dell’articolo 112 c.p.c. l’avere utilizzato “la nozione medico-legale dello straining anziche’ quella del mobbing” perche’ lo straining altro non e’ se non ” una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuita’ delle azioni vessatorie..” azioni che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all’integrita’ psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’articolo 2087 c.c.;
5.3. al principio di diritto enunciato il Collegio intende dare continuita’ perche’ dell’articolo 2087 c.c. questa Corte ha da tempo fornito un’interpretazione estensiva, costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignita’ umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli articoli 32, 41 e 2 Cost.;
5.4. l’ambito di applicazione della norma e’ stato, quindi, ritenuto non circoscritto al solo campo della prevenzione antinfortunistica in senso stretto, perche’ si e’ evidenziato che l’obbligo posto a carico del datore di lavoro di tutelare l’integrita’ psicofisica e la personalita’ morale del prestatore gli impone non solo di astenersi da ogni condotta che sia finalizzata a ledere detti beni, ma anche di impedire che nell’ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo la salute e la dignita’ della persona;
5.5. la responsabilita’ del datore di lavoro ex articolo 2087 c.c. sorge, pertanto, ogniqualvolta l’evento dannoso sia eziologicamente riconducibile ad un comportamento colposo, ossia o all’inadempimento di specifici obblighi legali o contrattuali imposti o al mancato rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede, che devono costantemente essere osservati anche nell’esercizio dei diritti;
5.6. a detti principi di diritto si e’ correttamente attenuta la Corte territoriale che ha ritenuto sussistente la responsabilita’ del Ministero in quanto la (OMISSIS) era stata oggetto di azioni ostili, puntualmente allegate e provate nel giudizio di primo grado, consistite nella privazione ingiustificata degli strumenti di lavoro, nell’assegnazione di mansioni non compatibili con il suo stato di salute ed infine nella riduzione in una condizione umiliante di totale inoperosita’ (pag. 8 della sentenza impugnata);
5.7. il ricorso, nella parte in cui censura la valutazione della prova testimoniale e della consulenza tecnica d’ufficio e’ inammissibile perche’, pur denunciando la violazione delle norme di legge richiamate nella rubrica dei motivi, tende a sollecitare una diversa valutazione delle risultanze processuali e, quindi, un giudizio di merito non consentito alla Corte di legittimita’;
6. la mancata costituzione della (OMISSIS) esime dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’;
6.1. non sussistono le condizioni richieste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, perche’ la norma non puo’ trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *