Corte di Cassazione, sezione lavoro, dentenza 10 ottobre 2016, n. 20327

In caso di appalto pubblico il Comune non è responsabile per il mancato pagamento di un lavoratore da parte dell’appaltatore

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

dentenza 10 ottobre 2016, n. 20327

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17683/2015 proposto da:
COMUNE DI TORINO, C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, PRESSO LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, giusta delega in atti;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) S.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 233/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 24/04/2015 R.G.N. 655/14;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/06/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza del locale Tribunale che, accogliendo la domanda di (OMISSIS), aveva condannato la (OMISSIS) s.r.l. ed il Comune di Torino, con vincolo solidale fra loro, al pagamento in favore del ricorrente della complessiva somma di Euro 12.409,07 dovuta a titolo di retribuzione diretta, indiretta e differita per il periodo 1 agosto 2012/6 maggio 2013, durante il quale il (OMISSIS) aveva prestato attivita’ lavorativa in favore della s.r.l. per l’esecuzione di opere a quest’ultima appaltate dall’ente locale.
2 – La Corte territoriale ha ritenuto applicabile alla fattispecie il Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 29, comma 2, e, ritenendo non condivisibile il principio di diritto affermato da questa Corte con sentenza n. 15432 del 2014, ha osservato che:
a) l’articolo 1, comma 2, del richiamato decreto legislativo esclude la applicabilita’ alle pubbliche amministrazioni delle sole disposizioni volte a regolare il rapporto di lavoro vero e proprio e, quindi, non puo’ essere invocato per affermare la inapplicabilita’ agli enti pubblici non economici della responsabilita’ solidale del committente;
b) non e’ decisivo a tal fine il tenore dell’articolo 29, comma 1, con il quale il legislatore ha dettato i criteri distintivi fra appalto privato e somministrazione, poiche’ nel secondo comma non e’ richiamato l’articolo 1655 c.c., sicche’ il termine “appalto” ivi utilizzato ben puo’ ricomprendere anche l’appalto pubblico, non escluso espressamente dalla disposizione;
c) solo con il Decreto Legge n. 76 del 2013, articolo 9, e’ stata prevista la inapplicabilita’ alla Pubblica Amministrazione della responsabilita’ solidale, ma detta norma deve essere ritenuta innovativa e non interpretativa, perche’ non si autoqualifica tale e non richiama la disposizione oggetto di interpretazione;
d) il decreto legislativo deve essere interpretato alla luce della Legge delega n. 30 del 2003, che, all’articolo 6, limita la esclusione al personale delle pubbliche amministrazioni, sicche’ con l’articolo 1, comma 2, il legislatore delegato ha voluto solo esplicitare la impossibilita’ per le Amministrazioni di utilizzare le nuove forme contrattuali flessibili;
e) non rileva nella fattispecie la ordinanza della Corte Costituzionale n. 5 del 2013, in quanto la Corte ha escluso la violazione dei limiti di cui alla delega legislativa con riferimento all’articolo 29, comma 2, ma non si e’ occupata della legittimita’ della disposizione rilevante ai fini di causa, ossia dell’articolo 1, comma 2;
f) le previsioni contenute nel Decreto Legislativo n. 163 del 2006, nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, e nell’articolo 1676 c.c., non assicurano al lavoratore la tutela piena e certa dei loro crediti, garantita dal Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 29, e, quindi, non sono con questo incompatibili, avendo presupposti ed ambiti di applicabilita’ differenti;
g) l’articolo 3, comma 1, della Costituzione esclude che possa essere attribuita alle Pubbliche Amministrazioni una posizione di ingiustificato privilegio rispetto ai committenti privati e che possano essere create disparita’ di trattamento tra lavoratori sulla base della sola natura pubblica o privata dell’appaltante.
3 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Torino sulla base di due motivi. (OMISSIS) ha resistito con tempestivo controricorso mentre e’ rimasta intimata la s.r.l. (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo il Comune di Torino denuncia “violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 29, comma 2”. Richiama gli argomenti utilizzati da questa Corte nella sentenza n. 15432 del 7 luglio 2014 per sostenere l’inapplicabilita’ agli appalti pubblici della responsabilita’ solidale del committente prevista dalla norma indicata in rubrica ed evidenzia, in primo luogo, che la diversa soluzione fatta propria dal giudice di appello contrasta con il tenore letterale del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 1, chiaro nell’escludere dall’ambito di applicazione del decreto le pubbliche amministrazioni ed il loro personale. Aggiunge il ricorrente che l’articolo 29, si riferisce al contratto di appalto “stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 c.c.”, e, quindi, non puo’ trovare applicazione agli appalti pubblici che sono, invece, disciplinati da norme speciali, le quali tengono conto della particolare natura del committente e della necessita’ di assicurare, al tempo stesso, il buon andamento della amministrazione pubblica ed il necessario rispetto dei vincoli di bilancio. Precisa, inoltre, che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, prevede meccanismi alternativi finalizzati a tutelare i lavoratori impegnati nell’appalto perche’: obbliga le pubbliche amministrazioni a verificare la regolarita’ contributiva non solo in via preventiva ma per tutta la durata dei lavori, sino al collaudo dell’opera; impone di trattenere dal certificato di pagamento l’importo corrispondente alla inadempienza contributiva accertata; consente l’intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di mancato pagamento delle retribuzioni, ove risulti vana la previa diffida ad adempiere notificata al datore di lavoro. Evidenzia, infine, che le pubbliche amministrazioni sono obbligate a prevedere l’impegno di spesa prima della stipulazione del contratto di appalto e detto impegno risulta incompatibile con una normativa che, affermando la responsabilita’ dell’appaltante a prescindere dalla sussistenza di un debito residuo nei confronti dell’appaltatore, finisce per inserire nel contratto un elemento di aleatorieta’ che impedisce di predeterminare il costo complessivo dell’opera.
1.2 – Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per “violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione al D.l. n. 76 del 2013, articolo 9, comma 1”. Assume il ricorrente che la norma, diversamente da quanto affermato dalla Corte torinese, ha natura interpretativa, poiche’ interviene a chiarire il senso della disposizione preesistente, ossia del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 29, comma 2, senza modificarne la portata precettiva, ma limitandosi a privilegiare una delle opzioni esegetiche possibili nella interpretazione della stessa. Richiama a tal fine il contenuto della relazione illustrativa del decreto legge nonche’ giurisprudenza costituzionale e sottolinea anche la erroneita’ della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che l’articolo 6, della CEDU impedisce l’emanazione di norme retroattive, finalizzate ad influenzare l’esito giudiziario di una controversia. Nel caso di specie, infatti, il legislatore si e’ limitato a dettare una autentica norma di interpretazione, senza violare il disposto dell’articolo 11 preleggi.
2 – Il ricorso e’ fondato.
Questa Corte ha gia’ affermato, con la sentenza richiamata dal ricorrente, la inapplicabilita’ del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 29, comma 2, ai contratti di appalto stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni ed il principio di diritto e’ stato poi ribadito, in motivazione, dalle recenti sentenze 23.5.2016 n. 10664 e 24.5.2016 n. 10731, con le quali, peraltro, si e’ escluso che detto principio potesse essere esteso anche alle societa’ di diritto privato tenute al rispetto della procedura di evidenza pubblica e si e’ precisato che la inapplicabilita’ agli enti pubblici della responsabilita’ solidale discende direttamente dalla espressa previsione contenuta nell’articolo 1, comma 2, del richiamato decreto e non dalla assoggettabilita’ dell’appalto alla disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 163 del 2006, e dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, (oggi sostituiti dal Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50), di per se’ non incompatibile con quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 29.
Il Collegio intende dare continuita’ a detto orientamento, poiche’ gli argomenti utilizzati dalla Corte territoriale a sostegno della diversa opzione esegetica non sono condivisibili.
2.1 – Il Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 1, nel prevedere che “il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale” e’ chiaro nell’individuare il destinatario della esclusione, riferita all’intero decreto, innanzitutto nell’ente pubblico.
Non si puo’ sostenere, come si legge nella sentenza impugnata, che i due termini distinti inseriti nell’articolo 1, comma 2, costituirebbero “un’endiadi” in quanto il legislatore delegato, conformandosi a quanto previsto dalla L. n. 30 del 2003, articolo 6, avrebbe solo voluto impedire “al personale delle pubbliche amministrazioni” l’utilizzo delle nuove tipologie contrattuali.
La esegesi prospettata contrasta con il chiaro tenore letterale della norma che, nell’affermare la inapplicabilita’ della normativa dettata dal decreto, sia alle pubbliche amministrazioni che al loro personale, non fa altro che recepire e rendere piu’ esplicita la indicazione data dal legislatore delegante, il quale aveva previsto con il richiamato articolo 6 che “le disposizioni degli articoli da 1 a 5, non si applicano al personale delle pubbliche amministrazioni ove non siano espressamente richiamate”.
Se si scorrono i principi dettati dagli articoli richiamati nella disposizione ci si avvede che solo alcuni di essi possono essere propriamente riferiti al “personale”, perche’ attinenti a rapporti di lavoro gia’ instaurati, mentre per quelli relativi alle tipologie di lavoro flessibile, alla loro disciplina, agli obblighi posti a carico del datore di lavoro (effettivo o apparente) la esclusione deve necessariamente essere riferita al soggetto non legittimato alla conclusione del contratto, che precede la instaurazione del rapporto di dipendenza o di collaborazione, o al contraente a carico del quale l’obbligo viene posto ed e’, quindi, improprio esprimere la stessa facendo riferimento al “personale”.
Non sussiste, pertanto, alcun contrasto fra l’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo e la legge delega, perche’ il primo, in realta’, si limita ad esplicitare cio’ che era gia’ contenuto nella L. n. 30 del 2003, articolo 6.
2.2 – Osserva, inoltre, il Collegio che il richiamo alla legge delega puo’ orientare l’interprete nella esegesi di una norma che sia formulata in termini non chiari, ma non consente di attribuire alla stessa un significato che si ponga in aperto contrasto con il tenore letterale della disposizione da interpretare.
In tal caso, infatti, la non coincidenza fra la legge delega ed il decreto legislativo delegato deve essere denunciata dinanzi alla Corte Costituzionale per violazione dell’articolo 76 Cost., violazione che, peraltro, il Collegio ritiene non ravvisabile nella fattispecie, sia per le ragioni esposte al punto che precede, sia sulla base degli argomenti gia’ indicati da questa Corte nella sentenza n. 15432 del 2014.
Con la richiamata pronuncia si e’ osservato che il vizio di eccesso di delega riguarda esclusivamente i rapporti fra legge delegante e decreto legislativo delegato, sicche’ viene meno nei casi in cui il legislatore, intervenendo nuovamente sul testo normativo, trasformi la natura della norma da legge in senso materiale a legge in senso formale, affrancandola dal vizio di eccesso di delega.
Si e’, quindi, precisato, attraverso il richiamo alla ordinanza della Corte Costituzionale n. 5 del 2013, che la disciplina della responsabilita’ solidale del committente, dettata dal Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 29, e’ stata oggetto di plurimi interventi del legislatore, successivi ed estranei al rapporto di delegazione, che hanno fatto venire meno, in relazione alla disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie, ogni rilevanza dell’eventuale vizio originario.
La sentenza impugnata non e’ condivisibile nella parte in cui, dissentendo dal principio, afferma che, in realta’, detti interventi non hanno mai riguardato la norma che qui viene in rilievo, ossia l’articolo 1, comma 2, bensi’ l’articolo 29, ed altre disposizioni del decreto legislativo.
In merito osserva il Collegio che l’articolo 1, in quanto norma generale di esclusione della applicabilita’ alla pubblica amministrazione dell’intera disciplina contenuta nel decreto, salve le espresse eccezioni, e’ parte integrante della normativa di ogni singolo istituto, sicche’ l’intervento legislativo che riguardi una determinata tipologia contrattuale, lasciando inalterata la predetta esclusione, determina anche rispetto a quest’ultima gli effetti sopra indicati in relazione al rapporto di delegazione.
2.3 – Una volta escluso che l’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo possa essere interpretato nei termini indicati dalla Corte territoriale, e’ sufficiente il richiamo alla norma generale per affermare la inapplicabilita’ alle pubbliche amministrazioni della responsabilita’ solidale del committente prevista dall’articolo 29, comma 2.
Alle medesime conclusioni, comunque, si giunge esaminando la disciplina dettata dalla norma in commento, non essendo condivisibile la sentenza impugnata nella parte in cui, per affermare la applicabilita’ alla fattispecie dell’articolo 29, comma 2, valorizza l’assenza nel comma in parola di qualsivoglia richiamo alla natura privata dell’appalto, dalla quale fa discendere la riferibilita’ della dizione “committente imprenditore o datore di lavoro” anche alla pubblica amministrazione.
L’argomento e’ privo di decisivita’ poiche’ la stessa Corte territoriale riconosce che il comma l richiama con chiarezza il contratto di appalto, come disciplinato dal codice civile, e che il comma 3 bis, relativo alla costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del committente, non e’ applicabile agli enti pubblici.
Orbene anche la disposizione da ultimo richiamata, di sicuro non invocabile nei confronti della pubblica amministrazione, si riferisce genericamente al “contratto di appalto” e cio’ priva di spessore la valorizzazione dell’elemento letterale nella interpretazione del comma 2, posto che nella esegesi di una disciplina normativa unitaria non e’ corretto estrapolare dall’intero contesto una parte della disposizione, valutandola senza tener conto del tenore degli altri commi che compongono la norma oggetto di interpretazione.
2.4 – La Corte territoriale, inoltre, non ha considerato che nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie, risultante all’esito delle modifiche apportate dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, articolo 4, comma 31, il comma 2 si apre facendo salva la “diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente piu’ rappresentative del settore….”, il che rende evidente l’intenzione del legislatore di riferirsi ai soli appalti posti in essere da soggetti che, tramite le loro associazioni, sottoscrivono i contratti collettivi nazionali di lavoro.
All’intervento normativo sopra richiamato ha, poi, fatto seguito il Decreto Legge 28 giugno 2013, n. 76, articolo 9, convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 99, con il quale si e’ previsto che “Le disposizioni di cui al Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, articolo 29, comma 2, e successive modificazioni, trovano applicazione anche in relazione ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale e assicurativa nei confronti dei lavoratori con contratto di lavoro autonomo. Le medesime disposizioni non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui al Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 1, comma 2. Le disposizioni dei contratti collettivi di cui al Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, articolo 29, comma 2, e successive modificazioni, hanno effetto esclusivamente in relazione ai trattamenti retributivi dovuti ai lavoratori impiegati nell’appalto con esclusione di qualsiasi effetto in relazione ai contributi previdenziali e assicurativi”.
La Corte territoriale ha escluso la natura interpretativa e la retroattivita’ della norma in commento e per cio’ solo ha ritenuto il carattere innovativo della stessa, dal quale ha tratto conferma della esattezza della esegesi data al testo normativo vigente in epoca antecedente alla entrata in vigore della nuova disposizione.
Anche dette conclusioni non sono, ad avviso del Collegio, condivisibili.
E’ noto che la legge puo’ essere qualificata di interpretazione autentica, a prescindere dai lavori preparatori e dal titolo del testo normativo, quando la legge medesima sia rivolta ad imporre con efficacia retroattiva una data interpretazione di una precedente norma, sicche’ la stessa non puo’ essere suscettibile di applicazione autonoma, dovendosi necessariamente integrare con la norma interpretata, nel senso che la disciplina da applicarsi ai singoli casi concreti deve essere desunta da quest’ultima e dalla norma interpretativa.
Il carattere interpretativo autentico puo’ essere riconosciuto solo qualora, analizzando il contenuto della norma, si individuino; da un lato l’indicazione di una data esegesi di una disposizione antecedente cui la norma si ricollega; dall’altro un precetto con il quale il legislatore impone la interpretazione, escludendone ogni altra, non solo per il futuro ma anche per il passato, e privando, in tal modo, l’interprete della possibilita’ di pervenire ad una diversa conclusione quanto al significato da attribuire alla norma interpretata.
Non vi e’ dubbio che nella fattispecie non ricorrano detti indispensabili requisiti, poiche’ il tenore della nuova disposizione, con la quale il legislatore ha espressamente previsto la inapplicabilita’ dell’articolo 29 agli appalti stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 1, non consente di affermare che l’intervento sia stato finalizzato anche ad imporre una interpretazione della normativa previgente, con efficacia retroattiva.
Tuttavia non puo’ per cio’ solo affermarsi il carattere innovativo della disposizione giacche’ il legislatore puo’ anche formulare in modo piu’ chiaro ed appropriato una norma preesistente, dettando una nuova disciplina che provveda a regolare per il futuro la materia attraverso precetti non dissimili da quelli previgenti. Parimenti non e’ impedita al legislatore la produzione di una norma che, sia pure senza vincolare per il passato l’interprete e senza fare esplicito riferimento alla esegesi di una data disposizione, “produca fra le sue conseguenze, in virtu’ dell’unita’ ed organicita’ dell’ordinamento giuridico, anche quella di chiarire il significato di detta disposizione..” (Cass. 29.7.1974 n. 2289).
In altri termini il legislatore, a fronte di incertezze interpretative, puo’ emanare una nuova normativa che abbia la finalita’ di rendere esplicito il precetto gia’ desumibile dalla disciplina previgente, senza, pero’, imporre la interpretazione per il passato e, quindi, senza conferire retroattivita’ alla norma.
Una disposizione siffatta, in quanto destinata ad essere vincolante solo per il futuro, non esclude la possibilita’ per l’interprete di dare alla norma previgente una diversa interpretazione e, quindi, risulta senz’altro rispettosa del precetto dettato dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perche’ “non interferisce nella amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia” e, quindi, fa salvi il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo.
Peraltro la disposizione medesima, proprio per le finalita’ che l’hanno ispirata, desumibili nella specie anche dai lavori preparatori, ben puo’ essere valutata dall’interprete, che dalla stessa puo’ trarre la conferma della correttezza della esegesi data alla normativa, a condizione che detta esegesi riposi innanzitutto sul dato normativo previgente.
In sintesi, ferma restando la irretroattivita’ della normativa, non e’ impedito all’interprete, all’esito di una comparazione fra il quadro normativo previgente e quello modificato, escludere il carattere innovativo della disposizione e ritenere che il precetto, reso esplicito, fosse gia’ desumibile dalla norma preesistente.
2.6 – Infine la estensione anche agli appalti stipulati dalla pubblica amministrazione della responsabilita’ solidale del committente non puo’ essere affermata facendo leva sulla necessita’ di assicurare al lavoratore impegnato nella esecuzione di un appalto pubblico la medesima tutela riconosciuta per gli appalti privati.
La Corte territoriale cosi’ argomentando non ha considerato le peculiarita’ proprie delle due situazioni a confronto che giustificano senz’altro la diversita’ delle discipline, dettate al fine di contemperare, in ciascun ambito, i diversi interessi che vengono in rilievo.
Invero mentre nell’appalto privato il committente non incontra alcun limite nella scelta del contraente e, quindi, potrebbe essere indotto ad affidare i lavori all’impresa che richieda il corrispettivo piu’ basso e che percio’ non offra alcuna garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte con le maestranze impegnate nell’appalto, nelle procedure di evidenza pubblica la tutela dei lavoratori e’ assicurata sin dal momento della scelta del contraente, poiche’ nella valutazione delle offerte” gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro ed al costo relativo alla sicurezza…” (Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 86) e ad effettuare controlli preventivi volti ad accertare non solo la solidita’ del concorrente ma anche il rispetto da parte dello stesso della normativa in materia di sicurezza, degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, degli adempimenti previdenziali ed assistenziali (Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 38).
Inoltre, come gia’ evidenziato da questa Corte nella sentenza n. 15432/2014, alla cui motivazione si fa rinvio per la trattazione analitica di detti aspetti, anche nel corso della esecuzione dell’appalto la stazione appaltante e’ tenuta a verificare l’esattezza dell’adempimento degli obblighi assunti dall’appaltatore nei confronti dei prestatori e, in caso di esito negativo della verifica, puo’ attivare l’intervento sostitutivo, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’esecutore del contratto.
Si tratta, quindi, di un complesso articolato di tutele volte tutte ad assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori, tutele che difettano nell’appalto privato, e che compensano la mancata previsione per gli appalti pubblici della responsabilita’ solidale prevista dal Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 29, non applicabile alla pubblica amministrazione perche’ in contrasto con il principio generale (oggi rafforzato dal nuovo testo dell’articolo 81 Cost., che affida alla legge ordinaria il compito di fissare “i criteri volti ad assicurare l’equilibrio fra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilita’ del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni”) in forza del quale gli enti pubblici sono tenuti a predeterminare la spesa e, quindi, non possono sottoscrivere contratti che li espongano ad esborsi non previamente preventivati e deliberati.
Mentre l’intervento sostitutivo di cui al Decreto Legislativo n. 163 del 2006, al pari della responsabilita’ prevista dall’articolo 1676 c.c., applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, opera nei limiti di quanto e’ dovuto dal committente all’appaltatore, l’articolo 29, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis, consente solo al committente di avvalersi del beneficio della preventiva escussione ma, ove questa si riveli infruttuosa, comporta la responsabilita’ dell’appaltante anche nella ipotesi in cui lo stesso abbia gia’ adempiuto per intero la sua obbligazione nei confronti dell’appaltatore.
E’ evidente che detta responsabilita’ non possa essere estesa alle pubbliche amministrazioni in relazione alle quali vengono in rilievo interessi di carattere generale che sarebbero frustrati ove si consentisse la lievitazione del costo dell’opera pubblica quale conseguenza dell’inadempimento dell’appaltatore.
La diversita’ delle situazioni a confronto e degli interessi che in ciascuna vengono in rilievo giustifica, quindi, la diversa disciplina e rende manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 29, prospettata dalla difesa del controricorrente in relazione all’articolo 3 Cost..
3 – La sentenza impugnata va, pertanto, cassata perche’ non conforme al principio di diritto che di seguito si enuncia: “ai sensi del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 1, comma 2, non e’ applicabile alle pubbliche amministrazioni la responsabilita’ solidale prevista dall’articolo 29, comma 2, del richiamato decreto. Il Decreto Legge 76 del 2013, articolo 9, nella parte in cui prevede la inapplicabilita’ dell’articolo 29 ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 1, non ha carattere di norma di interpretazione autentica, dotata di efficacia retroattiva, ma lo stesso non ha innovato il quadro normativo previgente, avendo solo esplicitato un precetto gia’ desumibile dal testo originario del richiamato articolo 29 e dalle successive integrazioni”.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito con il rigetto della domanda proposta nei confronti del Comune di Torino.
La complessita’ delle questioni trattate, l’assenza di orientamenti univoci della giurisprudenza di merito e la mancanza di precedenti di questa Corte alla data di instaurazione del giudizio di primo grado, giustificano la integrale compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda proposta nei confronti del Comune di Torino. Compensa integralmente le spese dell’intero processo.

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