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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza n. 22820  del 12 dicembre 2012

 

Fatto e Diritto

Si trascrive di seguito la relazione preliminare ex art. 380 bis c.p.c. “A. C. e A. R. promittenti venditori in un contratto preliminare di compravendita immobiliare, ricorrono avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la corte capitolina, in riforma di quella in data 15.3.03 del Tribunale di Roma, che aveva ritenuto la promissaria acquirente inadempiente in accoglimento dell’appello principale di quest’ultima, L. S., disatteso quello incidentale dei predetti, ha pronunziato la risoluzione del contratto per inadempimento dei convenuti, odierni ricorrenti.

Hanno ritenuto i giudici di appello che l’inottemperata diffida alla stipula dell’atto pubblico traslativo entro il termine di gg. 15, intimato dai medesimi il 10.7.93, dopo la scadenza del termine contrattuale del 30.6.93, fosse inidonea a determinare ex art. 1454 c.c. la risoluzione del contratto, mancando la colpa della promissaria acquirente, non essendovi stata da parte degli intimanti la designazione del notaio (neppure contenuta nel preliminare), necessario atto collaborativo la cui omissione avrebbe comportato per converso, l’inadempienza dei promittenti venditori, giustificante ex art. 1460 c.c. il rifiuto di adempimento o meglio, il silenzio della destinataria, fino alla diffida che quest’ultima ebbe poi a sua volta ad intimare, designando anche il notaio, con telegramma del 12.11.93 (fissante la stipula per il 16 successivo),invito rimasto inottemperato e comportante, sull’opposto versante, l’inadempimento grave dei promittenti venditori.
Il ricorso, cui ha resistito la S. con controricorso, ad avviso del relatore si palesa in parte infondato ed in parte fondato.
I) Manifestamente infondato è il primo motivo, con il quale si deduce violazione e falso applicazione dell’art. 1454 c.c., per non avere la corte ritenuto sufficienti a configurare la risoluzione per colpa della promissaria i tre soli elementi rilevanti e nella specie sussistenti, costituiti dell’intimazione della diffida, della congruità del termine e della non scarsa importanza dell’inadempienza. Al riguardo correttamente sotto il profilo della citata norma, e sulla scorta di apprezzamento incensurabile degli elementi di fatto della vicenda, i giudici di appello hanno ritenuto, in un contesto nel quale era mancata nel contratto preliminare l’indicazione del notaio che avrebbe rogato l’atto pubblico, che fosse necessario un accordo tra le parti al riguardo per potervi addivenire: sicchè la mancanza nella diffida ad adempiere di alcuna designazione da parte degli intimanti, aveva comportato l’impossibilità di adempiere entro il termine prefisso.
Né vale richiamare in contrario la circostanza, peraltro nuova — in quanto non risultante espressamente dedotta in sede di merito — che in tale diffida si invitasse la destinataria a designare il notaio, considerato che tale elemento non avrebbe potuto integrare ex post gli estremi dell’inadempienza, che giustficando l’intimazione ex art. 1454 c.c. avrebbero dovuto precedere la stessa, né modificare unilateralmente, ponendo a carico esclusivo della controparte l’onere in questione, il contenuto del contratto.
II) Manifestamente fondato, invece, è il secondo motivo, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., sul presupposto di un inadempimento dei promittenti venditori che avrebbe giustificato il rifiuto o silenzio successivo alla diffida della promissaria acquirente, considerato che la mancanza del preventivo accordo sull’individuazione del notaio rogante all’epoca della scadenza del termine contrattuale e della intimazione, di dieci giorni successiva, era all’evidenza ascrivibile ad ambo le parti, sicchè la semplice mancanza di designazione, da parte di diffidanti, non avrebbe di per sé sola potuto comportare l’ascritta inadempienza. Né questa avrebbe potuto poi configurarsi ex post, e per ragioni analoghe a quelle esposte sub I) sull’opposto versante, nell’inottemperanza dei promittenti venditori alla diffida telegrafica (peraltro palesemente insufficiente nella fissazione del termine di soli quattro giorni) intimata dalla S. il 12.11.93.

III),IV) Restano conseguentemente assorbiti il terzo motivo, denunciante violazione e falsa applicazione degli artt, 1362, l366 c.c. sull’interpretazione del contratto, con riferimento alla clausola relativa alla (non) designazione del notaio ed ai conseguenti obblighi collaborativi delle parti, ed il quarto, deducente omessa motivazione sul fatto decisivo, costituito dal silenzio della S. a seguito della diffida intimatale nel luglio 1993.
Si propone conclusivamente il rigetto del primo mezzo, l’accoglimento del secondo, la dichiarazione di assorbimento dei rimanenti e la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, relativamente all’addebito di inadempimento a carico dei promittenti venditori,
Roma 16.5.2012“
Tanto premesso, il collegio, esaminata la memoria della controricorrente, sentiti il difensore di quest’ultima ed il P.G., che ha aderito alla relazione, condividendo integralmente le ragioni esposte in quest’ultima, ne recepisce le conclusioni.
L’obiezione contenuta nella memoria, secondo cui, contrariamente a quanto esposto dal relatore, la Corte d’Appello non avrebbe ritenuto necessario un accordo delle parti sulla designazione del notaio da incaricare per la stipula del contratto definitivo, non risulta rilevante, poiché solo in base a siffatta considerazione può confermarsi la reiezione della domanda risolutoria (rectius: recesso) proposta dai promittenti venditori, che intimando alla promissaria acquirente la diffida ad adempiere, avevano unilateralmente ritenuto di onorare la stessa del reperimento di un notaio, senza che ciò fosse previsto nel contratto preliminare.
In tal senso pertanto, nel rigettare il primo motivo dì ricorso, deve emendarsi la motivazione sul punto della sentenza di primo grado, considerato che nel silenzio delle parti stipulanti deve intendersi che la designazione del notaio, da officiare per la redazione del contratto definitivo di compravendita, implicando un impegno di carattere economico e, nel contempo, richiedendo, per il carattere fiduciario della scelta, la convergenza sulla stessa della volontà dell’una e dell’altra parte, richieda un espresso accordo delle stesse al riguardo, anche se successivo alla stipula del preliminare.
Dalle considerazioni che precedono discende, sull’opposto versante, la fondatezza del secondo motivo, posto che la promissaria acquirente, pur essendosi giustificatamente rifiutata di subire l’imposizione di quell’onere da parte dei promittenti venditori, non avrebbe potuto, melius re perpensa ed a distanza di tempo, imporre a sua volta una comparizione davanti ad un notaio di sua sola fiducia, senza averne concordato la scelta con la controparte o comunque averne ricevuto una risposta adesiva, inviandole una comunicazione telegrafica in extremis.
A tal ultimo proposito neppure coglie nel segno l’obiezione, della difesa della controricorrente secondo cui il giudizio sull’adeguatezza del termine ad adempiere sarebbe riservato al giudice di merito, poiché la giurisprudenza al riguardo citata riguarda casi in cui il termine concesso era comunque superiore a quello minimo legale di gg. 15, al di sotto del quale l’intimazione che lo contenga, risultante carente di uno dei requisiti essenziali richiesti dalla legge, neppure può considerarsi una diffida ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 1454 c.c.: difetto questo di una condizione dell’azione che ben può essere rilevato di ufficio.
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso, comporta l’assorbimento del terzo e del quarto e la cassazione della sentenza impugnata senza rinvio, nella parte in cui è stata accolta la domanda risolutoria della promissaria acquirente, accogliendo il corrispondente motivo di appello. Non essendo necessari altri accertamenti in fatto, questa Corte può decidere direttamente nel merito ex art. 384 co. I u.p. sul relativo punto, confermando il rigetto di tale domanda pronunziato dal giudice di primo grado.
Ne consegue, in un contesto nel quale la mancata stipula del contratto definitivo risulta ascrivibile ad entrambe le parti, ciascuna delle quali ha ritenuto comunque e per ragioni opposte di sciogliersi dallo stesso, così realizzandosi un mutuo dissenso, il solo effetto restitutorio limitato all’importo della caparra confirmatoria, per cui la somma dovuta alla promissaria acquirente S. va ridotta ad € 10.329,13, oltre agli interessi legali dall’11.12.94, data del relativo versamento.
Tenute cento dell’esito finale del giudizio, con reciproca soccombenza, si compensano totalmente le spese di tutti in gradi delle stesso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, dichiara assorbiti il terzo e il
quarto, cassa la sentenza impugnata senza rinvio in relazione al motivo accolto
e pronunziando nel merito, afferma il rigetto della domanda di risoluzione proposta da L. S.
e riduce ad € 10.329,13, oltre agli interessi legali decorrenti dall’11.12.1994, l’importo della somma alla medesima dovuta da A. C. e A. R.
Dichiara interamente compensate tra le suddette parti le spese di tutti i gradi del giudizio.
Così deciso in Roma il 23 novembre 2012.

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