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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 7 settembre 2015, n. 36026

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIRENA Pietro A. – Presidente

Dott. IZZO Fausto – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3804/2013 CORTE APPELLO di GENOVA, del 11/12/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/06/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;

udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SANTE SPINACI che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’11/12/2013 la Corte d’appello di Genova – concessi, in parziale riforma della sentenza di primo grado, i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati – confermava per il resto la sentenza con la quale il Tribunale di La Spezia aveva condannato (OMISSIS) alla pena di un mese di arresto ed euro 1.000,00 di ammenda per il reato p. e p. dall’articolo 186 C.d.S., comma 2, lettera b), allo stesso ascritto per essersi posto alla guida dell’autovettura Fiat Punto KA tg. (OMISSIS), in stato di ebbrezza per l’assunzione di bevande alcoliche (tasso alcolemico pari a 0,96 g/l sia alla prima che alla seconda prova): fatto commesso il (OMISSIS).

2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’imputato, per mezzo del proprio difensore, deducendo inosservanza e/o erronea applicazione degli articoli 507 e 190 cod. proc. pen., in relazione all’assunzione disposta d’ufficio dal giudice di primo grado di prova testimoniale volta ad accertare se all’imputato, prima dell’esecuzione dell’alcoltest, fosse stato dato l’avviso circa la facolta’ di farsi assistere da avvocato.

Rileva che essa non poteva considerarsi nuovo mezzo di prova, ma tutt’al piu’ mera precisazione della testimonianza in precedenza resa e che, sotto altro profilo, comportava violazione del principio che attribuisce esclusivamente alle parti il potere di iniziativa probatoria, senza possibilita’ per il giudice di sopperire con i propri poteri officiosi all’inerzia delle stesse.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. La doglianza posta a fondamento del ricorso e’ manifestamente infondata. Essa non fa che riproporre una questione gia’ compiutamente esaminata dalla Corte di merito e confutata con motivazione esaustiva, con la quale a ben vedere il ricorrente omette di confrontarsi, esponendosi, per tal motivo, la censura, anche a un preliminare rilievo di aspecificita’.

Mette conto comunque rilevare che, in argomento, le considerazioni svolte dalla Corte territoriale risultano conformi alle indicazioni desumibili dalla giurisprudenza di legittimita’, peraltro richiamate nella sentenza impugnata.

E’ noto infatti che, secondo indirizzo ormai consolidato a partire dall’arresto di Sez. U, n. 11227 del 06/11/1992, Martin, Rv. 191606, che ha trovato anche l’avallo della Corte costituzionale (sentenza del 26 marzo 1993, n. 111), il potere del giudice di disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova previsto dall’articolo 507 cod. proc. pen. puo’ essere esercitato anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto e perfino nel caso in cui non vi sia stata in precedenza alcuna acquisizione delle prove (la Cassazione ha in tale occasione precisato che le parole terminata l’acquisizione delle prove, con le quali esordisce l’articolo 507 cod. proc. pen., indicano il momento dell’istruzione dibattimentale in cui puo’ avvenire l’ammissione delle nuove prove e non invece il presupposto per l’esercizio del potere del giudice ai fini di cui all’articolo 507 cod. proc. pen. ed inoltre che, per prova nuova, deve intendersi la prova non disposta precedentemente e non invece la prova sopravvenuta o successivamente scoperta).

E’ opportuno rammentare che tale principio ha trovato conferma anche alla luce della nuova formulazione dell’articolo 111 Cost., essendosi – pur nel rinnovato contesto ordinamentale – ribadito che il giudice puo’ esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’articolo 507 cod. proc. pen., anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto, permanendo a presidio della condizione di terzieta’ del giudice – oltre e piu’ che la previsione, quale condizione necessaria per l’esercizio di tale potere, dell’assoluta necessita’ della prova, da identificare nel suo carattere di decisivita’ – il suo essere circoscritto nell’ambito delle prospettazioni delle parti, escludendosi che essa possa servire a supportare probatoriamente una diversa ricostruzione ipotizzata dal giudice (Sez. U, n. 41281 del 17/10/2006, Greco, Rv. 234907).

Si e’ precisato, infatti, che la riforma dell’articolo 111 Cost. ha accentuato esclusivamente quello che costituisce il principio fondante del processo accusatorio – la formazione della prova nel contraddittorio delle parti – ma nulla ha innovato sul principio dispositivo che, pur essendo uno dei principi cui si ispirano i sistemi accusatori, non li caratterizza in modo cosi’ decisivo come i criteri che riguardano la formazione della prova; cosi’ almeno nella cultura giuridica europea continentale, nella quale il principio dispositivo e’ visto come un antidoto non tanto alla sopravvivenza di poteri officiosi del giudice che, in sede di decisione, si trovi nell’impossibilita’ di adottare un giudizio equo e consapevole, quanto al classico esempio del giudice inquisitore rappresentato dall’istituto del giudice istruttore previsto anche dal nostro ordinamento previgente.

Non e’ questo, pero’, l’ambito di applicazione dell’articolo 507 cod. proc. pen. che persegue il diverso scopo di consentire al giudice – che non si ritenga in grado di decidere per la lacunosita’ o insufficienza del materiale probatorio di cui dispone -di ammettere le prove che gli consentono un giudizio piu’ meditato e piu’ aderente alla realta’ dei fatti che e’ chiamato a ricostruire e mira pertanto esclusivamente a salvaguardare la completezza dell’accertamento probatorio sul presupposto che, se le informazioni probatorie a disposizione del giudice sono piu’ ampie, e’ piu’ probabile che la sentenza sia equa e che il giudizio si mostri aderente ai fatti.

Cio’ – si e’ osservato – conformemente ad un parametro costituzionale del quale, da un lato, non puo’ dirsi far parte il sistema accusatorio nella stessa radicalita’ e ampiezza con la quale e’ conosciuto e applicato nei sistemi di common law, ma soltanto alcuni principi fondamentali di esso (riguardanti essenzialmente la tutela del contraddittorio nella indicazione dei temi istruttori e nella formazione della prova e la condizione di terzieta’ e imparzialita’ del giudice in tali cruciali momenti) e in cui, dall’altro, gioca un ruolo fondamentale il principio dell’obbligatorieta’ dell’azione penale che impone una costante verifica dell’esercizio dei poteri di iniziativa del pubblico ministero, e quindi anche delle sue carenze od omissioni (a differenza dei sistemi accusatori di common law nei quali le deroghe al principio dispositivo sono bensi’ inesistenti o assolutamente eccezionali ma proprio perche’ alla base vi e’ anche l’opposta concezione della piena disponibilita’ dell’azione penale da parte del pubblico ministero che puo’ rinunziare ad essa, di fatto, anche con la mancata richiesta di ammissione delle prove).

Nel caso di specie, non puo’ dubitarsi che i presupposti della norma, cosi’ ricostruiti anche in relazione alla sua ratio, siano stati correttamente ravvisati sussistenti dai giudici del merito, apparendo evidente che, alla stregua di quanto evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, non solo il tema istruttorio ma anche l’esistenza della prova disposta d’ufficio ai sensi dell’articolo 507 cod. proc. pen. e la sua potenziale idoneita’ a offrire informazioni su di esso con carattere di assoluta rilevanza, in un senso o nell’altro, lungi dal risultare il frutto di ipotesi ricostruttiva originale e autonoma del giudice, emergevano chiaramente dalla prospettazione dell’accusa.

Si trattava invero a ben vedere, come lo stesso ricorrente espressamente ammette, di chiarire un aspetto del procedimento di accertamento dello stato alcolemico operato mediante alcoltest, come tale strumentale e implicito al relativo tema istruttorio, a sua volta ovviamente centrale nel processo e gia’ in esso come tale ben presente.

4. La declaratoria di inammissibilita’ – che consegue al riscontro della manifesta infondatezza del ricorso – impedisce di rilevare la prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, piu’ volte chiarito che l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, rv. 217266: nella specie, l’inammissibilita’ del ricorso era dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del reato era maturata successivamente alla data della sentenza impugnata con il ricorso; conf. Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, rv. 239400).

5. Tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13/06/2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, alla declaratoria di inammissibilita’ segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento e del versamento di una somma, in favore della cassa delle ammende, determinata – avuto riguardo al grado di colpa ravvisabile – come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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