Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 13 gennaio 2015, n. 1276

Ritenuto in fatto

1. In data 20/11/2013 la Corte di Appello di Trieste ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Trieste in data 23/04/2012, che aveva condannato D.M.F. per il reato di cui all’art. 189, comma 6, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 alla pena di mesi quattro di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, sostituita con la multa pari ad Euro 4.560,00.
2. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il 10 giugno 2009 D.M.F. , alla guida di un motociclo, aveva impegnato il marciapiede con una manovra improvvisa, che aveva costretto i veicoli che lo seguivano a frenare; il terzo di tali veicoli era un ciclomotore condotto dalla minore O.J. che, nonostante la frenata, aveva urtato contro la ruota dell’autovettura che la precedeva e si era rovesciato sul fianco destro; l’imputato si era fermato, ma si era poi allontanato invitando la vittima a rintracciarlo attraverso il numero di targa del veicolo, nonostante le rimostranze di quest’ultima; il conducente dell’autovettura tamponata dalla O. aveva chiamato un’ambulanza ed il Pronto Soccorso aveva certificato la presenza di lesioni guaribili in 3 giorni.
3. La Corte territoriale ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi del reato contestato sul presupposto che non fosse rilevante l’addebitabilità all’imputato della responsabilità del sinistro, comunque ricollegabile al suo comportamento, e che l’imputato avrebbe avuto l’obbligo di rimanere presente per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini finalizzate all’identificazione dei conducenti dei veicoli coinvolti.
4. Ricorre per cassazione D.M.F. censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) con un primo motivo deduce erronea applicazione dell’art. 533 cod. proc. pen., dell’art. 189, commi 1, 6 e 7, d. lgs. 30 aprile 1992, n.285 e dell’art.526 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione e contraddittorietà processuale per travisamento della prova. Secondo il ricorrente, le argomentazioni della sentenza sono in contrasto con l’affermata inesistenza del reato previsto dall’art. 189, comma 7, cod. strada, avendo il giudice di primo grado escluso la sussistenza di tale reato affermando che l’incidente non presentava connotati tali da rendere ipotizzabile che la O. necessitasse di un qualche soccorso da parte di terzi. Nel modulo per la rilevazione di incidente stradale redatto dalla Polizia Municipale era stata annotata, peraltro, la presenza di soli danni materiali, elevandosi contravvenzione per la violazione dell’obbligo di tenere la distanza di sicurezza a carico della vittima e per la violazione dell’obbligo di mantenere strettamente la destra a carico dell’imputato, dovendosi da ciò desumere l’estraneità di quest’ultimo al sinistro e l’inverosimiglianza dell’asserita presenza delle lesioni lamentate dalla persona offesa;
b) con un secondo motivo deduce erronea applicazione dell’art.189, commi 1, 6 e 7, cod. strada nonché vizio di motivazione. Lamenta che la Corte di Appello abbia riconosciuto che la percezione dell’incidente da parte dell’imputato sia avvenuta solo perché informato dalla O. , che lo aveva raggiunto, dando atto che lo stesso avesse acconsentito ad essere identificato, e ciò nonostante ha illogicamente ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato. Le risultanze istruttorie, si assume, non rivelavano un urto particolarmente violento, peraltro avvenuto alle spalle dell’imputato e a distanza di 50 metri, e la persona offesa non aveva riportato pregiudizio all’integrità fisica, per cui i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere che l’imputato avesse in buona fede pensato che dall’incidente non fossero scaturite conseguenze negative e che non si fosse rappresentato un incidente con danno alle persone, dovendosi valutare l’elemento soggettivo con riguardo alle circostanze concretamente rappresentate nel momento in cui l’azione è stata posta in essere. I giudici di merito avrebbero, secondo il ricorrente, omesso di considerare le dichiarazioni rese dall’imputato in merito alla situazione di malessere fisico che lo aveva costretto ad allontanarsi per cercare un bar.

Considerato in diritto

1. Le argomentazioni svolte nel primo motivo di ricorso sono manifestamente infondate.
1.1. La censura concernente la contraddittorietà dell’argomentazione posta a base della condanna rispetto a quella che ha fondato l’assoluzione per il reato previsto dall’art. 189, comma 7, cod. strada non risulta proposta in grado di appello ed è, in ogni caso, inconferente in quanto non tiene conto della differente oggettività giuridica delle due ipotesi di reato, essendo la previsione dell’art.189, comma 6, cod. strada finalizzata a garantire l’identificazione dei soggetti coinvolti nell’investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la previsione di cui all’art.189, comma 7, cod. strada è finalizzata a garantire che le persone ferite non rimangano prive della necessaria assistenza (Sez. 4, n. 6306 del 15/01/2008, Grosso, Rv. 239038).
1.2. Con riferimento ai rilievi effettuati dalla Polizia Municipale, dai quali non emergerebbe la presenza di danni alle persone, è lo stesso ricorrente a chiarire che trattasi di un documento redatto con riferimento al tamponamento tra il ciclomotore e l’autovettura che lo precedeva, mentre nelle sentenze di merito si è ritenuta, con logica argomentazione, solo apparentemente equivoca la compilazione del documento, rispetto alla certezza probatoria fornita dalla certificazione medica redatta dal pronto soccorso e dall’intervento sul posto dell’ambulanza.
1.3. Quanto alla necessità che il sinistro sia riconducibile alla responsabilità dell’imputato, correttamente la Corte territoriale ha sottolineato che per la sussistenza del reato non è richiesta l’addebitabilità al conducente dell’effettiva responsabilità dell’incidente. L’art. 189 cod. strada descrive il comportamento che l’utente della strada deve tenere nel caso di sinistro comunque riconducibile al suo comportamento di guida, stabilendo una serie di obblighi tra i quali, per quanto qui interessa, l’obbligo di fermarsi, correlando alla violazione di tale obbligo la sanzione penale nell’ipotesi in cui dall’incidente sia derivato danno alle persone. Il bene giuridico tutelato dalla norma attiene alla necessità di accertare le modalità del sinistro e di identificare coloro che ne siano coinvolti, conseguentemente ritenendosi idonea ad integrare il reato anche la condotta di chi effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea, senza consentire la propria identificazione, né quella del veicolo, dovendo la sosta durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime attività di indagine (Sez. 4, n. 9128 del 2/02/2012, Boffa, Rv. 252734; Sez. 4, n. 6306 del 15/01/2008, Grosso, Rv.239038; Sez. 4, n. 20235 del 25/01/2001, Mischiatti, Rv. 234581).
1.4. Esaminando, dunque, la sentenza impugnata, si rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici hanno espressamente spiegato per quali ragioni ritenessero che la condotta dell’imputato, così come accertata, fosse sussumibile nell’ipotesi delittuosa di cui all’art.189 cod. strada (pag.5), sottolineando come, pur volendo accedere alla tesi sostenuta nell’atto d’appello, secondo la quale l’imputato si sarebbe fermato, sia pure per un breve lasso di tempo acconsentendo alla propria identificazione da parte della persona offesa, la violazione contestata dovesse ritenersi sussistente, sulla premessa che l’imputato si fosse con certezza allontanato dal luogo del sinistro prima dell’intervento della Polizia Municipale.
2. Ulteriore censura muove dall’erroneo presupposto che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art.189, comma 6, cod. strada, costituisca antefatto necessario del reato anche l’aver dato causa all’incidente, argomentando dal tenore letterale dell’art.189, comma 1, cod. strada, a mente del quale l’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza è imposto all’utente Ai caso di incidente comunque riconducibile al suo comportamento.
2.1. Occorre, in proposito, premettere che la condotta omissiva sanzionata dall’art.189, comma 6, cod. strada si caratterizza per l’individuazione nell’utente della strada, al cui comportamento sia comunque ricollegabile l’incidente, del soggetto sul quale grava l’obbligo di fermarsi; per la configurazione di un antefatto non punibile, concretato dall’essersi verificato un sinistro stradale, da cui sorge tale obbligo.
2.2. Nella materia della circolazione stradale, il legislatore ha introdotto, come si evince dal tenore dell’art.189, comma 1, cod. strada, la presunzione che il verificarsi di un incidente determini una situazione di pericolo ed ha, conseguentemente, individuato nei soggetti coinvolti nel sinistro coloro che sono obbligati a fermarsi ed a prestare assistenza, ove necessario. Trattasi, in sostanza di reati istantanei di pericolo, il quale ultimo va accertato con valutazione ex ante e non ex post, sicché una volta verificatosi l’antefatto previsto dal comma 1, da intendersi come sinistro connesso alla circolazione stradale, sarebbe incompatibile con l’oggetto giuridico del reato e con la natura di reato di pericolo asserire che l’obbligo di attivarsi sia escluso per colui che, pur coinvolto nel sinistro, non ne sia responsabile.
2.3. Come già affermato da questa Sezione, il combinato disposto dei commi 1, 6 e 7 dell’art.189 d.lgs. n.285/1992, non lega l’obbligo di assistenza alla consumazione e all’accertamento di un reato, ma al semplice verificarsi di un incidente comunque ricollegabile al comportamento dell’utente della strada al quale l’obbligo di assistenza è riferito. Nella previsione incriminatrice manca qualsiasi rapporto che condizioni la esistenza dell’obbligo di attivarsi alla qualificazione come reato della condotta dell’utente. All’evidenza, la sola condizione per la esigibilità dell’obbligo di fermarsi e, ove necessario, di prestare assistenza e la punibilità dell’omissione di tali obblighi è posta nella generalissima relazione di collegamento (a qualsiasi titolo) tra incidente e comportamento di guida dell’utente della strada (Sez.4, n.34138 del 21/12/2011, dep. 2012, Cilardi, Rv. 253745).
2.4. In definitiva, l’art. 189, comma 1, cod. strada, disponendo che “L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona”, ha inteso attribuire all’espressione incidente comunque ricollegabile al suo comportamento il valore di antefatto non punibile idoneo ad identificare il soggetto la cui condotta omissiva è penalmente sanzionata. La Corte territoriale ha, dunque, correttamente interpretato la disposizione che sanziona la condotta omissiva dell’utente della strada, comunque coinvolto in un sinistro, che non sia fermato, ritenendo che tale obbligo sussista indipendentemente dalla responsabilità nel sinistro.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
3.1. Secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità, l’elemento soggettivo del reato previsto dall’art.189, comma 6, cod. strada è integrato anche in presenza del dolo eventuale, ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall’incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di fermarsi. In altre parole, per la punibilità è necessario che ogni componente del fatto tipico (segnatamente il verificarsi di un sinistro idoneo ad arrecare danno alle persone, collegabile al comportamento dell’agente) sia conosciuta e voluta dall’agente. A tal fine, è però sufficiente anche il dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, è sufficiente che, per le modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della vicenda, l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilità – che dall’incidente sia derivato un danno alle persone e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi (Sez.4, n.17220 del 06/03/2012, Turcan, Rv. 252374; Sez. 6, n.21414 del 16/02/2010, Casule, Rv. 247369).
3.2. Le circostanze di fatto ritenute accertate dai giudici del merito (pag.4) rendono del tutto logica la motivazione, laddove si è dedotto dalla dinamica del sinistro e dalla qualifica di medico dell’imputato che quest’ultimo avrebbe potuto ragionevolmente ipotizzare la sussistenza di un danno fisico alla ragazza a bordo del ciclomotore, non essendo rilevante ai fini della configurazione dell’elemento soggettivo del reato il fatto che la natura e la consistenza del danno alla persona siano stati accertati solo in un secondo momento (Sez. 4, n. 5510 del 12/12/2012, dep.2013, Meta, Rv. 254667).
4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto consegue, ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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