La massima

Nel caso di accertamento di un comportamento negligente del notaio, consistito nella redazione di un atto finale non conforme al regolamento di interessi voluto dalle parti e/o nella violazione degli obblighi di informazione su di lui incombenti, egli non può che rispondere delle conseguenze patrimoniali sofferte, come danno emergente o lucro cessante, a causa della condotta a lui soltanto ascrivibile.

Suprema Corte di Cassazione civile

Sezione III

sentenza del 17.1.2012, n. 546

Svolgimento del processo

R.A. e M.A. citarono in giudizio il notaio B.F. per il risarcimento del danno da responsabilità professionale in ordine alla stipulazione, a suo rogito, di un contratto di assegnazione in proprietà di un appartamento, concluso in data 12 maggio 1997, tra gli stessi attori e la cooperativa edilizia Vignale III a r.l. Il Tribunale di Roma, autorizzata la chiamata in causa da parte del convenuto sia delle società di assicurazione per la responsabilità professionale S.A.I. s.p.a. e Navale Assicurazioni s.p.a., che della cooperativa edilizia Vignale III a r.l., accolse la domanda degli attori e condannò il notaio al risarcimento dei danni, quantificati in lire 137.300.000, oltre interessi e spese; rigettò, invece, le domande proposte dal convenuto nei confronti delle società assicuratrici e della Vignale III, condannandolo al pagamento delle spese anche in favore di queste ultime.

La Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello. Avverso la sentenza, il notaio B. propone ricorso per cassazione a mezzo di quattro motivi, illustrati da memoria. Non si difendono gli intimati R., M. e società cooperativa edilizia Vignale III a r.l..
Motivi della decisione

1.- Logicamente preliminare è l’esame del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso che, in quanto intimamente connessi, vanno trattati congiuntamente, secondo quanto appresso.

1.1- Col secondo motivo di ricorso si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, art. 1218 c.c. e art. 1223 c.c., ultima parte, nonchè illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’Appello opinato che, essendo l’atto di accollo “destinato a trovare applicazione solo al momento in cui il creditore lo avrebbe accettato in sede di frazionamento del mutuo”, l’importo della somma posta contrattualmente a carico del R. e della M. sarebbe rimasto “indeterminato fino a tale momento”.

Deduce il ricorrente che: la formulazione dell’art. 3 dell’atto rogato non avrebbe potuto indurre ad un siffatto equivoco, atteso che il suo contenuto (riportato in ricorso) faceva espresso riferimento al prezzo convenuto tra le parti nell’importo complessivamente determinato in lire 291.000.000 ed era tale da comportare che l’accollo del mutuo non avrebbe potuto essere superiore all’importo di lire 50.000.000; una volta definiti i rapporti con l’istituto mutuante, gli acquirenti, nei rapporti interni, fossero tenuti a dare un conguaglio ove la Cooperativa avesse corrisposto interamente la somma dovuta di lire 177.300.000 ovvero avessero diritto a ricevere il conguaglio dalla Cooperativa ove avessero anticipato per intero tale somma o comunque una somma maggiore di quella di lire 50 milioni pattuita; in nessun caso si sarebbe potuto ritenere (come invece ritenuto dalla Corte d’Appello) che fosse previsto in contratto un corrispettivo “elastico o variabile”. Aggiunge che risulterebbe pacificamente dagli atti di causa che gli acquirenti erano ben a conoscenza del non avvenuto frazionamento del mutuo.

1.2.- Col terzo motivo di ricorso si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 cod. civ. e art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’Appello imputato al notaio B. di non avere dato agli acquirenti l’informazione circa le possibili conseguenze del mancato frazionamento dell’atto di mutuo, che, se resa, “avrebbe logicamente evitato la sorpresa per gli acquirenti di vedersi accollare in concreto una quota di mutuo (e non un mero conguaglio) per un importo notevolmente superiore a quello astrattamente indicato nell’atto di vendita”. Deduce il ricorrente che su questa base, e sull’erroneo presupposto (di cui anche al motivo precedente) che il notaio avesse operato nel rogito una “erronea indicazione della quota di mutuo”, la Corte d’Appello avrebbe finito per addossare al professionista il pagamento della somma di lire 127.300.000, che la Cooperativa aveva l’obbligo di corrispondere all’istituto mutuante e che semmai gli acquirenti avevano l’obbligo, puramente e semplicemente, di anticipare. Aggiunge che, non essendo risarcibile la “mera sorpresa di vedersi esposti al rischio di anticipazioni non previste”, gli attori avrebbero dovuto provare il danno effettivamente subito, consistente in spese o perdite – per aver dovuto anticipare somme che contrattualmente non erano a loro carico (gravando sulla Cooperativa) – ovvero nel danno causato dall’esistenza dell’ ipoteca (peraltro chiaramente indicata nel rogito) da riferire ad un credito di ammontare superiore a lire 50 milioni.

1.3.- Col quarto motivo di ricorso si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 106 e 112 cod. proc. civ., per non avere la Corte d’Appello preso in considerazione il ruolo svolto dalla cooperativa edilizia Vignale III a r.l., dovendo invece ascriversi, in primo luogo, a quest’ultima i danni asseritamente subiti dai signori R. e M..

2.- Il secondo ed il terzo motivo sono fondati. Occorre premettere il consolidato principio in ragione del quale, in tema di interpretazione del contratto, il rilievo da assegnare alla sua formulazione letterale va verificato alla luce dell’intero contesto negoziale e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendosi procedere al rispettivo coordinamento a norma dell’art. 1363 cod. civ. e con riguardo a tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni parte e parola che la compone, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (cfr. Cass. n. 18180/07;

n. 5287/07; n. 4670/09).

Nella specie risulta violato il disposto dell’art. 1362, anche in relazione al successivo art. 1363 cod. civ.. Si legge nella sentenza impugnata che il notaio, nel contratto di compravendita, avrebbe “determinato la quota di mutuo a carico della parte acquirente in modo del tutto equivoco, per una somma di gran lunga inferiore a quella effettiva, risultante dal successivo atto di frazionamento del mutuo”; in proposito, nel prosieguo della sentenza, è detto che l’espressione contenuta in contratto “salvo conguaglio” non varrebbe a giustificare una qualsiasi differenza tra il pattuito, che sarebbe stato di lire 50.000.000, ed il dovuto dagli acquirenti, che sarebbe stato di gran lunga superiore, in modo che ne sarebbe risultata vanificata la quantificazione in 50 milioni.

2.1.- La Corte d’Appello ha altresì confermato la valutazio-ne espressa dal primo giudice secondo cui, così operando, il notaio avrebbe posto in essere un atto finale in contrasto con il regolamento di interessi voluto dalle parti; e, per di più, non avrebbe informato gli acquirenti delle conseguenze derivanti dal mancato frazionamento del mutuo, che avrebbero comportato che, fino al compimento di questo, la quota di mutuo accollata agli acquirenti medesimi sarebbe rimasta indeterminata. Con la conseguenza dell’obbligo risarcitorio del notaio di corrispondere agli acquirenti il maggior importo della quota di mutuo risultante dal frazionamento, pari a lire 127.300.000. 3.- Quanto riportato sopra sub 2. non trova conferma nel tenore dell’art. 3 del contratto in contestazione, che è il seguente:

“Il corrispettivo della presente assegnazione è stato convenuto tra le parti in complessive lire 291.000.000 (duecen-tonovantunomilioni) di cui lire 268.000.000 (duecentosessantotto milioni) per l’appartamento ed il box n. 52 e lire 23.000.000 (ventitremilioni) per il box n. 50, prezzo che viene regolato come segue:

a) quanto a lire 241.000.000 (duecentoquarantunomilioni) la Cooperativa venditrice dichiara di averle già ricevute dalla quale acquirente alla quale rilascia corrispondente quietanza;

b) quanto alle residuali lire 50.000.000 (cinquanta milioni) la parte acquirente, con il consenso della Cooperativa assegnante, si accolla e fa propria la corrispondente quota del mutuo di originarie lire 50.000.000 (cinquantamilioni), salvo conguaglio, concesso dal Banco di Napoli S.p.A., con atti…omissis…mutuo garantito da ipoteca  iscritta presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Roma (OMISSIS), in data 15 novembre 1994 al n. 16671 di formalità, gravante solamente sul l’appartamento int. 14 e sul box n. 52 oggetto del presente atto di vendita.

In relazione a detto accollo la parte acquirente dichiara di ben conoscere i predetti atti di mutuo e di accettarli come se da essa medesima fossero stati stipulati con l’istituto mutuante, limitatamente alla quota accollata, subentrando alla parte venditrice in tutti i diritti ed obblighi da quest’ultima assunti ed impegnandosi di pagare alle convenute scadenze le rate della quota di mutuo accollata e di notificare copia autentica di questo atto all’istituto mutuante….omissis…”.

L’interpretazione offerta dal giudice, dunque, non tiene conto della correlazione tra la previsione di cui alla lett. b) con quella di cui alla prima parte, laddove il corrispettivo pattuito è determinato nell’importo complessivo di lire 291.000.000, nonchè con quella di cui alla lett. a), laddove si da atto dell’avvenuto pagamento della somma di lire 241.000.000 a titolo di prezzo. La correlazione tra diverse parti della medesima clausola contrattuale ed, in particolare, l’esatta determinazione della quota di mutuo accollata (pari a lire 50 milioni, vale a dire alla differenza tra il prezzo complessivamente pattuito di lire 291.000.000 e la parte di prezzo di lire 241.000.000, della quale la parte venditrice rilasciava quietanza) non giustificano la conclusione che la quota stessa fosse indeterminata o comunque determinata “in modo del tutto equivoco”. 3.1.- Non rispettosa dei canoni ermeneutici legali appare anche l’interpretazione dell’inciso “salvo conguaglio” inserito nella parte della clausola sotto la lett. b), sopra riportata. Nei rapporti tra le parti il prezzo totale da pagarsi dagli acquirenti non avrebbe potuto superare l’importo di lire 291.000.000, così come espressamente determinato nella prima parte dello stesso art. 3, della quale le parti sub a) e sub b) costituivano mere precisazioni (per come reso evidente dall’inciso “prezzo che viene regolato come segue”); di conseguenza, non è corrispondente al dato letterale quanto ritenuto dal giudice di merito, secondo cui il “conguaglio” sub b) sarebbe stato destinato ad operare sostanzialmente in modo da poter modificare il prezzo complessivo di lire 291.000.000 (sul punto il ricorrente, piuttosto, rappresenta che la naturale funzione del conguaglio è quella di regolare i rapporti di dare-avere tra le parti in modo che il saldo finale fosse quello di lire 291.000.000, corrispondente al prezzo pattuito).

4.- S’è detto in precedenza che la sentenza ipotizza un altro titolo di responsabilità in capo al professionista, consistente nel non avere adeguatamente informato gli acquirenti delle conseguenze del mancato frazionamento: ciò, peraltro, nel presupposto, di cui sopra, dell’indeterminatezza dell’importo oggetto dell’accollo da parte degli acquirenti; dovendo rivalutare tale presupposto, interpretando il contratto secondo i canoni ermeneutici sopra richiamati, il giudice di merito dovrà rivalutare anche le proprie conclusioni in merito alle conseguenze dannose eventualmente prodotte dalla violazione degli obblighi di informazione.

4.1.- Come correttamente rilevato col terzo motivo di ricorso, anche ove dovesse risultare una responsabilità del notaio a tale ultimo titolo, il danno non potrebbe essere sic et simpliciter commisurato (come ha fatto il giudice d’appello) alla differenza tra lire 50 milioni e quanto complessivamente preteso dall’istituto mutuante.

Così decidendo, infatti, si potrebbe finire per fare ricadere sul notaio il costo dell’inadempimento della controparte contrattuale dei R. – M., ove si ritenesse quest’ultima obbligata, secondo l’interpretazione del contratto sostenuta dal ricorrente, a tenere indenni gli acquirenti, mediante il pagamento del conguaglio, di quanto eventualmente anticipato all’istituto mutuante oltre l’importo convenuto di lire 50 milioni. Allora, la violazione degli obblighi di informazione, ove esistente, potrebbe essere riferita soltanto all’obbligo che comunque gli acquirenti assumevano -senza che di ciò fossero stati resi edotti dal notaio- nei confronti dell’istituto di credito mutuante ed al fatto che essi sarebbero stati tenuti ad ottemperare alla richiesta di pagamento di quest’ultimo ben oltre la somma di lire 50 milioni (e per una cifra – questa, sì – indeterminata al momento della stipulazione del contratto e da determinarsi solo al momento del successivo frazionamento del mutuo), salvo a rivalersi nei confronti della Cooperativa alienante.

5.- Nel caso di accertamento di un comportamento negligente del notaio, consistito nella redazione di un atto finale non conforme al regolamento di interessi voluto dalle parti e/o nella violazione degli obblighi di informazione su di lui incombenti, egli non può che rispondere delle conseguenze patrimoniali sofferte, come danno emergente o lucro cessante, a causa della condotta a lui soltanto ascrivibile.

5.1.- Analogamente deve concludersi anche con riguardo all’ulteriore condotta negligente che il giudice a quo ha inteso ascrivere al notaio B., consistita nell’avere omesso di indicare nell’atto, e quindi di precisare alla parte acquirente, che l’ipoteca iscritta in favore dell’istituto mutuante gravava non soltanto sull’appartamento ed uno dei due box (contraddistinto con il n. 52), ma anche sull’altro box (contraddistinto con il n. 50) oggetto della stessa compravendita.

Ed invero il danno dell’acquirente in buona fede di immobile ipotecato è risarcibile a certe condizioni ed entro certi limiti, dei quali il giudice di merito dovrà tornare ad occuparsi (tenendo presente la giurisprudenza consolidata di questa Corte espressa da Cass. n. 6123/00, n. 13957/05, n. 264/06, come di recente parzialmente rivisitata da Cass. n. 10072/10): il danno relativo, infatti, potrà essere ritenuto sussistente e risarcito soltanto in presenza di detti limiti e condizioni, che non risultano in alcun modo essere stati presi in considerazione dal giudice a quo in ragione di quanto dedotto dagli attori e di quanto emerso nel corso dei due precedenti gradi di giudizio.

S’impone con riguardo a detti ulteriori accertamenti di merito la cassazione della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni concernenti la conferma della condanna del B. al risarcimento dei danni e la condanna dello stesso al rimborso delle spese processuali in favore dei R. – M. ed il rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

6.- Il quarto motivo è infondato, siccome non appare pertinente il riferimento all’art. 106 cod. proc. civ. e ad un asserito rapporto di “manleva” tra il notaio convenuto e la società cooperativa da quest’ultimo chiamata in causa, atteso che il chiamante non risulta poter fare valere nei confronti della cooperativa chiamata un rapporto di garanzia, propria o impropria. Piuttosto, la chiamata del terzo risulta essere stata effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa degli attori, in ragione del fatto che il terzo si dovrebbe individuare come unico obbligato nei loro confronti ed in vece dello stesso convenuto:

tuttavia, nel caso di specie, la responsabilità della Cooperativa, se fosse configurabile, lo sarebbe in forza di un rapporto nascente da un titolo diverso (contratto di assegnazione in proprietà) da quello posto a base della pretesa dedotta in giudizio dagli attori (contratto di prestazione d’opera professionale). Ne segue che il giudice di merito dovrà accertare il ruolo della cooperativa edilizia nell’intera vicenda per cui è causa, ma soltanto nei limiti in cui questo rileva al fine di escludere o ridurre il danno del cui risarcimento debba rispondere il notaio nei confronti dei contraenti R. e M..

7.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 2729 c.c. e art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè insufficienza ed illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’Appello commisurato una parte del danno subito dal R. e dalla M. all’onorario professionale del notaio e per avere stimato congruo l’importo di lire 10.000.000 “con riferimento al valore dell’atto pubblico ed alle tariffe professionali”, non essendo noto l’onorario concretamente corrisposto al notaio B..

Il motivo resta assorbito siccome il danno della cui liquidazione si tratta è stato considerato dalla Corte d’Appello come conseguenza di quegli stessi comportamenti negligenti del notaio, dei quali il giudice di rinvio dovrà nuovamente occuparsi in ragione di quanto sopra.

8.- Conclusivamente, il giudice di rinvio dovrà accertare se sussista la responsabilità professionale del notaio B. nei limiti sopra precisati.

Va rimessa al giudice di rinvio anche la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il quarto e dichiara assorbito il primo. Cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

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