SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 8 marzo 2016, n. 9442
Ritenuto in fatto
1.1 Con sentenza del 22 ottobre 2013 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza del GUP del Tribunale della stessa città del 21 novembre 2011 con la quale C.S. , imputato dei reati di concussione (art. 317 cod. pen.) e violenza sessuale (art. 609 bis cod. pen.) continuati reati commessi in Genova dal mese di settembre al 28 ottobre 2010, era stato condannato alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione, così diminuita per il rito, oltre alle pene accessorie di legge.
1.2 La Corte distrettuale, nel richiamare le diffuse considerazioni svolte dal Tribunale, ribadiva alcuni punti rivelatisi fondamentali ai fini della conferma del giudizio di colpevolezza. In particolare la Corte territoriale riteneva attendibili le dichiarazioni della vittima degli abusi sessuali e nessuna valenza probatoria significativa attribuiva ad alcune prove dichiarative assunte nell’interesse dell’imputato (si trattava delle testimonianze di tale B.A. , altro sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri collega dell’imputato, e di tale P.L.A. , conoscente del C. ) in quanto ritenute di carattere ‘neutro’ ai fini della eventuale esclusione di responsabilità. Inoltre la Corte di merito recepiva le argomentazioni del primo giudice in merito ai riscontri costituiti dalle dichiarazioni di altre prostitute, colleghe di lavoro della vittima, che avevano confermato la presenza del C. sui luoghi, anzi nell’abitazione ove la vittima si prostituiva e fornito indicazioni circa gli effettivi comportamenti posti in essere dal C. . In ultimo, con riferimento alla ipotesi delittuosa originariamente contestata al capo A) (il reato di concussione), la Corte di merito riaffermava la tesi del concorso formale tra i due reati stente la diversa oggettività giuridica del bene protetto dalla norma ed escludeva, infine, la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, giudicando assolutamente congrua e rapportata alla estrema gravità dei fatti la pena irrogata dal primo giudice.
1.3 Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato a mezzo del proprio difensore, deducendo con un primo motivo difetto di motivazione ed inosservanza della legge processuale penale (art. 192 cod. proc. pen.) in riferimento alla mancata valutazione delle prove dichiarative offerte dai testi B. e P. , incidenti sulla asserita attendibilità intrinseca della persona offesa. Con un secondo motivo viene dedotta l’erronea applicazione della legge penale (art. 319 quater cod. pen.) come introdotto dalla L. 190/12, dovendosi ritenere la condotta posta in essere dal C. ricompresa nel paradigma normativo di tale articolo e non in quello dell’art. 317 cod. pen. come originariamente formulato, a seguito delle riforma legislativa intervenuta con la legge 190/12 che ha distinto nettamente la figura delittuosa della concussione da quella della induzione indebita. Con il terzo motivo viene dedotta carenza di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e mancanza assoluta di motivazione in ordine alla circostanza attenuante di cui all’art. 323 bis cod. pen. invocata in sede di giudizio di appello, ma non esaminata dalla Corte territoriale.
1.4 Con motivi aggiunti ritualmente e tempestivamente proposti, la difesa del C. reitera con ulteriori argomentazioni, a seguito anche della decisione delle S.U. di questa Corte del 14 marzo 2014, la richiesta di derubricazione della condotta concussiva nella meno grave ipotesi della induzione indebita, stante l’assenza di condotte coercitive o comunque minacciose con conseguente incompatibilità della figura delittuosa di cui all’art. 609 bis cod. pen..
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato nei termini e limiti che seguono. Come premessa in fatto va ricordato che al C. vengono contestati i reati di cui agli artt. 81 cpv. 317 cod. pen. e 609 bis – 609 septies comma 4 n. 3 cod. pen. ‘perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con abuso della sua qualità di Comandante della Stazione CC. di (omissis) , ed in particolare mentre effettuava controlli nei confronti delle cittadine extracomunitarie che esercitavano la prostituzione nel centro storico, costringeva in più occasioni O.F.V.A. ad avere con lui rapporti sessuali, sia vaginali che anali, gratuitamente, in particolare prospettandole nel corso del controllo la possibilità di rilevare delle irregolarità rispetto alla sua posizione sul territorio nazionale’. (Reati commessi in (omissis) ).
Con il primo motivo la difesa intende stigmatizzare la decisione della Corte di merito in ordine alla motivazione, a suo giudizio assolutamente carente, circa la valenza delle dichiarazioni dei testi B. (collega di lavoro dell’imputato) e P. (conoscente dell’imputato): secondo la Corte territoriale il significato di tali testimonianze che facevano riferimento ad un possibile rapporto empatico tra la persona offesa e il C. sarebbe neutro laddove, a detta della difesa, tale rapporto costituirebbe la prova implicita della inattendibilità delle accuse mosse dalla O.F. e del consenso da parte sua alle prestazioni sessuali senza che fosse configurabile il metus reverentialis di cui fa ampio cenno il primo giudice e, di seguito, la Corte distrettuale.
2.1 La censura non è fondata: correttamente la Corte ha ritenuto ininfluenti tali testimonianze, o quanto meno, indifferenti in quanto il nucleo fondamentale della colpevolezza del C. risiede nelle dichiarazioni, confermate anche in sede di incidente probatorio, rese dalla donna che ha parlato in modo chiaro dello stato di soggezione in cui si era trovata nelle occasioni in cui il C. si era recato nell’appartamento ove la donna esercitava il meretricio, quando l’uomo, interrotta la procedura di controllo in atto e prospettate alcune irregolarità soprattutto per quel che riguardava l’aspetto del contratto di locazione, aveva iniziato ad accarezzare alcune parti intime della donna, accompagnando il gesto con frasi galanti per poi concludere con un rapporto sessuale completo, in una prima occasione per via vaginale ed in una seconda occasione, per nulla gradita dalla donna, per via anale.
2.2 In particolare la Corte territoriale riporta la frase riferita dalla vittima in risposta dalla domanda specifica rivoltale dal Pubblico Ministero circa le ragioni per le quali la donna aveva acconsentito al rapporto sessuale, ‘… Perché io avevo paura, perché lui è un Carabiniere, si suppone che è una Autorità; pensavo che magari mi potesse dire che devo andare via… Io sono emigrante, era sempre tenevo paura di lui’. Non solo la Corte di merito si è analiticamente soffermata sulla coerenza logica delle affermazioni della donna, ma ne ha anche sottolineato l’assenza di astio o di volontà ritorsive, escludendo del pari qualunque intento calunniatorio (non va dimenticato a tale proposito che la O.F. si determinò a presentare la denuncia solo perché pressata da alcune sue colleghe indispettite per l’atteggiamento ritenuto prevaricatore del militare). Ed, a riscontro delle affermazioni della donna, la Corte ha sottolineato che altre donne colleghe di lavoro della prima avevano più volte notato il C. (indicato come ‘il solitario’ per via dei controlli eseguiti sempre da solo) recarsi nella abitazione della O.F. sempre in divisa ed assumere, davanti alle donne che si trovavano a ridosso della abitazione della O. , atteggiamenti tali da far ritenere che il gesto di prendere appunti fosse un modo per non destare sospetti su quanto successo in precedenza nell’incontro a solo con la stessa O. .
2.3 Sotto altro profilo non può non rilevarsi che le deduzioni difensive si risolvono in censure di fatto in quanto prospettano una ricostruzione degli avvenimenti alternativa rispetto a quella esposta dalla Corte di merito e che eventuali rapporti cordiali o persino affettuosi (come il bacio sulla guancia dato dalla O. al C. notato dal teste P. in occasione di una sua passeggiata in compagnia dell’imputato lungo le stradine del centro storico di (…), sede delle attività prostitutive) non fossero comunque risolutivi nel senso di far ritenere del tutto liberi e consensuali i rapporti sessuali tra i due, con motivazione che si sottrae a qualsiasi censura di tipo logico.
A diversa soluzione deve invece pervenirsi con riferimento al secondo motivo: la questione prospettata dalla difesa attiene alla tematica introdotta dalla L. 190/12 concernente alcune nuove figure di reati contro la pubblica amministrazione ed il riassetto normativo di preesistenti figure delittuose comprese nel Titolo II, Capo 1 del Cod. pen. Il Collegio è chiamato a pronunciarsi su tale questione afferente alla qualificazione giuridica della condotta alla luce delle modifiche normative apportate dalla L. 6.11.2012 n. 190 entrata in vigore il 28 novembre 2012, in forza delle disposizioni contenute nel comma 2 dell’art. 609 cod. proc. pen. u.p. che prevedono la cognizione da parte della Corte di cassazione delle questioni non deducibili in grado di appello: a riprova di ciò va, infatti, segnalato che l’appello avverso la sentenza del G.U.P. era stato proposto in data 30 marzo 2012, quando ancora la nuova disciplina era di là da venire, avanzando una richiesta, in via subordinata, di qualificazione della condotta come ‘corruzione ex art. 319 cod. pen.’ non condivisa, però, dalla Corte territoriale che ha mantenuto l’imputazione nei confini di cui al previgente art. 317 cod. pen..
3.1 Prima di esaminare in modo più specifico la questione di diritto sollevata dalla difesa occorre far cenno delle modifiche introdotte dalla legge 190/12 che all’art. 1 par. 75 prevede ulteriori figure di reato rispetto a quelle già previste dal codice di rito, tra le quali quella di cui all’art. 319 quater cod. pen. (Induzione indebita a dare o promettere utilità) che così dispone: ‘Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni’. Deve anche farsi espresso cenno delle modifiche apportate agli artt. 322 bis e 323 bis cod. pen.. Nel previgente testo di cui all’art. 322 bis è contemplato l’inserimento nel secondo comma, dopo le parole ‘Le disposizioni degli articoli’ della seguente espressione ‘319-quater, secondo comma’ ed ancora nella rubrica, dopo la parola ‘concussione’ vengono inserite le seguenti: ‘induzione indebita a dare o promettere utilità’; nell’art. 323-bis, dopo la parola: ‘319’ sono inserite le seguenti: ‘319-quater’.
3.2 Così delineato il quadro normativo di riferimento, la tesi difensiva poggia su una riqualificazione della condotta attribuita al C. , nella sua qualità di Pubblico Ufficiale, in stretta correlazione sia con il capo di imputazione che con le stesse dichiarazioni rese dalla persona offesa che non hanno mai fatto cenno né di comportamenti costrittivi, né di comportamenti minacciosi, né di comportamenti comunque violenti. Proseguendo nella esegesi del nuovo testo normativo, la difesa ipotizza una condotta inquadrabile comunque nello schema dell’art. 319 quater cod. pen. e non, come originariamente contestato e come ritenuto dalla Corte territoriale, nell’art. 317 cod. pen., prospettando una figura di cd. ‘concussione attenuata’ caratterizzata dalla prospettazione da parte del P.U. di vantaggi (o mancata svantaggi) e dalla accettazione da parte del destinatario della proposta illecita.
3.3 Nel ripercorrere gli orientamenti giurisprudenziali formatisi all’indomani dell’entrata in vigore delle nuove norme codicistiche, la difesa del ricorrente dà conto di tre iniziali diversi indirizzi assunti da questa Corte Suprema in ordine al significato da attribuire alle condotte induttive ed alle differenze intercorrenti con le condotte costrittive nonché al diverso criterio interpretativo da seguire in tema di distinzione tra le due condotte sopra descritte e ritiene che la linea di confine tra la fattispecie di concussione e quella di induzione indebita a dare e promettere utilità vada interpretata nel senso che la fattispecie di induzione indebita di cui all’art. 319 quater cod. pen. è caratterizzata da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, tale da consentire al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e da permettere allo stesso di perseguire un suo indebito vantaggio che giustifica la sua, sia pur ridotta punibilità, mentre l’ipotesi della concussione per costrizione di cui all’art. 317 cod. pen. si caratterizza per una condotta costrittiva del pubblico ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, escludendone, quindi, la punibilità.
3.4 Le S.U. di questa Corte, intervenute a sopire i contrasti interpretativi e stabilire un criterio ragionevolmente certo discretivo tra la condotta di induzione indebita e quella di concussione per costrizione propriamente detta, hanno risolto la questione nei termini enunciati nella decisione M. ed altri (S.U. 24.10.2013 n. 12228, Rv. 258470) affermando il principio secondo il quale ‘Il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen. nel testo modificato dalla I. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen. introdotto dalla medesima l. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico’.
3.5 Va doverosamente precisato che il principio affermato dalla Corte Suprema non può però essere inteso in senso assoluto e tale da valere per tutte le possibili fattispecie in cui può ravvisarsi una condotta comunque illecita del p.u. si da determinare un comportamento da parte del soggetto passivo diverso da quello che egli assumerebbe in circostanze per così dire ‘ordinarie’ o ‘normali’ (per riferimenti sul punto vds. Sez. 3^ 7.5.2014 n. 37839, C. e altro, Rv. 261750).
3.6 In un passo della decisione la S.C. afferma che il principio suddetto costituisce una regola generale da applicare ordinariamente a quei casi facilmente o chiaramente interpretabili, mentre in presenza di casi ambigui, definiti vere e proprie ‘zone grigie’, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato ‘all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, dovendosi cogliere di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta’.
3.7 È stato, così, precisato che il criterio distintivo tra la nozione di costrizione (costitutivo del delitto previsto dall’art. 317 cod. pen. affrancato dalla modalità induttiva) e quella di induzione (costitutiva della nuova fattispecie di cui all’art. 319 quater cod. pen. derivata dallo sdoppiamento dell’originaria fattispecie concussiva), deve essere individuato nella bipartizione minaccia – non minaccia, che rappresenta l’altra faccia della medaglia rispetto alla bipartizione costrizione – induzione ricavabile dal dato normativo (v. Sez. 3^ 37839/14 cit.).
3.8 La nozione di induzione da un lato va determinata in connessione con l’abuso di potere o qualità dell’agente pubblico nonché con l’elemento della punibilità del privato (aspetto, quest’ultimo, non ricorrente ratione temporis nella vicenda in esame per quanto attiene alle condotte dell’extraneus) e, dall’altro, va vista come ‘alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un rapporto comunicativo non paritario, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l’ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi facenti capo alla p.a.’ con la conseguenza – prosegue la Corte – che ‘è proprio il vantaggio indebito che, al pari della minaccia tipizzante la concussione, assurge al rango di criterio di essenza della fattispecie induttiva…’, riconoscendo, quindi, che ‘il criterio del danno-vantaggio non sempre consente, se isolatamente considerato nella sua nettezza e nella sua staticità, di individuare il reale disvalore di vicende che occupano la cd. ‘zona grigia’.
3.9 Tali precisazioni obbligano quindi l’interprete ad una analisi accurata della fattispecie concreta che tenga conto di tutti i dati circostanziali, del complesso dei beni giuridici in gioco, dei principi e dei valori che governano lo specifico settore di disciplina: tanto in conseguenza della natura estremamente variegata di particolari situazioni, nelle quali l’extraneus, per effetto dell’abuso posto in essere dal soggetto agente p.u., può, contestualmente, evitare un danno ingiusto ed acquisire un indebito vantaggio ovvero, pur di fronte ad un apparente vantaggio, subire comunque una coartazione.
È dunque alla luce di tale regola di diritto (regola, peraltro, riaffermata da pronunce ancor più recenti tra le quali meritano di essere segnalate Sez. 6^ 21.5,.2014 n. 39089, Theodoriudis, Rv. 260794; idem 15.7.2014 n. 47014, Virgadamo ed altri, Rv. 261008; Sez. 3^ 37839/14 cit. in cui si è affermato che ‘Integra il delitto di concussione, come modificato dall’art. 1, comma 75, L. n. 190 del 2012, la condotta di due militari che, dopo aver accompagnato di notte in caserma due prostitute per controlli, ottengono dalle donne prestazioni sessuali in cambio dell’immediato rilascio, prospettando loro – in caso contrario – il trattenimento fino al giorno successivo per il foto segnalamento’), che occorre riguardare i fatti oggetto del presente processo al fine di verificare se nel comportamento posto in essere dal C. possano rinvenirsi gli estremi, o meno, del delitto di cui all’art. 319 quater cod. pen..
Ritiene il Collegio che nel caso in esame – alla luce anche delle indicazioni fornite dalla stessa parte offesa – manchino condotte costrittive vere e proprie (ancorché la O.F. abbia precisato, in riferimento all’episodio del rapporto preternaturale, che ella non si sarebbe determinata ad accettarlo se non avesse provato una sorta di metus reverentialis pur senza che da parte del C. fosse stato posto in essere un comportamento costrittivo o anche larvatamente minaccioso), sicché la fattispecie va, in effetti, inquadrata nella diversa ipotesi delittuosa di cui all’art. 319 quater cod. pen..
5.1 Tale riqualificazione della condotta non implica, però, come preteso dalla difesa, la automatica inconciliabilità della ipotesi delittuosa di violenza sessuale, stante l’asserita assenza della costrizione.
5.2 La condotta di violenza sessuale contestata ab origine prevedeva l’ipotesi della costrizione per come è dato leggere nel capo di imputazione; ma alla luce della diversa qualificazione del reato di concussione in termini di indebita induzione, anche il reato di cui all’art. 609 bis cod. pen. deve essere rimodulato nella diversa fattispecie di cui al secondo comma n. 1 della norma suddetta che, come è noto, sanziona con la stessa pena prevista dal comma 1 la condotta di colui che induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto. È infatti innegabile che la O.F. , proprio perché intimorita dalla presenza di un Carabiniere che lei considerava una Autorità e soprattutto, preoccupata per eventuali conseguenze negative che comunque il militare non aveva formulato in modo esplicito se non con un blando riferimento al contratto di locazione, è stata indotta a cedere alle profferte sessuali del C. tanto in occasione della sua prima visita (nella quale più decisa è apparsa la condotta abusante ed induttiva dell’imputato), quanto in occasione della seconda visita relativamente alla quale la donna ha parlato di ricerche insistenti e pressanti della sua persona da parte del C. senza tuttavia indicare in modo preciso i comportamenti da questi posti in essere nell’atto di compiere l’atto sessuale preternaturale.
5.3 Può dirsi pacifico nella giurisprudenza di questa Corte il concorso formale tra il reato di concussione e quello di violenza sessuale essendo diversi i beni giuridici protetti posti a salvaguardia di distinti valori, rappresentati, rispettivamente, dal buon andamento della P.A. e dalla libertà di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale (in termini Sez. 6^ 9.1.2009 n. 9528, Romano ed altri, Rv. 243049; Sez. 3^ 20.11.2007 n. 1815, Rizza, Rv. 238568; Sez. 6^ 4.11.2010 n. 8894, G, Rv. 249652).
5.4 Ma non dissimili conclusioni vanno assunte con riferimento alla ipotesi del delitto di induzione indebita come configurato dall’art. 319 quater cod. pen. ed al concorrente delitto di violenza sessuale nella forma prevista dal comma 2 n. 1 dell’art. 609 bis cod. pen., in quanto anche in questo caso i beni giuridici protetti sono diversi; la condotta induttiva costituisce un nucleo comune che caratterizza i due reati i quali possono però tra loro concorrere essendo strutturalmente diverse anche le condotte. Ma soprattutto deve essere precisato che anche nella ipotesi di violenza sessuale per induzione collegata al delitto di cui all’art. 319 quater cod. pen., il margine di autodeterminazione della vittima è comunque limitato sicché non può certo parlarsi di consenso liberamente dato: e tanto basta per riaffermare che le due ipotesi delittuose sopra descritte possono tra loro concorrere.
5.5 Ed infatti mentre nella ipotesi contemplata dall’art. 319 quater cod. pen. il soggetto agente p.u. induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, nella ipotesi disciplinata dal comma 2 n. 1 dell’art. 609 bis cod. pen., la condotta punibile va individuata nell’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, a differenza di quanto accade nella condotta costrittiva di cui al comma primo in cui è prevista anche l’ipotesi dell’abuso di autorità, non necessariamente presente nel comma 2: in altri termini mentre l’abuso visto in relazione all’art. 319 quater cod. pen. è riferibile al soggetto agente, quello visto in relazione all’art. 609 bis comma 2 è riferibile alle condizioni del soggetto passivo, senza che sia necessario che l’agente abbia agito con abuso delle sue qualità.
5.6 Invero l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 609 bis comma 2 n. 1 cod. pen. si realizza come ripetutamente affermato da questa Corte – quando con un’opera di persuasione sottile e subdola l’agente convince la persona che si trova in posizione di debolezza per le più svariate ragioni ad aderire ad atti sessuali che altrimenti non avrebbe compiuto e necessita quindi di un comportamento positivo di tipo induttivo concretizzantesi in un doloso sfruttamento dello stato di inferiorità psichica (o fisica) della vittima che viene strumentalizzato per accedere alla sua sfera intima, sicché il soggetto passivo diviene un mezzo per l’altrui soddisfacimento sessuale (Sez. 3^ 14.4.2010 n. 20766, T. ed altro, Rv. 247655; v. anche Sez. 3′ 22.2.2007 n. 14141 P. ed altri, Rv. 236202; idem 27.1.2014 n. 16899, I, Rv. 263344).
In conclusione va affermato il principio di diritto secondo il quale il delitto di induzione indebita di cui all’art. 319 quater cod. pen. può concorrere con il reato di violenza sessuale per induzione di cui al comma 2 n. 1 cod. pen. essendo diversi i beni giuridici protetti e soprattutto, differenti sul piano strutturale le condotte poste in essere in quanto mentre l’abuso insito nel delitto di induzione indebita va riferito al soggetto agente, quello insito nel delitto di violenza sessuale va riferito al soggetto passivo del reato ferma restando quale elemento comune una condotta induttiva di tipo approfittatrice tale da condizionare – seppur al di fuori di condotte violente, minacciose o costrittive – la volontà del soggetto passivo.
Si impone, quindi, alla luce della riqualificazione delle condotte nei termini dianzi esposti, l’annullamento della sentenza in parte qua con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova che nell’esame della fattispecie dovrà attenersi ai principi di diritto come sopra enunciati.
Ma identica soluzione, in termini di annullamento con rinvio, va adottata con riferimento al terzo motivo di ricorso riguardante il trattamento sanzionatorio.
8.1 Quanto, infatti, al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte di merito ha espresso un giudizio negativo legato alla estrema gravità dei fatti tenuto conto sia della posizione pubblica dell’imputato che della situazione estremamente precaria in cui versava la vittima: ma la riqualificazione delle condotte nei termini enunciati da questa Corte impone una rivisitazione del giudizio, risultando innegabilmente meno grave la condotta sanzionata dall’art. 319 quater cod. pen. rispetto a quella prevista dall’art. 317 stesso codice come originariamente contestata ed essendo comunque diversa, anche se punita nello stesso modo, la condotta riferibile all’art. 609 bis cod. pen. nei termini riqualificati da questa Corte.
8.2 Ma il trattamento sanzionatorio complessivo va rivisto anche in riferimento ad altra possibile attenuante contemplata dall’art. 322 bis cod. pen. espressamente invocata dalla difesa in sede di discussione dell’appello, senza che da parte della Corte di merito sia stata espressa alcuna considerazione al riguardo sicché, sotto tale specifico profilo, ricorre il vizio denunciato di omessa motivazione, tanto più che la condotta contestata in origine è stata degradata nella meno grave ipotesi di cui all’art. 319 quater cod. pen. Sul punto dovrà quindi la Corte di merito in diversa composizione, in sede di rinvio verificare la concedibilità, o meno, della circostanza attenuante di cui all’art. 323 bis cod. pen..
In conclusione la Corte di Appello in sede di rinvio dovrà rivedere il trattamento sanzionatorio nella sua globalità alla luce delle regole interpretative indicate da questa Corte ed alla luce della diversa qualificazione giuridica dei fatti che obbligano a rivedere il giudizio anche in relazione ai parametri generali contenuti nell’art. 133 cod. pen..
P.Q.M.
Riqualificati i fatti contestati come reati previsti dagli artt. 81 cpv. 319 quater e 609 bis c.2 cod. pen., annulla la sentenza impugnata e rinvia per la verifica della sussistenza delle attenuanti generiche e delle attenuanti di cui all’art. 323 bis cod. pen e per il trattamento sanzionatorio ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.
La Corte dispone altresì che copia del dispositivo della presente sentenza venga trasmessa all’Amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico.
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