Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  7 novembre 2013, n. 25047

 

Svolgimento del processo

1. E..D. , quale trasportato nell’autovettura condotta da C..S. , convenne in giudizio il proprietario/conducente del mezzo e l’Assicurazione, chiedendo i danni subiti in esito alla fuoriuscita di strada dell’auto, che aveva urtato contro un muretto procurandogli lesioni personali.
Il Giudice di Pace rigettò la domanda.
Il Tribunale di Bologna respinse l’appello (sentenza del 4 dicembre 2007).
2. Avverso la suddetta sentenza, D. ha proposto due distinti ricorsi, dei quali il secondo in sostituzione del primo; ciascuno con due motivi; in prossimità dell’udienza ha depositato memoria. L’Assicurazione ha resistito al primo ricorso, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità, anche per mancanza dei quesiti. In prossimità dell’udienza ha depositato memoria, eccependo la consumazione del potere di impugnazione, e si è difesa nei confronti del secondo ricorso.
Il S. , ritualmente intimato, non si difende.

Motivi della decisione

1. È priva di fondamento l’eccezione della Assicurazione, secondo la quale il potere di impugnazione si sarebbe consumato con il primo ricorso, privo dei quesiti di diritto.
1.1. Costituisce principio costantemente affermato, rispetto all’appello e al ricorso per cassazione, dalla giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui, dalle disposizioni del codice di rito (artt. 358 e 387 cod. proc. civ.) discende che, la riproponibilità della stessa specie di impugnazione, mediante atto sostitutivo del primo (tra le tante, Sez. Un. 15 novembre 2002, n. 16162), nel termine di impugnazione breve, decorrente dalla notificazione della sentenza impugnata e, in mancanza di tale notificazione, dalla data di notifica della prima impugnazione, che equivale alla conoscenza legale della decisione impugnata, (tra le tante, Cass. 12 novembre 2010, n. 22957), trova ostacolo nell’intervenuta pronuncia (di inammissibilità/improcedibilità/estinzione) sulla prima impugnazione, al tempo della proposizione della seconda.
Le applicazioni sono numerose e, sempre, fondate sulle richiamate norme di procedura, anche per i riti speciali (Cass. 5 giugno 2007, n. 13062); talvolta, sono più esplicite sul punto (es., Cass. 7 settembre 1999, n. 9475; Cass. n. 22957 del 2010, cit.); talaltra, richiamano il principio costituzionale del giusto processo in riferimento all’esplicarsi del diritto di difesa nelle impugnazioni (da ultimo Cass. 18 luglio 2011, n. 15721).
1.2. Sempre dalla giurisprudenza di legittimità, risulta inequivocabile la necessità che il secondo atto non sia integrativo, ma sostitutivo del primo.
Infatti, innumerevoli pronunce non delimitano l’ampiezza del potere di impugnazione esplicato con l’atto sostitutivo riproposto, potendo quest’ultimo essere identico o diverso rispetto ai motivi di censura, purché sostitutivo (tra le tante, Cass. n. 22957 del 2010, cit.; Cass. n. 26319 del 2006, cit.; Cass. 12 luglio 2006, n. 15873). Ampiezza che, da ultimo, ha trovato applicazione in riferimento al requisito del quesito di diritto previsto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., ammettendosi ricorsi sostitutivi del precedente, mancante dei suddetti quesiti (es., Cass. 31 maggio 2010, n. 13257).
Mentre, è rimasta del tutto isolata (risultando confermata solo da Cass. 18 marzo 2005, n. 5953, in una specie in cui non veniva in rilievo la difformità tra primo e secondo atto, cfr. motivazione) l’unica pronuncia (Cass. 8 marzo 2000, n. 2607) in cui si afferma che il nuovo ricorso “non può contenere ulteriori motivi di censura, dovendosi ritenere che il diritto di impugnazione si sia esaurito con la proposizione del primo”.
1.3. Quanto al vizio del primo atto, che il secondo atto intende sostituire, dalla giurisprudenza di legittimità (es., Cass. 27 ottobre 2005, n. 20912; Cass. 21 luglio 2000, n. 9569) risulta inequivocabilmente che il vizio può essere: a) di carattere strutturale, per il mancato rispetto delle norme processuali che disciplinano i requisiti di contenuto-forma dell’atto; b) di carattere funzionale, per il mancato rispetto delle norme processuali dettate per la instaurazione del contraddittorio dinanzi al giudice.
1.4. In conclusione, sulla base della giurisprudenza di legittimità l’eccezione sollevata deve essere rigettata in applicazione del seguente principio di diritto: “Affinché il potere di impugnazione della parte non possa ritenersi consumato, la riproponibilità di una impugnazione (operando gli stessi principi per l’appello e per il ricorso per cassazione) della stessa specie, con un secondo atto, è condizionata: – dal carattere sostitutivo del secondo atto rispetto al primo; – dalla tempestività, nel termine di impugnazione breve, decorrente dalla notificazione della sentenza impugnata e, in mancanza, dalla data di notifica della prima impugnazione, che equivale alla conoscenza legale della decisione impugnata; – dalla mancata pronuncia sulla prima impugnazione, riferita al momento della proposizione della seconda; – dall’esistenza di un vizio del primo atto, che il secondo intende sostituire; vizio che può essere: di carattere strutturale, per il mancato rispetto delle norme processuali che disciplinano i requisiti di contenuto-forma dell’atto; di carattere funzionale, per il mancato rispetto delle norme processuali dettate per la instaurazione del contraddittorio dinanzi al giudico”.
1.4.1. Nella specie risultano rispettate tutte le suddette condizioni, con la conseguenza che il secondo ricorso è stato ritualmente proposto. Infatti, esso, contenente rituale procura speciale e i quesiti a conclusione dei motivi (mentre il primo atto era privo della prima e dei secondi), è sostitutivo del primo ed è stato notificato (richiesta del 28 aprile 2008) entro il termine breve decorrente dalla data della notifica del primo ricorso (28 febbraio 2008) e prima che la Corte si pronunciasse sul primo.
2. Con il primo motivo si deducono tutti i vizi motivazionali di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ..
Nel cosiddetto “quesito di fatto” si critica la decisione: nella parte in cui ha valutato la deposizione testimoniale di Gj.Al. , sostenendo che dalla stessa non emergerebbero le incertezze rilevate dal giudice; nella parte in cui ha ipotizzato che il D. fosse in realtà il conducente e non il trasportato; nella parte in cui ha dato rilievo alla dinamica riferita dal danneggiato al consulente tecnico di ufficio (fuori strada nel fosso con ribaltamento dell’auto).
3. Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. 2043 e 2054, 2697 e 2733 cod. civ., nonché dell’art. 18 della L. n. 990 del 1969.
Con il “quesito di diritto”, che lo conclude e che delimita la questione posta all’attenzione della Corte, si sostiene che la confessione giudiziale del proprietario/conducente, valutata unitamente alle risultanze istruttorie (testimonianze, documentazione medica, rapporto di P.G.) avrebbe dovuto condurre alla condanna dell’Assicurazione, non essendo stata raggiunta la prova contraria idonea a superare la presunzione iuris tantum derivante dalla confessione.
4. I motivi, strettamente connessi per via del libero apprezzamento della dichiarazione confessoria resa da uno dei litisconsorti, da effettuarsi da parte del giudice sulla base delle altre risultanze istruttorie, vanno esaminati congiuntamente.
4.1. La Corte di merito ha posto al centro del rigetto della domanda la considerazione che dalle due testimonianze (titolare della carrozzeria, C. , e Gj. ) non risultava provato che il D. fosse effettivamente trasportato e non alla guida dell’autovettura; mentre, l’unica conferma che fosse trasportato proveniva dalle dichiarazioni del proprietario in sede di interrogatorio formale. Nell’esaminare le testimonianze, la Corte di merito ha messo in evidenza che: – il titolare della carrozzeria aveva riferito di non essere intervento per rimuovere il mezzo, avendo dato indicazioni telefoniche di rivolgersi ad altro operatore; – che il cugino Gj. aveva riferito di essere andato a prendere il danneggiato sul posto e non di essersi recato sul luogo del sinistro dopo la permanenza dello stesso all’ospedale.
Nell’apprezzare liberamente le dichiarazioni del confitente, secondo il principio della giurisprudenza di legittimità che ritiene applicabile l’art. 2733, terzo comma cod. proc. civ., le ha ritenute prive di riscontro nelle altre risultanze istruttorie, quanto alla circostanza che il proprietario fosse effettivamente alla guida del mezzo, anche considerando la mancata denuncia del sinistro da parte di questi all’Assicurazione.
4.2. Le censure prospettate in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie non sono idonee a inficiare le argomentazioni della Corte di merito, mancando di decisività.
Dalle critiche, infatti, non emergono elementi che mettano in discussione la circostanza che nessuno dei testi ha potuto verificare la presenza del conducente sul luogo dell’incidente e, quindi, avvalorare la ricostruzione del fatto storico prospettata dal danneggiato, dell’essere stato il proprietario alla guida, con conseguente mancanza di riscontri alla confessione del proprietario assicurato.
4.3. Costituisce consolidato principio diritto quello secondo cui “Nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, il responsabile del danno, che deve essere chiamato nel giudizio sin dall’inizio, assume la veste di litisconsorte necessario, poiché la controversia deve svolgersi in maniera unitaria tra i tre soggetti del rapporto processuale (danneggiato, assicuratore e responsabile del danno) e coinvolge inscindibilmente sia il rapporto di danno, originato dal fatto illecito dell’assicurato, sia il rapporto assicurativo, con la derivante necessità che il giudizio deve concludersi con una decisione uniforme per tutti i soggetti che vi partecipano. Pertanto, avuto riguardo alle dichiarazioni confessorie rese dal responsabile del danno, deve escludersi che, nel giudizio instaurato ai sensi dell’art. 18 della legge n. 990 del 1969, sia nel caso in cui sia stata proposta soltanto l’azione diretta che nell’ipotesi in cui sia stata avanzata anche la domanda di condanna nei confronti del responsabile del danno, si possa pervenire ad un differenziato giudizio di responsabilità in base alle suddette dichiarazioni, in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un lato, e danneggiato ed assicuratore dall’altro. Conseguentemente, va ritenuto che la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e – come detto – litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l’appunto, liberamente apprezzata dal giudice. (Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10311; da ultimo, Cass. 13 febbraio 2013, n. 3567).
4.3.1. La Corte di merito ha fatto corretta applicazione del suddetto principio, avendo liberamente apprezzato la dichiarazione confessoria del proprietario alla luce delle altre risultanze istruttorie; all’esito, escludendo l’attendibilità delle dichiarazioni confessorie del proprietario in ordine alla ricostruzione del fatto storico, in mancanza di diretti riscontri da parte dei testimoni relativamente al soggetto che era alla guida.
Mentre è erronea l’interpretazione che della stessa giurisprudenza viene prospettata in ricorso, quando si sostiene che la dichiarazione confessoria resa dal litisconsorte si presume attendibile, salvo il raggiungimento della prova contraria. La stessa, infatti, è del tutto estemporanea, risultando priva di fondamento normativo e di qualsiasi collegamento con le argomentazioni chiare e univoche della giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto applicabile il terzo comma dell’art. 2733 cod. civ., sulla base del litisconsorzio necessario esistente tra le parti, nel rapporto di danno e nel rapporto assicurativo, in ipotesi di circolazione dei veicoli.
5. In conclusione, le censure non hanno pregio e il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m. n. 140 del 2012, a favore della Assicurazione controricorrente.
Non avendo S. svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spesey6ltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

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