iva

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 6 marzo 2014, n. 10806

Ritenuto in fatto

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello ha respinto l’impugnazione che l’odierno ricorrente aveva proposto dinanzi ad essa contro la condanna, riportata in primo grado, per violazione dell’art. 4 d.lgs. 74/00.
Al T. , infatti, è contestato di avere, quale legale rappresentante della Genber S.r.l., al fine di evadere l’IVA, indicato operazioni non imponibili ai fini IVA per importo superiore a quello delle fatture non imponibili.
2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, il condannato ha proposto ricorso, personalmente, deducendo erronea applicazione della legge penale perché i giudici non hanno tenuto conto che il reato contestato è caratterizzato da un dolo specifico mentre, nella specie, esso non è stato dimostrato ma ci si è limitati a sostenere che l’imputato non poteva non sapere.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

3. Motivi della decisione – Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile. Oltretutto, l’argomento difensivo qui svolto è il medesimo già portato all’attenzione della Corte d’appello che vi ha replicato in modo più che congruo.
Ed infatti, la sentenza è accurata ed analizza lo stesso motivo osservando che “la persona che assume per libera scelta una carica (in questo caso societaria) che comporta, tra l’altro, l’assolvimento di determinati obblighi di rilevanza pubblicistica, qualora rinunci, in assenza di un giustificato motivo all’esercizio dei poteri di controllo che la carica gli attribuisce” non può ritenersi esonerata dalle responsabilità inerenti alla carica.
I giudici evincono la propria convinzione di responsabilità anche dal comportamento dell’imputato di non aver indicato la persona che gli aveva fatto sottoscrivere la dichiarazioni infedele e che lo avrebbe – asseritamente – indotto in errore in buona fede.
D’altro canto, giustamente si fa notare che – diversamente opinando – si svuoterebbe di contenuto l’assunzione di una carica come quella di presidente del consiglio di amministrazione tra le quali rientrava, appunto, il compito di presentare la dichiarazioni annuale ai fini IVA (vaie a dire, il documento destinato a rappresentare il complesso delle operazioni imponibili e non imponibili compiute dalla società nel periodo interessato ed a determinare l’ammontare dell’imposta dovuta).
Non solo, quindi, la motivazione posta alla base delle decisione è adeguata e logica ma non si ravvisa, neppure, alcuna violazione di legge genericamente denunciata con il richiamo alla presunta assenza di prova dell’elemento soggettivo; al contrario, esso è stato argomentato con il risultato che, nella sostanza, la censura del ricorrente costituisce solo uno strisciante tentativo di ottenere da questa corte di legittimità una rivisitazione dei fatti onde trame conclusioni diverse ed a lui più favorevoli.
Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1.000,00 Euro.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1.000,00 Euro.

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