Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 6 maggio 2015, n. 9009
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 4 aprile 2011 n.1440, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma n.25291/2002, ha accolto la domanda proposta dall’appellante S.F. nei confronti del Ministero dell’Interno e del Fondo di Assistenza del personale della Polizia di Stato per il risarcimento danni subiti dal F. a seguito di una caduta in data 25 giugno 1993 sul bordo della piscina del centro sportivo di Tor di Quinto della Polizia di Stato; ha, quindi, condannato gli appellati, in solido tra loro, al pagamento di E 10.930,00, oltre interessi dalla sentenza al saldo e rivalsa delle spese processuali.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno e il Fondo di Assistenza del personale della Polizia di Stato, svolgendo tre motivi.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte intimata.
Motivi della decisione
1. La Corte di appello ha ritenuto dimostrato che sul bordo della piscina, dove cadde il F., vi era «acqua e un
liquido scivoloso». Tanto sulla scorta della deposizione del
teste F. C., il quale, peraltro, per quanto risulta dalla stessa decisione impugnata, sulla natura del «liquido scivoloso nulla (…) sapeva aggiungere».
Sulla base di tale premessa la Corte territoriale ha ritenuto integrata la dimostrazione della violazione da parte degli odierni ricorrenti del principio del neminem laedere, ravvisando «la sussistenza dell’elemento oggettivo della presenza di sostanze solitamente non rinvenibili in quel luogo e di quello soggettivo della loro non visibilità o rilevabilità con la normale diligenza». Ha, quindi, liquidato il danno subito dal F. sulla base della c.t.u., riconoscendo una percentuale invalidante permanente del 7% «anche tenendo conto di altro incidente occorso al F. nel 1994», successivamente, cioè, a quello per cui è causa.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato dalla presenza o meno di materiale oleoso sul bordo della piscina, la sua idoneità a determinare l’evento e la percettibilità dello stesso. Al riguardo parte ricorrente deduce che la Corte di appello ha fondato la decisione sulla esclusiva deposizione del teste C., peraltro amico dell’originario attore, senza spiegare per quale motivo riteneva, invece, inattendibile, in quanto «interessato alla causa» l’altro testimone, Angelo Melle, che aveva escluso la presenza di liquidi scivolosi sul bordo della piscina, e ciò, sebbene costui, in ragione delle sue mansioni di bagnino, poteva conoscere lo stato dei luoghi al momento del sinistro meglio di chiunque altri. Osserva che, in ogni caso, la motivazione risulta insufficiente e contraddittoria, dal momento che non chiarisce se veramente era presente sul bordo della piscina del materiale oleoso e se veramente questo era impercettibile.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art.2043 cod. civ.. Al riguardo parte ricorrente – premesso che la Corte di appello ha fondato l’affermazione di responsabilità sul disposto dell’art. 2043 cod. civ. – osserva che nella motivazione della decisione impugnata non vi- è traccia del riscontro dell’elemento soggettivo e del nesso causale, il cui onere avrebbe fatto carico all’attore. Lamenta, dunque, che, ad onta del richiamo al principio del neminem laedere, la Corte di appello abbia postulato una responsabilità di tipo oggettivo, prescindendo da una condotta colposa o dolosa ascrivibile agli enti convenuti e dalla stessa esistenza di un nesso causale; a quest’ultimo riguardo, precisa che il teste C. non aveva affatto riferito che sul bordo della piscina vi erano «acqua e un liquido scivoloso», bensì che «nel punto in cui (il F.) è caduto vi era acqua e sostanza oleosa di cui non so precisare la natura», non risultando, in tal modo, verificato se la caduta era dovuta alla presenza di acqua o dell’altro non precisato materiale.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione dell’art. 2056 cod. civ.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello si sia limitata a recepire la relazione di c.t.u. senza valutare se la riduzione complessiva dell’integrità psico-fisica fosse ascrivibile all’evento per cui è causa, tenutoyInche di altri due episodi lesivi subiti dal F. successivamente all’evento per cui è causa.
2. 1 primi due motivi di ricorso, suscettibili di esame unitario per la stretta connessione delle censure, meritano accoglimento nei limiti di cui si dirà di seguito.
2.1. Va innanzitutto ribadito che in materia di prova il sindacato di legittimità non può investire il risultato ricostruttivo in sé, affidato al libero apprezzamento del giudice del merito, al quale sono riservate l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, all’uopo, la valutazione delle prove, il controllo della relativa attendibilità e concludenza nonché la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare
i fatti in discussione (ex plurimis, Cass. Sez. Unite, 22
maggio 2013, n. 13175), risultando la cognizione della Corte di cassazione, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.
(nel testo qui applicabile ratione temporis anteriore alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012 cony. in L. n. 134 del 2012) circoscritta alla coerenza e congruità logica delle argomentazioni poste dal decidente a fondamento della
pronuncia (ex plurimis Cass. 13 settembre 2013, n. 20973)
Ciò premesso e precisato, altresì, che, nella specie, le ragioni della decisione si risolvono nei sintetici spunti sopra pressoché integralmente riportati, ritiene il Collegio che – mentre non è sindacabile la valutazione di inattendibilità della deposizione di Angelo Melle, perché, sia pure succintamente, motivata con un possibile interesse del
testimone alla causa in quanto «addetto al controllo dell’ambiente circostante la piscina» (nell’evidente presupposto che si potesse formulare, nei confronti del medesimo testimone, seppure non evocato in giudizio, un addebito per omessa prevenzione) – le deduzioni di parte ricorrente colgono nel segno laddove censurano l’obiettiva carenza, nel complesso della sentenza, del procedimento logico che ha indotto il Giudice di appello, sulla base degli elementi acquisiti dall’altra testimonianza, a un convincimento opposto a quello del giudice di prime cure sui punti nodali della controversia, e cioè: la natura del liquido presente sul bordo della piscina, la sua avvistabilità e quindi, l’esistenza di una correlazione causale tra la caduta lamentata dall’originario attore e una condotta, dolosa o colposa, addebitabile agli enti convenuti secondo il precetto
generale del neminem laedere invocato nella stessa sentenza.
5.2. Valga considerare che il rischio di scivolare sul bordo di una piscina, trattandosi di una superficie normalmente bagnata proprio a ragione dell’attività che vi si svolge, va doverosamente calcolato ed evitato (ad es. utilizzando calzature adeguate e comunque adeguandosi alla massima prudenza), non potendosi poi invocare, una volta che una caduta dannosa si è verificata, come fonte di responsabilità l’esistenza di una situazione di pericolo che rientra nel rischio generico proprio dei luoghi, evitabile in base a una condotta normalmente diligente.
Va, altresì, considerato che, allorquando venga invocata, come nel caso specifico, la regola generale dettata dall’art. 2043 cod. civ., grava sul danneggiato l’onere della prova di un’anomalia dello stato dei luoghi, se non necessariamente integrante gli estremi della c.d. insidia o trabocchetto, comunque, idonea a prefigurare una condotta colposa (o dolosa) della parte convenuta, fornendo, quindi, almeno implicitamente la prova dell’elemento soggettivo ex art. 2043 cod. civ., comunque necessaria.
Inoltre tanto in ipotesi di responsabilità per cose in custodia ex art. 2051 cod. civ., quanto in ipotesi di responsabilità ex art. 2043 cod. civ., quale quella che risulta evocata nel caso specifico, il comportamento colposo del danneggiato (che sussiste anche quando egli abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) può – in base ad un ordine crescente di gravità – o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ.), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell’art. 2051 cod. civ.) e a maggior ragione ove si inquadri la fattispecie del danno nella previsione di cui all’art. 2043 cod. civ..
In particolare, quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.
5.3. Nel caso di specie, quali che siano state le precise espressioni usate dal teste C. con riguardo al liquido presente sul bordo della piscina – e cioè sia che il teste
abbia riferito della presenza di acqua e di «un liquido scivoloso», come ha inteso il giudice di appello, sia, piuttosto, che si sia limitato a parlare di materiale «oleoso», come puntualizza parte ricorrente – la mancanza di qualsiasi ulteriore specificazione in ordine alle circostanza della caduta e, anzi, la precisazione da parte della stessa Corte di appello che il testimone non era stato in grado di precisare la natura del “liquido” in questione rendono insuperabilmente insufficiente la motivazione, in fatto, della sentenza impugnata e, correlativamente, apodittico il giudizio svolto in diritto circa l’ascritta violazione del principio
del neminem laedere.
Vanno, dunque, accolti nei limiti sopra precisati il primo e il secondo motivo di ricorso, con assorbimento del terzo.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, per una nuova valutazione dei fatti dedotti in giudizio, sopperendo al rilevato deficit motivazionale e facendo applicazione dei principi sopra esposti.
La regolazione delle spese del giudizio di cassazione resta affidata al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
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