cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 5 maggio 2015, n. 18507

Ritenuto in fatto

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 13-20 febbraio 2014 con la quale il Tribunale di quello stesso capoluogo, in sede di riesame del decreto del 5 dicembre 2013 del Giudice per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale che, sulla ritenuta sussistenza del reato di cui agli artt. 81 cpv., cod. pen., 10-bis e 10-ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, aveva disposto il sequestro preventivo di beni mobili ed immobili in disponibilità del sig. B.G. , legale rappresentante della Società Consortile per azioni “Art Sannio Campania”, ha accolto l’istanza proposta dal B. annullando il decreto impugnato.

Si imputa al B. di aver omesso il versamento, entro il 31 dicembre 2008, delle ritenute certificate per l’ammontare di Euro 163.617,00 e dell’IVA, dovuta in base alla dichiarazione annuale nella misura di Euro 99.786,00; si contesta altresì di non aver versato l’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno 2008, nella misura di Euro 465.824,00.

A fondamento della propria decisione il Tribunale ha riconosciuto l’estraneità dell’indagato ai reati a lui ascritti perché dimissionario sin dall’8 maggio 2008 e, dunque, non più legale rappresentante della “Art Sannio Campania” alle date di scadenza dei termini per i versamenti omessi (30 settembre dell’anno successivo al periodo di imposta nel quale sono state operate le ritenute per quanto riguarda il reato di cui all’art. 10-bis, d.lgs. 74/2000; il 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento per il reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. 74/2000).

2. Il pubblico ministero ricorrente lamenta che il Tribunale, in violazione dell’art. 234, cod. proc. pen., ha utilizzato semplici fotocopie non autenticate di documenti, privi di data certa, prodotti dalla difesa a sostegno dell’estraneità del B. (lettera di dimissioni, datata 5 maggio 2008, inoltrata al CdA e al collegio sindacale, fotocopia di verbale di assemblea del CdA del 28 maggio 2008, dal quale si evincerebbe che la carica di presidente sarebbe stata affidata a tal Ba.An.Fr. ).

Si tratta, afferma, di documenti acquisiti senza che via sia certezza alcuna della distruzione, smarrimento, sottrazione degli originali e dal contenuto non univoco.

Dalle iscrizioni nel registro delle imprese risulta, invece, che il B. è stato legale rappresentante della “Art Sannio Campania” dal 10 gennaio 2005 al 16 settembre 2010; inoltre era il firmatario del Mod. Unico presentato il 30 aprile 2008 e, dunque, certamente autore del reato di omesso versamento delle ritenute certificate con detta dichiarazione.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e comunque perché proposto per motivi diversi dalla violazione di legge.

4. In generale, deve essere ribadito che nel vigente sistema processuale, che ripudia la prova legale ed è espressamente informato ai principi della non tassatività dei mezzi di prova (artt. 187 e 188, cod. proc. pen.) e del libero convincimento del giudice (art. 192, cod. proc. pen.), non esiste alcuna preclusione all’utilizzo, a fini di prova, della copia fotostatica di un documento che non sia distrutto, smarrito o sottratto o comunque non irrecuperabile.

4.1. L’art. 234, comma 2, cod. proc. pen., infatti, si limita ad autorizzare l’acquisizione della copia del documento, che per qualsiasi causa sia andato distrutto, smarrito o sottratto e non possa più essere recuperato, quando occorra far uso dell’originale, ma la norma non deve essere interpretata come espressione di una regola che pone un limite all’acquisizione delle copie fotostatiche, non contemplando alcun divieto espresso in tal senso.

4.2. Non v’è perciò alcuna preclusione legale all’acquisizione della fotocopia del documento che non sia distrutto, smarrito o sottratto o comunque non irrecuperabile (artt. 189 e 191, comma 1, cod. proc. pen.), residuando in capo al Giudice il solo dovere di dar conto dei criteri adottati in sede di valutazione della relativa prova (artt. 192, comma 1, e 546, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.).

4.3. La giurisprudenza di questa Suprema Corte è costante sul punto; basti richiamare, a titolo esemplificativo, le seguenti pronunce: Sez. 4, Sentenza n. 18454 del 26/02/2008, secondo cui “per l’efficacia probatoria delle copie fotostatiche non è richiesta la certificazione ufficiale di conformità, vigendo, al contrario, nel nostro sistema processuale il principio di libertà della prova sia per i fatti-reato che per gli atti del processo, come può evincersi dall’art. 234 cod. proc. pen. e dalla stessa direttiva n. 1 della legge delega per il nuovo codice di rito, che impone la massima semplificazione processuale con eliminazione di ogni atto non essenziale” (nello stesso senso anche Sez. 3, Sentenza n. 1324 del 27/04/1994); Sez. 2, Sentenza n. 36721 del 21/02/2008, per la quale: “La copia di un documento, quando sia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, ha valore probatorio anche al di fuori del caso di impossibilità di recupero dell’originale”; Sez. 2, Sentenza n. 22184 del 22/05/2007, secondo cui: “Il principio di non tassatività dei mezzi di prova sancito dall’art. 189 cod. proc. pen. consente l’acquisizione e l’utilizzazione del documento prodotto in copia, anche in assenza dell’originale, nei casi in cui il giudice ritenga la copia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, in difetto di specifiche censure inerenti alla genuinità del documento ovvero alla presenza di difetti tecnici che possano inficiarne l’attendibilità. (Fattispecie in tema di duplicato di una videoregistrazione comprovante la commissione del reato da parte dell’imputato)”; Sez. 3, Sentenza n. 5747 del 07/12/2006, per la quale: “Non può dirsi assolutamente inutilizzabile, alla luce dell’art. 234 cod. proc. pen., il documento che una parte produca in copia e non in originale allorché, in applicazione del principio di non tassativita dei mezzi di prova deducibile dall’art. 189 del medesimo codice, il giudice ritenga che la copia sia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti. (Nella fattispecie il Pubblico Ministero aveva prodotto in copia e non in originale la documentazione attestante la proprietà dell’area oggetto di abuso edilizio)”; Sez. 3, Sentenza n. 2065 del 22/01/1997, secondo la quale “il nuovo sistema processuale, non avendo accolto il principio di tassatività della prova, consente al giudice – ex art. 189 cod. proc. pen. – di assumere prove non disciplinate dalla legge, purché ne verifichi l’ammissibilità e l’affidabilità. Pertanto il giudice ben può utilizzare come elemento di prova la copia, anziché l’originale, di un documento, quando essa sia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti. (Fattispecie relativa a rigetto di doglianza attinente alla produzione della copia e non dell’originale del verbale di prelevamento dei campioni degli scarichi dei reflui derivanti da insediamento produttivo); Sez. 3, Sentenza n. 1324 del 27/04/1994, per la quale “Nessuna norma processuale richiede la certificazione ufficiale di conformità per l’efficacia probatoria delle copie fotostatiche; al contrario, vige nel nostro sistema processuale il principio di libertà della prova sia per i fatti-reato sia per gli atti del processo, come può evincersi dall’art. 234 cod. proc. pen. e dalla stessa direttrice n. 1 della legge delega per il nuovo codice, che stabilisce la massima semplificazione processuale con eliminazione di ogni atto non essenziale. (Nella specie la S.C., escluso che tale certificazione sia richiesta, in particolare, dagli artt. 112 cod. proc. pen. e 40 disp. att. stesso codice, che riguardano le copie di originali smarriti, distrutti o sottratti, ha ritenuto che la fotocopia esibita appariva idonea allo scopo, mentre il P.G. aveva sostenuto che la divergenza fra la data di notificazione risultante nell’originale e quella risultante nella copia notificata all’imputato non era dimostrata, in quanto il documento esibito dal ricorrente era una copia fotostatica priva della certificazione)”; Sez. 5, Sentenza n. 10309 del 18/10/1993, per la quale “in tema di documenti, l’art. 234 cod. proc. pen. richiede che essi vengano acquisiti in originale, potendosi acquisire copia solo quando l’originale non è recuperabile; ma poiché il vigente codice di rito non ha accolto il principio di tipicità dei mezzi di prova, tant’è che l’art. 189 cod. proc. pen. si occupa espressamente de “le prove non disciplinate dalla legge”, il giudice può ben utilizzare quale elemento di prova, anziché l’originale, la copia di un documento, quando essa sia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti.

(Fattispecie in tema di copie di videoregistrazioni comprovanti la commissione del reato da parte dell’imputato)”.

4.4. La questione, però, così come posta non riguarda tanto l’acquisizione in sé del documento in copia (questione di diritto comunque manifestamente infondata), ma la sua capacità di provare i fatti in esso rappresentati o da esso desumibili.

4.5. Il vizio denunciato, infatti, attiene piuttosto alla motivazione del provvedimento impugnato ed in particolare alla parte in cui i giudici indicano il documento (la lettera di dimissioni) posto a fondamento della decisione e ne valutano positivamente l’attitudine a dimostrare il fatto in esso rappresentato alla luce delle altre prove documentali richiamate in ordinanza, in assenza di una specifica contestazione sul punto da parte del PM di udienza che, per quanto risulta dal verbale, non contestò l’attitudine probatoria della lettera di dimissioni ma si limitò a rimettersi al Tribunale.

4.6. Non possono certamente essere prese in considerazione, in questa sede, le diverse prove proposte dal PM a sostegno dell’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tribunale, trattandosi di altrettanti vizi di motivazione che, in quanto tali e a prescindere dalla natura fattuale delle censure, non sono scrutinabili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen..

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso del PM.

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