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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 27 marzo 2014, n. 7210

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEGRETO Antonio – Presidente
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14350/2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI PERUGIA;
– intimato –
sul ricorso 16766/2008 proposto da:
COMUNE DI PERUGIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 390/2007 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 14/12/2007, R.G.N. 108/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Con distinti giudizi del luglio 2000 e del luglio 2001 il Comune di Perugia intimava a (OMISSIS) sfratto per morosita’ dall’immobile ubicato nel centro commerciale (OMISSIS), e concessogli in locazione nel ‘94 ad uso negozio e magazzino.
Nella opposizione dell’intimato – che formulava domanda riconvenzionale di danni per vizi della cosa locata e diminuzione di fatturato da degrado del centro commerciale ed apertura di un circolo ricreativo in prossimita’ dell’immobile locato interveniva, nei due giudizi riuniti, la sentenza 27 aprile 2004 con la quale il tribunale di Perugia: – dichiarava la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del (OMISSIS); determinava i canoni dovuti da quest’ultimo dal gennaio ‘96 al giugno 2001 in euro 47.918,16; – determinava il danno subito dal (OMISSIS) a seguito del comportamento del Comune in euro 63.182,30; – condannava conseguentemente il Comune di Perugia al pagamento dell’importo differenziale di euro 15.264,14; condannava il Comune al pagamento delle spese di lite in ragione di un quarto.
Interposto appello principale dal Comune di Perugia ed appello incidentale dal (OMISSIS), interveniva la sentenza n. 390 del 14 dicembre 2007 con la quale la corte di appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza di primo grado: – determinava il danno subito dal (OMISSIS) in euro 12.636,46; – condannava il medesimo, operata la compensazione con il suo maggior debito per i canoni non corrisposti, al pagamento dell’importo differenziale di euro 35.281,70 oltre interessi; – compensava integralmente tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.
Avverso tale sentenza viene proposto ricorso per cassazione dal (OMISSIS) sulla base di tre motivi; resiste il Comune di Perugia mediante controricorso e ricorso incidentale sulla base di quattro motivi. E’ stata depositata memoria ex articolo 378 c.p.c., da parte del Comune.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.1.1 I due ricorsi – iscritti con diversi numeri di ruolo – debbono essere riuniti.
Nel primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), degli articoli 1223, 1576 e 1578 c.c., e articolo 112 c.p.c., poiche’ la corte di appello: – non avrebbe preso in esame, oltre al danno emergente, il lucro cessante riconducibile tanto ai vizi della cosa locata ex articolo 1578 c.c., quanto alla contrazione del fatturato; – ha riconosciuto il danno emergente non gia’ nella sua interezza (nell’importo accertato dal ctu), ma soltanto in ragione del 10%.
Il motivo e’ corredato – ex articolo 366 bis c.p.c., qui applicabile ratione temporis – dai seguenti quesiti di diritto: “il danno subito ai sensi dell’articolo 1578 c.c., dal conduttore di immobile adibito ad uso diverso dall’abitazione deve comprendere sia il danno emergente che il lucro cessante? Ove l’attivita’ commerciale svolta nel locale subisca una contrazione con conseguente perdita di fatturato, il danno risarcibile quale danno emergente e’ costituito da tale perdita? Il giudice che omette di decidere su tutte le domande proposte pone in essere una violazione dell’articolo 112 c.p.c., che inficia la sentenza?”
Nel secondo motivo del ricorso principale si deduce, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 1576, 1578 e 1218 c.c., atteso che la corte di appello, nonostante fosse stata raggiunta la prova che il minor fatturato fosse imputabile interamente al Comune locatore, ha equitativamente ridotto il risarcimento soltanto al 10% del danno subito.
Viene formulato il seguente quesito di diritto: “puo’ essere determinato il danno da lucro cessante in via equitativa ai sensi dell’articolo 1226 c.c., nell’ipotesi in cui il danneggiato abbia dato prova dell’ammontare del danno subito? Nell’ipotesi in cui sia stato individuato un solo fatto generatore del danno subito dal conduttore e tale fatto sia attribuibile al solo locatore, il danno di cui questi e’ chiamato a rispondere e’ costituito dall’intero danno o da una percentuale di tale danno, e il locatore non e’ forse tenuto a dare la prova che il danno e’ conseguente ad un comportamento a lui non imputabile?”.
I due motivi sono suscettibili di trattazione unitaria perche’ entrambi basati – nella comune prospettiva della violazione di legge – sull’erronea liquidazione del danno, equitativamente ridotta al 10%, tanto sull’ammontare dei canoni quanto sulla diminuzione di fatturato.
Essi sono inammissibili perche’ assistititi da quesiti non conformi ai criteri dettati dall’articolo 366 bis cit..
E’ orientamento consolidato (tra le tante: Cass., sez. un., 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass. 17 luglio 2008, n. 19769; Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass. 8 novembre 2010, n. 22704) che il quesito di cui all’articolo 366 bis cit. – dovendo costituire un momento di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale – non puo’ esaurirsi nella mera enunciazione di una regola astratta, dovendo invece presentare uno specifico collegamento con la fattispecie concreta. Esso deve in altri termini raccordare la prima alla seconda, ed entrambe alla decisione impugnata; di cui deve indicare la discrasia con riferimento alle specifiche premesse di fatto. Deve pertanto ritenersi inammissibile il ricorso che contenga quesiti di carattere generale ed astratto, privi di qualunque indicazione sul tipo della controversia, sugli argomenti dedotti dal giudice a quo e sulle ragioni per le quali non dovrebbero essere condivisi. Si e’, in particolare, affermato (Cass. 19 novembre 13 n. 25903) che il quesito di diritto “deve essere formulato in modo tale da esplicitare una sintesi logico-giuridica della questione, cosi da consentire al giudice di legittimita’ di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; in altri termini, esso deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito (siccome da questi ritenuti per veri, altrimenti mancando la critica di pertinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata); b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Sicche’, il quesito non deve risolversi in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilita’ alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi altresi’ desumere il quesito stesso dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass., sez. un., 11 marzo 2008, n. 6420) (…)”.
Tanto premesso, risulta evidente come entrambi i quesiti qui in esame (su riportati) non rispondano ai criteri anzidetti, risolvendosi nell’enunciazione di interrogativi astratti; scollegati dalla concreta fattispecie a cui essi pretendono di riferirsi, della quale non riproducono termini e modalita’ essenziali. Dalla loro lettura – che, come detto, ha rilevanza autonoma, non potendo trovare integrazione o specificazione nella narrativa di illustrazione del motivo – non e’ dato di individuare lo specifico errore di diritto nel quale sarebbe incorso il giudice di appello; e nemmeno la regola di diritto che si assume violata, e la cui corretta applicazione sostitutiva dovrebbe indurre ad una decisione diversa.
Essi risultano a tal punto teorici e scollegati dalla concretezza della fattispecie da non considerare minimamente che la corte di appello: – ha riconosciuto al (OMISSIS) anche il risarcimento del danno da diminuzione di fatturato, che costituisce appunto una tipica voce di lucro cessante; – in tanto la perdita di fatturato puo’ essere imputata al locatore, in quanto sia comprovatamente dipesa dai vizi della cosa locata; su questa premessa, la corte di appello non ha omesso alcuna pronuncia, riconoscendo effettivamente al (OMISSIS) anche il risarcimento del danno da diminuzione di fatturato proprio perche’ ritenuta (anche se solo in parte) derivante dai vizi manutentivi dei locali; – la riduzione del risarcimento a tale titolo (10% della diminuzione complessiva di fatturato cosi’ come accertata dal ctu) risponde al fatto che la corte di appello, proprio sulla base della ctu, ha logicamente ritenuto che tale diminuzione complessiva non potesse essere interamente addebitata al Comune di Perugia, perche’ derivante anche da altri e preponderanti fattori di natura gestionale; – diversamente da quanto vorrebbe il ricorrente, la prova in se’ della diminuzione di fatturato non e’ evidentemente ancora la prova della sua integrale riferibilita’ causale al locatore.
La valutazione equitativa e’ stata adottata dalla corte di appello proprio perche’ non sono stati ritenuti sussistenti, nel caso di specie, elementi per addebitare causalmente al Comune il danno nella sua interezza. Osserva la corte di appello (sent. pag. 9) “Ma se il fattore imputabile al Comune e’ quello dei vizi dei locali per difetto di manutenzione, e’ allora logico, ma soprattutto equo, imputare al Comune la riduzione del fatturato obiettivamente verificatasi, nella stessa percentuale gia’ individuata ai fini della riduzione del canone: vale a dire in misura del 10%”. Tale conclusione poggia sul fatto che la ctu aveva escluso la possibilita’ di accertare tutte le cause che avevano determinato la contrazione del fatturato e, di conseguenza, la possibilita’ di addebitare quest’ultima per intero al Comune. Ne’ “le altre prove richieste dal (OMISSIS) appaiono idonee a dimostrare, neanche qualora dovessero dare il risultato dal medesimo sperato, la imputabilita’ della riduzione del fatturato al Comune”. In tale situazione i quesiti (incentrati sul pregiudizio economico, invece che sul nesso causale) danno per scontato l’opposto assunto (ritenuto indimostrato in sentenza) secondo cui l’intera diminuzione di fatturato sarebbe addebitabile al Comune, senza farsi minimamente carico dell’affermazione della corte territoriale secondo cui (pag. 9) ne’ il degrado del centro commerciale di (OMISSIS) ne’ l’apertura di un circolo ricreativo in prossimita’ dell’immobile locato erano tali da escludere che la diminuzione di fatturato fosse in buona parte derivata “dalla incapacita’ del (OMISSIS) di rendere un servizio maggiormente attraente”.
Il secondo motivo, poi, difetta anche di autosufficienza, dal momento che esso e’ interamente basato sulla valutazione della prova del danno equitativamente stimato dal giudice di merito, ma non riporta, ne’ indica, il contenuto delle prove che quest’ultimo avrebbe dovuto valutare per addivenire ad una diversa decisione.
1.2. Nel terzo motivo del ricorso principale viene lamentata, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), contraddittorieta’ della motivazione, dal momento che la corte di appello avrebbe – da un lato – attribuito al Comune il degrado del centro commerciale che non richiamava piu’ clientela, e – dall’altro – attribuito la causa di contrazione del fatturato a fattori diversi dal contegno del Comune, il quale era stato ritenuto sotto tale profilo responsabile soltanto per quanto concerneva i vizi della cosa locata (ritenuti dal giudice di appello rilevanti in pari misura: sia ai fini della riduzione dei canoni dovuti, sia ai fini del quantum risarcitorio per il minor fatturato).
Il motivo in esame – volto ad evidenziare una lacuna di tipo motivazionale – e’ anch’esso inammissibile perche’ privo del necessario “quesito di fatto” o “momento di sintesi”.
Si e’ in proposito affermato che: “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiche’ secondo l’articolo 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’”. (Sez. U, Sentenza n. 20603 del 01/10/2007); e che: “nella norma dell’articolo 366 bis c.p.c., nonostante la mancanza di riferimento alla conclusivita’ (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al n. 5 del precedente articolo 360 – cioe’ la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione” – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non e’ possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attivita’ di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato articolo 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione e’ conseguentemente inidonea sorreggere la decisione”. (Ordinanza n. 16002 de 18/07/2007). Si tratta di principi anche recentemente ribaditi da sentenza n. 5858 del 08/03/2013, e SSUU Sentenza n. 21672 del 23/09/2013.
D’altra parte, la mancanza qui riscontrabile – lungi da risultare meramente formale – rivela una carenza di natura sostanziale, dal momento che la censura omette di considerare il fulcro della ratio decidendi della corte di appello la quale, pur ammettendo nella loro obiettivita’ tanto il degrado del centro commerciale quanto la diminuzione di fatturato, ha ritenuto non provata l’intera ascrivibilita’ del danno richiesto dal (OMISSIS) al contegno del Comune, con conseguente liquidazione equitativa (10%). Non e’ dato quindi individuare la lamentata contraddittorieta’ motivazionale, dal momento che la decisione della corte di appello si basa su una stima equitativa della percentuale di danno ascrivibile al Comune, in coerenza con l’affermazione per la quale non tutto il danno era comprovatamente addebitabile a quest’ultimo. Senonche’, in presenza di motivazione coerente ed indenne dai lamentati vizi logici, non e’ qui sindacabile il concreto esercizio da parte del giudice di merito del potere di determinazione equitativa del danno.
p.2. Venendo ora al ricorso incidentale, si riscontra in primo luogo che il difensore del Comune di Perugia ha prodotto all’udienza odierna la delibera sindacale 11-16 giugno 2008 di autorizzazione alla costituzione dell’amministrazione comunale nel giudizio di legittimita’ mediante controricorso e ricorso incidentale; ma tale documento non risulta essere stato notificato alla controparte, cosi’ come disposto dall’articolo 372 c.p.c., u.c.. La mancata notificazione preclude – vista la mancata comparizione all’udienza del difensore del (OMISSIS) – la possibilita’ di prendere in esame il documento autorizzativo in questione (mai sottoposto al contraddittorio) e, conseguentemente, di verificare la regolarita’ della costituzione in giudizio e dell’impugnazione incidentale del Comune (Cass. SSUU 2921/88; Cass. 2352/90).
In secondo luogo, il ricorso incidentale e’ stato notificato alla controparte il 23 giugno 2008 e, dunque, oltre il termine breve di impugnazione della sentenza; notificata al (OMISSIS) dallo stesso Comune di Perugia il 17 marzo 2008. Soccorre in proposito il principio per cui i termini di cui all’articolo 325 c.p.c., decorrono dalla notificazione della sentenza non solo per il soggetto cui la notificazione e’ diretta, ma anche per il notificante, attesa la comunanza ad entrambe le parti del termine stesso, e non potendo dubitarsi che la parte che provvede alla notifica della sentenza non solo abbia piena conoscenza legale di questa, ma soprattutto subisca anche gli effetti di quell’attivita’ sollecitatoria ed acceleratoria (espressamente individuata dall’articolo 326 c.p.c., comma 1, nella notificazione della sentenza) che egli impone all’altra parte (Cass. ord. N. 13732 del 12/06/2007; in termini, Cass. 23829/07 ed altre). Vertendosi dunque in ricorso incidentale tardivo, deve farsi applicazione della causa di inefficacia di cui all’articolo 334 c.p.c., u.c., attesa la ravvisata inammissibilita’ dell’impugnazione principale del (OMISSIS).
Ne seguono in definitiva – giudicando nei ricorsi riuniti l’inammissibilita’ del ricorso principale e l’inefficacia di quello incidentale; con compensazione delle spese.
P.Q.M.
riunisce i ricorsi;
dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara inefficace il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese del presente procedimento.

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