Cassazione 6

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 27 agosto 2015, n. 17215

Svolgimento del processo

Con sentenza n.155 del 2010, il Tribunale di Tempio Pausania, sez. distaccata di Olbia – decidendo sulle opposizioni proposte dalla ASL n. X di Olbia avverso i decreti ingiuntivi n. 450 e 451/2008 di pagamento di canoni di locazione emessi ad istanza di F.A. e di F.M.F. – rigettava le opposizioni, ritenendo che non ricorressero i presupposti per il recesso anticipato ex art. 27 L. n. 392/1978 invocato dall’opponente.
La decisione, gravata da impugnazione della ASL n. 2 di Olbia, era confermata dalla Corte di appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari, la quale con sentenza n.832 in data 17.01.2012 rigettava l’appello, condannando l’appellante alle ulteriori spese.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la ASL n. X di Olbia, svolgendo quattro motivi.
Hanno resistito F.A. e F.M.F., depositando distinti controricorsi.

Motivi della decisione

1. La Corte di appello – premesso, in fatto, che il recesso anticipato era stato motivato dalla ASL assumendo che “si erano resi disponibili nuovi locali in cui si sta effettuando il trasferimento dei servizi sanitari prima sistemati nell’immobile in oggetto, in ragione del fatto che tali locali presentano caratteristiche più idonee al loro utilizzo quali strutture sanitarie pubbliche (fra cui ad esempio l’assenza di barriere architettoniche) rispetto all’immobile in oggetto, nonché ai fini dell’accorpamento dei Servizi volto al conseguimento di una maggiore efficienza operativa” e osservato, in diritto, che al contratto di locazione stipulato iure privatorum dall’amministrazione pubblica si applica l’art. 27 L. 392/1978 – ha ritenuto, innanzitutto, che i motivi di recesso dovevano intendersi cristallizzati in quelli manifestati nella lettera di recesso, tra i quali non rientrava “il risparmio di spesa” addotto solo in sede giudiziale; ha, quindi, rilevato che – seppure i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di recesso anticipato andavano adeguati alla specifica attività, anche non imprenditoriale, svolta dalla ASL – la semplice circostanza che la stessa avesse acquisito nuovi locali per trasferire i servizi sanitari, prima esercitati nell’immobile condotto in locazione, non integrava “i gravi motivi” per il recesso anticipato, non ravvisandosi la presenza di fatti sopravvenuti e imprevedibili, bensì di eventi che la conduttrice ben poteva metter in conto e che essa stessa aveva concorso a determinare; ha in particolare osservato che risultava non credibile che l’ASL avesse utilizzato immobili non in regola per i portatori di handicap e che, in ogni caso, la ASL nulla poteva lamentare al riguardo, per la considerazione che si trattava di immobile locato per uso non abitativo senza ulteriore specificazione e, quindi, eventualmente utilizzabile per destinazione ulteriori rispetto alla localizzazione di servizi aperti ai pazienti.
2. Con i quattro motivi di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione dell’art. 115 e dell’art. 27 L. 392/1978, nonché ai sensi dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. In particolare la ricorrente:
2.1. con il primo motivo deduce che la Corte di appello ha errato a ritenere irrilevante, ai fini dell’esercizio del recesso, “il risparmio di spesa”; questo, infatti, doveva intendersi ricompreso tra i motivi adotti per la risoluzione anticipata, dal momento che era stato precisato che il trasferimento della struttura era funzionale all’accorpamento dei servizi e, quindi, al conseguimento di “una maggiore efficienza operativa”, efficienza che, per la PA, consiste in un risparmio di spesa.
2.2. con il secondo motivo di ricorso deduce che la Corte di appello ha errato a ritenere che la disponibilità di nuovi immobili dove allocare uffici e ambulatori, già situati nello stabile dei fratelli F. non costituisse “un grave motivo”; in particolare, contrariamente a quanto affermato nella decisione impugnata, la disponibilità di altro immobile non era affatto prevedibile, atteso che i tempi di costruzione di un’opera pubblica imponente e complessa sono notoriamente lunghissimi e incerti;
2.3. con il terzo motivo di ricorso lamenta che la sentenza ha errato a ritenere non credibile la presenza di barriere architettoniche nell’immobile locato, atteso che è notoria la presenza di uffici pubblici in strutture inadeguate e vetuste e, comunque, la circostanza sarebbe incontroversa;
2.4. con il quarto motivo si duole che la Corte di appello, pur ammettendo che i principi di diritto elaborati in tema di recesso ex art. 27 L. 392/1978 dovessero essere adeguati alla specifica attività e alla natura pubblica della conduttrice, abbia contraddittoriamente omesso di considerare che tutti i locali della pubblica amministrazione, anche quelli non frequentati dal pubblico, devono essere necessariamente privi di barriere architettoniche.
3. Relativamente al primo motivo si osserva che costituisce principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l’onere per il conduttore, di specificare i gravi motivi contestualmente alla dichiarazione di recesso ai sensi dell’art. 27 della legge n. 392 del 1978, ancorché non espressamente previsto da detta norma, deve ritenersi conseguente alla logica dell’istituto, atteso che al conduttore é consentito di sciogliersi dal contratto solo se ricorrano gravi motivi e il locatore deve poter conoscere tali motivi già al momento in cui il recesso é esercitato, dovendo egli assumere le proprie determinazioni sulla base di un chiaro comportamento dell’altra parte del contratto, anche al fine di organizzare una precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso stesso (cfr. Cass. ord. 27 ottobre 2011, n. 22392; Cass. 06 giugno 2008, n. 15058; Cass. 29 marzo 2006, n. 7241; Cass. 26 novembre 2002, n. 16676). È stato in particolare precisato che – pur non avendo il conduttore l’onere di spiegare le ragioni di fatto, di diritto o economiche su cui tale motivo è fondato, né di darne la prova perché queste attività devono essere svolte in caso di contestazione da parte del locatore – si tratta pur sempre di recesso “titolato”, per cui la comunicazione del conduttore non può prescindere dalla specificazione dei motivi, con la conseguenza che tale requisito inerisce al perfezionamento della stessa dichiarazione di recesso e, al contempo, risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo (cfr Cass. 17 gennaio 2012, n. 549).
3.1. Ciò posto, il motivo risulta infondato sotto il profilo della violazione di legge, inammissibile sotto quello motivazionale. Invero la decisione impugnata è conforme ai principi sopra esposti, avendo correttamente escluso che i motivi addotti con la lettera di recesso potessero essere integrati con quello postulato solo in sede giudiziale del “risparmio di spesa”; mentre la censura motivazionale si sostanzia in un’opinabile equiparazione tra “risparmio di spesa” e “maggiore efficienza operativa”, suggerendo un’interpretazione così ampia dei contenuti lettera di recesso, che – prima ancora che risultare meramente alternativa a quella assunta nella decisione impugnata e, come tale, inammissibile anche nella formulazione ante D.L. n. 83/2012 conv. in L. n. 134/2012 del n. 5 cod. proc. civ. dell’art. 360 cod. proc. civ. (qui applicabile ratione temporis) – finirebbe per vanificare le stesse esigenze che il recesso “titolato” deve assolvere.
Il motivo va, dunque, rigettato.
4. Relativamente agli altri motivi di ricorso, suscettibili per la stretta connessione delle censure, di esame unitario, va innanzitutto osservato che costituisce ius receptum che la disposizione dell’art. 27 comma ultimo L. n. 392 del 1978, che consente al conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto per gravi motivi, è applicabile anche ai contratti di locazione contemplati dall’art. 42 stessa legge, ivi inclusi quelli conclusi in qualità di conduttore da un ente pubblico territoriale (cfr. Cass. 22 novembre 2000, n. 15082). Inoltre – come correttamente evidenziato nella decisione impugnata – una volta che l’amministrazione pubblica agisca iure privatorum stipulando un contratto di locazione come conduttore, non si sottrae ai principi costantemente predicati in materia da questa Corte, secondo cui la situazione assunta come giustificativa del recesso anticipato ex art. 27 comma 8 cit. non può attenere alla soggettiva e unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all’opportunità o meno di continuare ad occupare l’immobile locato, ma deve avere carattere oggettivo, sostanziandosi in fatti involontari, imprevedibili, sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore medesimo la prosecuzione del rapporto locativo.
Valga, altresì, considerare che – seppure è indubbio che la scelta di recedere non può prescindere dall’apprezzamento dell’attività esercitata dal conduttore, quale indicata dall’art. 27, oppure contemplata direttamente o indirettamente nell’art. 42 citato, con la conseguenza che, ove la scelta di recedere sia operata da un ente pubblico, non può prescindersi dal profilo delle attività e dei compiti ad esso affidati – è altrettanto certo che la qualificazione pubblicistica del conduttore, una volta che lo stesso si sia avvalso dello strumento privatistico, non consente di ritenere che la legittimità del recesso sia apprezzata, dando rilievo esclusivamente alle determinazioni perseguite dal soggetto pubblico, seppure nell’adempimento delle sue funzioni (cfr. Cass. 19 dicembre 2014, n. 26892, che – in una fattispecie non dissimile a quella di cui al presente ricorso – ha ritenuto che la decisione di un Comune di far costruire un proprio immobile per ospitarvi detta scuola non costituisse, di per sé, motivo idoneo recesso anticipato dal contratto in corso, benché il completamento dell’edificio fosse avvenuto prima della scadenza convenzionale dello stesso e l’operazione fosse economicamente conveniente, essendo necessario che tale scelta fosse stata determinata da un’esigenza oggettiva, finalizzata a soddisfare l’interesse pubblico in questione in modo più idoneo rispetto a quanto già non avvenisse tramite l’utilizzo del bene condotto in locazione).
4.1. Orbene la decisione impugnata si colloca perfettamente nell’alveo dei principi sopra indicati, giacché – muovendo dal ragionevole presupposto che la ASL avesse assunto in locazione un immobile idoneo all’espletamento dei servizi sanitari localizzati (e, perciò, escludendo che la stessa Azienda, avente in materia specifici compiti di vigilanza, avesse adibito a strutture sanitarie locali in violazione della normativa di settore) – ha evidenziato, come la scelta di acquisire o liberare nuovi locali, in mancanza di dimostrazione di situazioni in qualche modo cogenti, costituiva espressione di una libera volontà e determinazione del soggetto conduttore e, soprattutto, discendeva da circostanze che avrebbero potuto e dovuto essere prevedute, con l’ordinaria diligenza, già al momento del rinnovo della locazione; così che essa non poteva pregiudicare l’aspettativa del locatore alla prosecuzione del rapporto sino alla sua scadenza.
Ciò posto e precisato, altresì, che la verifica della sussistenza o meno degli elementi che rendono particolarmente gravosa la prosecuzione del rapporto locativo, quale uno dei presupposti necessari perché siano ravvisabili “i gravi motivi” legittimanti il recesso del conduttore ex art. 27 cit., è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, risultando insindacabile in sede di legittimità se sorretta da congrua e coerente motivazione, rileva il Collegio che la decisione impugnata non presenta alcuna incongruenza logico-argomentativa, dando conto in maniera più che esauriente della valutazioni espresse.
In particolare, contrariamente a quanto opinato da parte ricorrente, l’affermazione, secondo cui l’esistenza di barriere architettoniche risultava non credibile, non è affatto apodittica, trovando giustificazione nella premessa di principio circa l’esistenza di una presunzione di legittimità delle determinazioni assunte dalla ASL al momento della stipula del contratto di locazione. Né vi è alcuna insanabile contraddizione tra l’avere ritenuto che, nella valutazione dei “gravi motivi” occorresse avere riguardo all’attività svolta dalla ASL e l’avere, nel contempo, escluso che rilevasse l’eventuale mancanza di dette barriere; e ciò in quanto l’affermazione si giustifica con il rilievo che non era stata convenuta altra destinazione d’uso che quella generica “non abitativa”.
In disparte si osserva che le deduzioni svolte al riguardo da parte ricorrente si rivelano prive di decisività anche sotto altro profilo; e cioè perché non evidenziano una situazione sopravvenuta nel corso del rapporto, dal momento che la presenza o meno di barriere architettoniche avrebbe dovuto essere verificata e valutata al momento della stipula del contratto (o almeno del suo rinnovo).
In conclusione l’esame complessivo dei motivi conduce al rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono oggetto di liquidazione unitaria in favore dei due resistenti alla stregua dei parametri di cui al D.M. n.55 del 2014 e, segnatamente, secondo i criteri di cui all’art. 4 della tariffa (e, in specie, del comma 2 della disposizione, in ragione del quale “quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20%, sino a un massimo di dieci soggetti…”), avendo riguardo, altresì, al principio espresso dall’art. 8, comma 1 della medesima tariffa (in ragione del quale “quando incaricati della difesa sono più avvocati, ciascuno di essi ha diritto nei confronti del cliente ai compensi per l’opera prestata, ma nella liquidazione a carico del soccombente sono computati i compensi per un solo avvocato”).
Nel caso di specie, infatti, i controricorrenti hanno la medesima posizione processuale e sono stati assistiti dal medesimo legale (l’avv. prof. P.F.), con la conseguenza che ai sensi della prima delle disposizioni cit. sarà dovuto un compenso unico, che si maggiorerà nella percentuale indicata, senza che abbia rilievo – nei rapporti con la parte soccombente – la circostanza che il legale abbia depositato distinti atti difensivi (peraltro di contenuto sostanzialmente identico) e che i predetti controricorrenti abbiano nominato, ognuno, anche altro (diverso) legale (risultando la difesa di F.A. assunta anche dall’avv. Roberto Stabile e quella di F.M.F. anche dall’avv. Sergio Pinna). Invero la ratio della disposizione di cui al comma 1 dell’art. 8 del D.M. 55/2014 è quella di caricare sul soccombente solo le spese nella misura della più concentrata attività difensiva quanto a numero di avvocati, rimettendo poi il resto a carico del cliente rappresentato; e ciò in conformità al principio della non debenza delle spese superflue (cfr. art. 92 comma 1 cod. proc. civ.), essendo dovute solo quelle necessarie all’attività difensiva. Ne consegue che se in relazione ai tre avvocati nominati da due resistenti vittoriosi, uno è identico, stante la suddetta ratio, solo i compensi di questo sono a carico del soccombente, poiché questo unico difensore soddisfa le esigenze difensive di entrambi i resistenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore dei resistenti in Euro 5.000,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali.

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