Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 22 luglio 2015, n. 15352

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANTACROCE Giorgio – Primo Presidente f.f.

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente Sezione

Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione

Dott. DI AMATO Sergio – Consigliere

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere

Dott. GRECO Antonio – Consigliere

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12426/2012 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), 156 elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), per delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 24/2012 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 25/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/04/2015 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

uditi gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) dell’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il giudice del lavoro di Barcellona Pozzo di Gotto ha rigettato la domanda presentata da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), avente ad oggetto l’indennizzo previsto dalla Legge n. 210 del 1992, per i soggetti danneggiati da trasfusione di emoderivati. La domanda era basata sul presupposto che la loro dante causa aveva contratto, in epoca anteriore al 1997, una infezione da HCV a seguito di trasfusione. La domanda amministrativa finalizzata ad ottenere il beneficio in esame era stata presentata in data 13 novembre 2002.

2. Il giudice di primo grado ha motivato la propria decisione osservando che non era stato rispettato il termine triennale di decadenza dalla scoperta della patologia, ritenendo al contempo inapplicabile la tesi, proposta dai ricorrenti, secondo cui alla fattispecie doveva applicarsi il termine decennale.

3. La Corte d’appello di Messina ha rigettato l’impugnazione proposta dai ricorrenti in primo grado affermando che alla domanda finalizzata al conseguimento della prestazione indennitaria per epatite post trasfusionale contratta in epoca antecedente all’entrata in vigore della Legge n. 238 del 1997, doveva applicarsi il termine triennale di decadenza previsto dalla legge da ultimo citata. Il suddetto termine che doveva decorre dal 28 luglio 1997, data di entrata in vigore della nuova disciplina era, nel caso di specie, scaduto.

4. Per la cassazione di tale sentenza i ricorrenti in primo grado hanno proposto ricorso affidato a un unico motivo illustrato da memoria. Il Ministero della salute ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale condizionato.

5. Con ordinanza n. 20519 del 29 settembre 2014 la Sesta Sezione della Corte di cassazione, rilevato che sull’applicazione della disciplina della decadenza triennale introdotta dalla legge n. 238 del 1997, che ha modificato la Legge n. 210 del 1992, articolo 3, comma 1, si e’ verificato un contrasto di giurisprudenza, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

6. Il Primo Presidente ha disposto in conformita’.

MOTIVI DELLA DECISIONE

7. Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la stessa sentenza (articolo 335 c.p.c.).

8. Con l’unico motivo del ricorso principale viene denunciata violazione e falsa applicazione della Legge n. 210 del 1992, articolo 3, comma 1, e della Legge n. 238 del 1997, articolo 1, comma 9. Si contesta in particolare la ritenuta applicabilita’ alla fattispecie in esame del termine di decadenza triennale introdotto con la Legge n. 238 del 1997, che ha parzialmente modificato la disciplina originaria prevista dalla Legge n. 210 del 1992. I ricorrenti principali deducono che il termine di decadenza suddetto, avendo natura eccezionale, non puo’ estendersi analogicamente alle ipotesi di epatite post trasfusionale contratta in data antecedente alla data di entrata in vigore della legge che lo ha istituito. Alla suddetta data, infatti, il diritto all’indennizzo per epatiti contratte a seguito di trasfusione era gia’ entrato a far parte del patrimonio dei danneggiati ed era quindi soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale, con la conseguenza che la normativa sopravvenuta non poteva incidere sul suddetto termine riducendolo.

9. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato il Ministero denuncia violazione della Legge n. 210 del 1992, articoli 1 e 2, deducendo difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione limitatamente alla domanda di condanna. Assume che l’unico soggetto legittimato a resistere alla domanda di condanna avanzata nel presente giudizio e’ la Regione, mentre il Ministero della salute e’ legittimato passivamente soltanto in relazione alla domanda di accertamento del diritto al beneficio.

10. Come rilevato dalla ordinanza della Sesta Sezione (Cass. n. 20519 del 2014) sopra citata, ai fini della valutazione del fondamento del ricorso principale e’ necessario affrontare una questione sulla quale si e’ verificato un contrasto nell’ambito della giurisprudenza della sezione lavoro della Corte di cassazione.

11. Per meglio valutare i termini del contrasto appare opportuno tracciare un quadro sintetico della normativa di riferimento.

12. La legge n. 210 del 1992 ha introdotto nell’ordinamento l’indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati dopo che la Corte costituzionale, con sentenza n. 307 del 1990, aveva dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della Legge 4 febbraio 1966, n. 51 (Obbligatorieta’ della vaccinazione antipoliomielitica), nella parte in cui non prevedeva, a carico dello Stato, un’equa indennita’ per il caso di danno derivante, al di fuori dell’ipotesi di cui all’articolo 2043 c.c., da contagio o da altra apprezzabile malattia riconducibile a vaccinazione obbligatoria. La Legge del 1992, articolo 1, comma 1, con norma generale, ha riconosciuto il diritto ad un indennizzo a chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorita’ sanitaria italiana, lesioni o infermita’, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrita’ psico-fisica. In base ai due successivi commi dello stesso articolo, identico diritto spetta ai soggetti che risultino contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue e suoi derivati (comma 2), nonche’ a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali (comma 3). La Legge n. 210 del 1992, articolo 3, comma 1, nel testo originario, disponeva che, ai fini del conseguimento dell’indennizzo, la domanda doveva essere inoltrata al Ministro della sanita’ nel termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di dieci anni nei casi di infezioni da HIV. Il termine decorreva, in entrambi i casi, dal momento in cui l’avente diritto aveva avuto conoscenza del danno, sulla base della documentazione medica di cui ai commi 2 e 3, concernenti, il primo, le vaccinazioni, il secondo, le infezioni da HIV (articolo 3, comma 1), salvo che per gli eventi ante legem, in relazione ai quali il termine decorreva dalla data di entrata in vigore della legge (articolo 3, comma 7). Nessun termine di decadenza era previsto per il caso di epatiti post-trasfusionali. La Legge n. 238 del 1997, articolo 1, comma 9, ha sostituito il testo della Legge n. 210 del 1992, articolo 3, comma 1, stabilendo che i soggetti interessati a ottenere l’indennizzo di cui all’articolo 1, comma 1, presentano alla Usi competente le relative domande, indirizzate al Ministro della sanita’, entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti post trasfusionali o di 10 anni nei casi di pensioni da HIV. I termini decorrono dal momento in cui, sulla base delle documentazioni di cui ai commi 2 e 3, l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno.

13. Il contrasto di giurisprudenza, espresso da Cass. 12 maggio 2014 n. 10215, da un Iato, e da Cass. 29 maggio 2014 n. 13355 dall’altro riguarda, in sostanza, l’applicabilita’, o meno, del termine di decadenza introdotto dalla legge n. 238 del 1997 alle ipotesi di epatiti post trasfusionali contratte (e accertate) prima dell’entrata in vigore della suddetta legge.

1. Le sentenze sopra citate hanno offerto soluzioni del tutto divergenti; in particolare secondo Cass. n. 10215 del 2014 alle domande di indennizzo per danni post-trasfusionali il termine triennale di decadenza introdotto dalla Legge n. 238 del 1997, articolo 1, comma 9, si applica solo se la conoscenza del danno e’ sorta successivamente all’entrata in vigore della nuova normativa, mentre, ove tale conoscenza sia anteriore, il diritto e’ soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale, che decorre dal momento in cui l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno; con la stessa sentenza e’ stato altresi’ precisato che il suddetto termine di prescrizione decennale si applica ancorche’ questo non sia ancora interamente decorso alla data di entrata in vigore della legge, senza che assuma rilievo che l’eventuale periodo residuo abbia una durata maggiore o minore rispetto al nuovo termine decadenziale. Cass. n. 13355 del 2014, ponendosi in consapevole contrasto con la gia’ citata Cass. n. 10215 del 2014, ha affermato che alle domande di indennizzo per danni post-trasfusionali il termine triennale di decadenza introdotto dalla Legge n. 238 del 1997, articolo 1, comma 9, si applica anche nel caso di epatiti post trasfusionali verificatesi ed accertate prima delle modifiche introdotte dalla Legge n. 238 del 1997, ma, in tali casi, decorre dalla data di entrata in vigore della legge stessa e non gia’ dalla data di conoscenza del danno.

2. La soluzione espressa dalla prima delle sentenze sopra citate (Cass. n. 10215 del 2014) conferma un orientamento ormai risalente di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 aprile 2003 n. 6500; Cass. 17 aprile 2004 n, 7341; Cass. 8 maggio 2004 n. 8781) successivamente superato. L’iter argomentativo seguito da tale orientamento e’ basato in primo luogo sul rilievo che l’articolo 3 della legge n. 210 del 1992, che prevede il termine di decadenza per la proposizione della domanda amministrativa di indennizzo per le patologie derivanti da vaccinazioni, non puo’ applicarsi analogicamente alle ipotesi di epatiti post trasfusionali, trattandosi di norma eccezionale per la quale vige il divieto di applicazione analogica. Come osservato da Cass. 22 marzo 2010 n. 6923, Cass. 23 aprile 2003 n. 6500 e Cass. 27 aprile 2001 n. 6130, da cio’ deriva che, nel caso di epatiti post trasfusionali verificatesi prima delle modifiche introdotte dalla Legge n. 238 del 1997, la domanda e’ proponibile nel termine ordinario di prescrizione decennale, termine che decorre dal momento in cui l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno. Deve inoltre escludersi l’applicabilita’ al caso di specie dell’articolo 252 disp. att. c.c., atteso che tale disposizione, secondo la sentenza citata, regola il diverso fenomeno dell’abbreviazione dei termini e non anche quello dell’introduzione di un nuovo termine decadenziale prima non esistente. E infatti il citato articolo 252, come si evince chiaramente dalla lettera della legge, si presenta come norma di natura transitoria volta – nel passaggio dal codice del 1865 a quello vigente – a regolamentare il succedersi dei diversi termini fissati dai suddetti codici in ordine alla sola prescrizione oltre che all’usucapione. Viene infine invocato il principio della irretroattivita’ della legge ex articolo 11 preleggi (“la legge non dispone che per l’avvenire; essa non ha effetto retroattivo”) per sottrarre agli effetti previsti dalla disposizione della Legge n. 238 del 1997, una fattispecie nella quale il fatto al quale viene collegato l’effetto della decorrenza della decadenza (conoscenza del danno e della sua eziologia) venga a trovarsi al di fuori dell’area temporale di operativita’ della norma stessa. Cio’ in coerenza con i principi piu’ volte affermati dai giudici di legittimita’ secondo cui una nuova legge non puo’ essere applicata non solo ai rapporti esauriti prima della sua entrata in vigore ma anche a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita qualora l’applicazione determini il disconoscimento degli effetti gia’ verificatisi del fatto passato ovvero finisca per privare di efficacia, in tutto o in parte, le conseguenze attuali e future di esso.

3. L’opposta soluzione accolta da ultimo da Cass. n. 13355 del 2014, prima citata, conferma un indirizzo che puo’ considerarsi assolutamente prevalente negli ultimi anni (cfr., ex plurimis, Cass. 28 marzo 2014 n. 7392; Cass. 20 febbraio 2014 n. 4051; Cass. 10 luglio 2013 n. 17131; Cass. 3 febbraio 2012 n. 1635) secondo cui il termine triennale di decadenza per il conseguimento della prestazione indennitaria per epatite post-trasfusionale contratta in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge 25 luglio 1997 n. 238 decorre dal 28 luglio 1997, data di entrata in vigore della nuova disciplina, dovendosi ritenere, in conformita’ ai principi generali dell’ordinamento in materia di termini, che, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applichi anche ai diritti sorti anteriormente, ma con decorrenza dall’entrata in vigore della modifica legislativa. In sostanza, secondo tale orientamento, in materia di prescrizione e decadenza, l’entrata in vigore di una nuova normativa che introduce un termine che prima non era previsto, ha efficacia generale dovendosi ritenere applicabile anche a coloro che gia’ si trovavano nella situazione prevista dalla legge per esercitare il diritto ora sottoposto a decadenza, con l’unica differenza, che la decorrenza del termine inizia con l’entrata in vigore della legge che lo ha introdotto. Tale orientamento utilizza la disposizione contenuta nell’articolo 252 disp. att. c.c., considerata espressione di un principio generale dell’ordinamento, in quanto ispirato esigenze di equita’.

4. Il suddetto contrasto di giurisprudenza deve essere risolto a favore di quest’ultimo orientamento.

5. La questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite riguarda un problema di diritto transitorio in quanto attinente alla determinazione dell’incidenza di una legge sopravvenuta che introduce ex novo un termine di decadenza su una situazione ancora pendente.

6. Deve premettersi che, come correttamente osservato Cass. n. 13355 del 2014, la previsione di un termine di decadenza da parte del legislatore non puo’ certamente avere effetto retroattivo e cioe’ non puo’ far considerare maturato, in tutto o in parte, un termine con decorrenza iniziata prima dell’entrata in vigore della legge. Ed infatti, come sottolineato piu’ volte dalla Corte costituzionale (C. cost. 26 marzo 2014 n. 69; C. cost. 5 maggio 2005 n. 191) non puo’ logicamente configurarsi una ipotesi di estinzione del diritto per mancato esercizio da parte del titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto debba essere esercitato.

7. Escluso pertanto che l’introduzione di un termine di decadenza possa avere effetti retroattivi, e considerato il carattere pubblicistico del termine di decadenza in esame, fissato dalla legge per garantire una sollecita definizione di controversie di notevole impatto sociale, si pone un problema di bilanciamento di due contrapposte esigenze e cioe’, da un lato, quella di garantire l’efficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore con l’introduzione del termine decadenziale, e, dall’altro, quella di tutelare l’interesse del privato, onerato della decadenza, a non vedersi addebitare un comportamento inerte allo stesso non imputabile (Cass. n. 13355 del 2014). Bilanciamento che deve tener conto della natura dell’interesse del privato da salvaguardare, che ha per oggetto non gia’ una situazione definita – non potendosi configurare, nel caso di specie, un diritto a conservare un termine prescrizionale – bensi’ un semplice affidamento a fruire del termine prescrizionale per far valere il proprio diritto, affidamento che deve essere tutelato in modo ragionevole ed equilibrato secondo i parametri da tempo precisati dalla Corte costituzionale. Ed infatti secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova copertura costituzionale nell’articolo 3 Cost., ma tale copertura non e’ posta in termini assoluti e inderogabili, con la conseguenza che la posizione giuridica che da luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio ben puo’ essere incisa in senso peggiorativo in presenza di un determinato interesse pubblico che imponga interventi normativi diretti a incidere anche su posizioni consolidate a condizione che venga rispettato (l’unico) limite della proporzionalita’ dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti (cfr., da ultimo, C. cost. 10 marzo 2015 n. 56). In applicazione di tali principi la Corte costituzionale ha affermato che l’intervento normativo successivo puo’ incidere non solo su situazioni di mero affidamento, come nel caso di specie, ma anche su diritti soggettivi (C. cost. 18 ottobre 2010 n. 302; C. cost. 16 luglio 2009 n. 236). Ed infatti, secondo la citata giurisprudenza costituzionale non e’ affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, unica condizione essendo che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (C. cost. 18 ottobre 2010 n. 302; C. cost. 16 luglio 2009 n. 236).

8. Il suddetto bilanciamento e’ stato correttamente individuato da Cass. n. 13355 del 2014 (e dall’orientamento giurisprudenziale prima citato) con riferimento alla soluzione adottata dal legislatore con l’articolo 252 disp. att. cod. civ. in base al quale quando per l’esercizio di un diritto il codice stabilisce un termine piu’ breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usucapioni in corso, ma il nuovo termine decorre dalla data di entrata in vigore della nuova legge. E’ vero che, come sottolineato da Cass. n. 10215 dei 2014, la norma suddetta ha “natura transitoria volta – nel passaggio dal codice del 1865 a quello tuttora vigente – a regolamentare il succedersi dei diversi termini fissati dai suddetti codici in ordine alla sola prescrizione nonche’ all’usucapione”, ma e’ anche vero che essa e’ stata considerata da questa Corte, anche a Sezioni Unite (Cass. S.U. 7 marzo 2008 n. 6173), che hanno ribadito sul punto una analoga affermazione della Corte costituzionale (C. cost. 3 febbraio 1994 n. 20), come disposizione al quale deve attribuirsi il valore di regola generale. In senso conforme cfr., ex plurimis, Cass. 10 marzo 2010 n. 5811; Cass. 19 marzo 2010 n. 6705; Cass. 9 dicembre 2009 n. 25746.

9. Dal carattere di regola generale della disposizione citata consegue che non sussiste alcuna ragione per escludere l’applicazione della stessa ad una ipotesi, come quella in esame, nella quale per l’esercizio di un diritto venga disposto un termine di decadenza in precedenza non previsto. Come correttamente sottolineato da Cass. n. 25746 del 2009 sopra citata, poiche’ la decadenza e’ una forma di sottoposizione dell’esercizio di un diritto ad un termine, deve ritenersi che il principio generale posto dall’articolo 252 disp. att. c.c., si applichi anche ad essa; analogamente non vi sono ragioni per distinguere il caso in cui la nuova legge accorci un termine gia’ previsto per l’esercizio di un diritto rispetto al caso, come quello in esame, in cui la nuova legge introduca un termine in una fattispecie nella quale in precedenza alcun termine era previsto per cui si applicava l’ordinario termine di prescrizione ordinaria decennale.

10. In sostanza, in base al bilanciamento dei contrapposti interessi consentito dal citato articolo 252 disp. att., il fine acceleratorio perseguito dal legislatore del 1997 con l’introduzione del termine di decadenza triennale in luogo della prescrizione decennale non determina un eccessivo sacrificio dell’interesse dei privato alla tutela del proprio diritto in quanto, grazie al fatto che il suddetto termine triennale inizia a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, l’esercizio del diritto viene reso sufficientemente agevole. Deve in proposito ricordarsi che la Corte costituzionale (C. cost. 23 ottobre 2006 n. 342), nel dichiarare infondata la questione di legittimita’ costituzionale della Legge n. 238 del 1997, articolo 1, comma 9, e cioe’ della norma che ha introdotto il termine triennale per la presentazione della domanda di indennizzo nel caso di epatiti post trasfusionali, ha affermato che il suddetto termine triennale, decorrente dal momento dell’acquisita conoscenza dell’esito dannoso dell’intervento terapeutico, non appare talmente breve da frustrare la possibilita’ di esercizio del diritto alla prestazione e vanificare la previsione dell’indennizzo. La stessa Corte ha precisato altresi’, in relazione alla prospettata (dal giudice remittente) denunciata disparita’ rispetto alla situazione dei soggetti affetti da epatiti che si erano avvalsi della disciplina di cui alla previgente Legge n. 210 del 1992, articolo 3, comma 1, che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, non contrasta di per se’ con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, poiche’ proprio il fluire del tempo costituisce un elemento diversificatore delle situazioni giuridiche.

14. Da ultimo deve essere precisato che non ricorre nel caso di specie un’ipotesi di applicazione analogica di una norma speciale. Ed infatti il termine decadenziale in esame si applica, dalla data di entrata in vigore della norma, ad una fattispecie (epatiti post trasfusionali) esplicitamente prevista dalla norma stessa.

15. In definitiva il ricorso principale deve essere rigettato in applicazione del seguente principio di diritto (enunciato a norma dell’articolo 384 c.p.c., comma 1): il termine triennale di decadenza per il conseguimento della prestazione indennitaria per epatite post-trasfusionale contratta in epoca antecedente all’entrata in vigore della Legge 25 luglio 1997, n. 238, decorre dal 28 luglio 1997, data di entrata in vigore della nuova disciplina, dovendosi ritenere, conformemente ai principi generali dell’ordinamento in materia di termini, che, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applichi anche alle situazioni soggettive gia’ in essere, ma la decorrenza del termine viene fissata con riferimento all’entrata in vigore della modifica legislativa.

16. In relazione al rigetto del ricorso principale deve dichiararsi assorbito il ricorso incidentale condizionato, focalizzato sul difetto di legittimazione passiva del Ministero della salute limitatamente alla domanda di condanna al pagamento dell’indennizzo e non gia’ in relazione alla domanda di accertamento del diritto al beneficio.

17. Tenuto conto dell’oggetto della controversia, concernente la composizione di un contrasto di giurisprudenza verificatosi all’interno della Sezione Lavoro della Corte di cassazione, si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; compensa le spese di giudizio di cassazione.

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