Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 24 settembre 2015, n. 18896

Svolgimento del processo

1. Nel 1999 la società Mostra d’Oltremare s.p.a. convenne dinanzi al Tribunale di Napoli L.E., allegando che questi aveva occupato sine titulo un fondo di proprietà dell’ente, e chiedendone la condanna al rilascio.
2. L.E. si costituì, non negò di avere occupato il fondo, ma formulò domanda riconvenzionale di usucapione.
3. II Tribunale di Napoli con sentenza 20.10.2006 n. 10476 rigettò ambedue le domande.
Tale sentenza venne appellata da ambo le parti.
4. La Corte d’appello di Napoli con sentenza 1°.8.2012 n. 2826 rigettò il gravame della Mostra d’Oltremare, ed accolse quello di L.E., dichiarando che questi aveva usucapito la proprietà dei fondo. A fondamento di tale decisione la Corte d’appello rilevò che: – la Mostra d’Oltremare -aveva formulato una domanda “personale” e non “reale”;
– per contrastare la domanda riconvenzionale di usucapione la Mostra d’Oltremare aveva chiesto di provare per testi che L.E. era un subaffittuario, pagava un canone di subaffitto ad un conduttore, cui la Mostra d’Oltremare aveva locato il fondo (tale R.), e quindi in quanto
subaffittuario non poteva avere la possessio ad usucapionem;
– la Mostra d’Oltremare non aveva provato l’esistenza del contratto di subaffitto;
– ergo, la domanda attorea andava rigettata per mancato assolvimento dell’onere della prova.

  1. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Mostra d’Oltremare, con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria. Hanno resistito con controricorso (illustrato da memoria) A., E., F., M. e M. E., eredi di L.E..

Motivi della decisione

i. II primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 2697 c.c.; 116 e 132 c.p.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.. Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha malamente valutato le prove, dalle quali emergeva la sussistenza d’un valido rapporto di subaffitto tra E. e l’affittuario R.: rapporto di subaffitto la cui esistenza, conclude la ricorrente, impediva il decorso del termine per usucapire.
1.2. Il ricorso è fondato sotto il profilo dei vizio di motivazione.
La Corte d’appello di Napoli era chiamata a stabilire se L.E. avesse o no usucapito il fondo della Mostra d’Oltremare.
Quest’ultima si era difesa dalla domanda di usucapione eccependo che L. E. era un subaffittuario, ed in quanto tale non aveva la possessio ad usucapionem.
Per stabilire se L.E. fosse o no un subaffittuario, la Corte d’appello aveva a disposizione le deposizioni dei testimoni G.S. e R. (trascritte alle pp. 15-20 del ricorso). Il primo dichiarò di avere sentito L.E. dichiararsi subaffittuario del fondo; il secondo dichiarò di “sapere che E. era subaffittuario”.
1.3. La Corte d’appello ha reputato irrilevanti ambedue tali prove.
La prima (deposizione Sorrentino) è stata ritenuta irrilevante con la seguente motivazione: “l’E. avrebbe potuto rendere una dichiarazione falsa per ottenere indennizzi in realtà non dovutigli’: La seconda (deposizione R.) è stata ritenuta irrilevante con la seguente motivazione: “il teste non ha riferito la fonte della sua conoscenza’.
1.4. Ambedue queste motivazioni sono illogiche.
La prima motivazione è illogica perché la Corte d’appello, dinanzi ad un testimone che dichiara “ho sentito Tizio dire ‘sono un subaffittuario”, non gli crede ritenendo che “Tizio potrebbe aver mentito”.
Ma qualsiasi persona le cui dichiarazioni sono riferite da un testimone potrebbe in realtà mentire, e su qualsiasi cosa: quel che infirma una
testimonianza de relato non è la possibilità astratta che il terzo abbia
mentito, ma l’esistenza di concreti elementi oggettivi dai quali desumere la falsità delle dichiarazioni riferite de relato.
La Corte d’appello avrebbe potuto dunque trascurare la deposizione Sorrentino solo indicando per quali elementi concreti ed oggettivi doveva ritenersi inveritiera la dichiarazione di L.E. riferita dal testimone, e non già argomentando sulla mera “possibilità” che L.E. avesse mentito dichiarandosi subaffittuario.
1.5. Non meno illogica è la motivazione con la quale la Corte d’appello ha svalutato la deposizione R..
A quel testimone la Corte d’appello non credette, perché non riferì la fonte di quanto riferito al giudice (l’essere, cioè, L.E. un subaffittuario). Risulta tuttavia dagli atti che il testimone R. nulla disse sulla fonte della sua conoscenza perché nessuno glielo chiese.
Ci troviamo dunque al cospetto d’un testimone che non riferisce su circostanze che mai gli vennero chieste; e d’un giudice di merito che da un lato non pone al testimone alcuna domanda a chiarimento, e dall’altro si duole che il testimone non abbia risposto a chiarimenti mai richiestigli. Quella appena riassunta è una evidente contraddizione logica. Se infatti il giudice ritiene decisiva la conoscenza d’una circostanza di fatto sulla quale il testimone non era formalmente chiamato a riferire (perché non compresa nei capitoli ammessi), l’ordinamento gli accorda il potere di rivolgere al testimone “tutte le domande che ritiene utili a chiarire i fatti” (art. 253, comma 1, c.p.c.), come pure di richiamare il testimone già escusso (art. 257 c.p.c.).
Da queste norme (e da molte altre) si ricava il principio che il giudice di merito non è un mero registratore passivo di quanto dichiarato dal testimone, ma un soggetto attivo e partecipe dell’escussione testimoniale, al quale l’ordinamento attribuisce il potere-dovere in primo luogo di sondare con zelo l’attendibilità dei testimone, ed in secondo luogo di acquisire dal testimone (vuoi con le domande di chiarimento, vuoi incalzandolo, vuoi contestandogli contraddizioni tra quanto dichiarato ed altre prove già raccolte) tutte le informazioni ritenute indispensabili per una giusta decisione.
Quel che invece il giudice di merito non può fare, senza contraddirsi, è da un lato non rivolgere al testimone nessuna domanda a chiarimento e non riconvocarlo; e dall’altro ritenere lacunosa la testimonianza perché carente su circostanze non capitolate, e sulle quali nessuno ha chiesto al testimone di riferire (per l’affermazione di questo principio, sia pure in diversa fattispecie, si veda già Sez. U, Sentenza n. 789 del 29/03/1963, Rv. 261080).
1.6. La sentenza va dunque cassata con rinvio su questo punto. Il giudice di rinvio, nel sanare le mende motivazionali della sentenza cassata, si atterrà al seguente principio:
Se un testimone nulla riferisce su circostanze rilevanti ai fini dell’accoglimento della domanda, ma che non formarono oggetto dei capitoli ammessi, il giudice non può, senza contraddirsi, dapprima omettere di formulare al testimone qualsiasi domanda a chiarimento, e quindi rigettare la domanda ritenendo rilevanti e non provate le circostanze taciute.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 231, 253, 184 bis, 345 c.p.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.. Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere dal novero delle prove i documenti prodotti da uno dei testimoni, ed acquisiti dal Tribunale.
2.2. Il motivo è fondato.
II giudice di primo grado ordinò l’acquisizione agli atti dei documenti utilizzati da un testimone per aiuto alla memoria.
La Corte d’appello ha invece ritenuto quei documenti inutilizzabili, perché acquisiti dopo lo spirare del termine per le richieste istruttorie. Tuttavia il provvedimento col quale il giudice acquisisce documenti da un testimone va qualificato come ordine di ispezione del documento (art. 118 c.p.c.) rivolto d’ufficio ad un terzo (il testimone), come tale non soggetto ad alcuna decadenza. Era, dunque, fuori luogo qualsiasi richiamo all’art. 345 c.p.c. od alla tempestività della loro produzione.
Ovviamente, trattandosi di prova acquisita d’ufficio, le parti avrebbero
potuto chiedere di essere ammesse alla prova contraria resa necessaria dall’acquisizione d’ufficio: ma non avendolo fatto, resta ormai preclusa qualsiasi questione al riguardo.
Anche sotto questo aspetto la sentenza va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, la quale nel riesaminare il caso applicherà il seguente principio di diritto:
E’ consentito al giudice ordinare al testimone, ai sensi dell’art. 118 c.p.c., di consentire l’ispezione di documenti utilizzati per aiuto alla memoria, che restano in tal caso acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono utilizzabili ai fini del decidere, quand’anche l’acquisizione avvenga dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie, salvo il diritto delle parti di essere ammesse alla prova contraria resa necessaria dalla acquisizione d’ufficio.
3. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 385, comma 3, c.p.c..

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
-) accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione;
-) rimette al giudice dei rinvio la liquidazione delle spese dei giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 7 luglio 2015.

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