Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 23 settembre 2014, n. 38684
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. GENTILE Andrea – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/02/2013 della Corte di appello di Potenza;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente alla condanna Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 5, inammissibilita’ nel resto;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Sostiene come la Corte lucana abbia sostanzialmente eluso le doglianze formulate con l’atto di appello con il quale il ricorrente lamentava, riproponendo invano il rilievo al Giudice di secondo grado, i criteri in base ai quali era stata determinata l’imposta evasa ai fini della verifica del superamento della soglia di punibilita’ prevista dalla legge e, quindi, della rilevanza penale del fatto contestato al ricorrente stesso.
In buona sostanza, le doglianze del ricorrente erano rivolte al fatto che sia la Guardia di Finanza, sia il Tribunale di Matera, nella ricostruzione induttiva degli elementi oggetto di valutazione, avevano calcolato l’imposta ritenuta evasa non solo sul ricarico applicato sul costo del venduto, ma anche con riferimento a tale ultimo costo, trovando tale iter conforto nella sentenza impugnata.
Nell’operazione logica dell’accertamento della Guardia di Finanza, che i Giudici del merito avevano ritenuto di dover condividere, il costo del venduto rappresentava il dato certo, posto come presupposto di partenza, unitamente all’altro dato noto, rappresentato dal ricarico conseguito per gli anni precedenti a quello oggetto di accertamento.
Da tali presupposti di fatto, si sviluppava il percorso logico che portava all’accertamento della condotta del ricorrente, passando dal dato presunto del ritenere come interamente vendute le rimanenze del 2006 e gli acquisti del 2007, per desumersi l’entita’ dell’imposta ritenuta evasa (dato in partenza non noto), circostanze, circa i criteri di calcolo, puntualmente confermate dall’Ufficiale della Guardia di Finanza, escusso all’udienza del 17 gennaio 2011, nel corso del primo grado del giudizio.
Tuttavia il ricorrente, nelle sue difese, aveva sempre sostenuto che, per una corretta determinazione dell’entita’ dell’IVA evasa e, quindi, anche per l’individuazione del presupposto del superamento della soglia di punibilita’, si dovesse procedere a detrarre dal ricavo ricostruito (costo del venduto + ricarico) il costo sopportato con riferimento alla merce ritenuta induttivamente venduta, calcolando poi, sul risultato della detrazione operata, l’importo dell’IVA supposta come evasa, per raffrontarla, nella sua entita’, a quello che il legislatore aveva individuato come soglia, operazione che avrebbe determinato, secondo il calcolo del ricorrente, non smentito dalle sentenze di merito, un importo imponibile, con consequenziale calcolo dell’IVA evasa, di gran lunga inferiore alla soglia di punibilita’, prevista dalla legge all’epoca dei fatti.
2. Questa Corte ha affermato che il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, e’ integrato solo ove abbia determinato una evasione di imposta pari (ratione temporis) a euro 77.468,53 e che, per “imposta evasa”, deve intendersi l’intera imposta dovuta, da determinarsi, tenuto conto, delle risultanze probatorie acquisite nel processo penale, sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario (Sez. 3, n. 21213 del 26/02/2008, De Cicco, Rv. 239983).
Ne consegue che, per la determinazione dell’imposta evasa ai fini della configurabilita’ del reato di omessa dichiarazione di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 5, deve tenersi conto anche degli elementi negativi del reddito, a condizione che siano legittimante detraibili, spettando esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta, attraverso una verifica che puo’ venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale in tal senso (Sez. 3, n. 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280).
I Giudici del merito, come fondatamente lamenta il ricorrente, non si sono attenuti a tali principi e la Corte territoriale si e’ limitata incongruamente ad affermare che “(…) nessuna prova e’ stata fornita dall’imputato in ordine alle spese che devono essere defalcate dal calcolo induttivo”.
3. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di Appello di Salerno per una corretta verifica del superamento effettivo della soglia di punibilita’ che la norma incriminatrice prescrive con riferimento a taluna delle singole imposte.
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