Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 22 ottobre 2015, n. 42464
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
Dott. ANDRONIO A. M. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) soc. coop. p.a.r.l.;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Vicenza del 21 ottobre 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FILIPPI Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS).
RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 21 ottobre 2014, il Tribunale di Vicenza ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Banca terza interessata avverso il provvedimento del Tribunale di Vicenza del 30 settembre 2014 con il quale era stata rigettata l’istanza di revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in relazione a un conto corrente e a un deposito titoli in garanzia intestati all’indagato (OMISSIS), nell’ambito di un procedimento per reati tributari. Il Tribunale ha rilevato, in particolare, che il terzo creditore titolare del diritto reale di garanzia non e’ legittimato a chiedere la revoca della misura cautelare, non essendo la sua posizione giuridica assimilabile a quella del titolare del diritto di proprieta’. Il diritto reale di garanzia non comporta, infatti, l’acquisizione in capo al creditore della proprieta’ del bene e, dunque, della disponibilita’ dello stesso, ma la piu’ limitata facolta’ di soddisfarsi in sede esecutiva sul medesimo fino a concorrenza del credito vantato. Cio’ non comporta comunque – prosegue il Tribunale – la compressione dei diritti della Banca terza interessata, perche’ questi potranno essere fatti valere in sede esecutiva. Da tali considerazioni lo stesso Tribunale fa derivare il difetto di legittimazione della Banca rilevando, altresi’, che l’istanza di restituzione dei beni era stata comunque proposta in epoca successiva alla confisca degli stessi disposta con la sentenza di primo grado e che era, dunque, anche sotto questo profilo inammissibile, essendo relativa a beni gia’ oggetto di un provvedimento di confisca. Si ritiene inammissibile, infine, anche la richiesta subordinata di nomina della Banca quale custode dei beni sequestrati, sul rilievo che tale qualifica non consentirebbe alla stessa Banca di soddisfarsi sui beni medesimi fino a concorrenza del vantato credito.
2. – Avverso l’ordinanza la Banca terza interessata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si rileva l’erronea applicazione dell’articolo 321 c.p.p., comma 3, il quale attribuisce la legittimazione attiva alla richiesta di revoca del sequestro anche al soggetto interessato, a condizione che questo abbia la disponibilita’ dei beni, come avverrebbe anche nel caso di pegno bancario regolare di strumenti finanziari. Si richiama, a tale proposito, l’articolo 322 bis cod. proc. pen., il quale attribuisce la legittimazione a proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo alla persona alla quale le cose sono state sequestrate nonche’ a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Il creditore pignoratizio rientrerebbe tra tali categorie di persone, ai sensi degli articoli 2786 e 2789 cod. civ., che regolano l’istituto del pegno, il quale si costituisce, appunto, con la consegna al creditore della cosa o del documento che conferisce l’esclusiva disponibilita’ della cosa. Ricorda, inoltre, la difesa che il Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articoli 83-bis e segg. prevedono che gli strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione in mercati regolamentati italiani possono essere trasferiti soltanto tramite intermediari e che soggiacciono ai vincoli, tra cui il pegno, realizzati mediante registrazione in apposito conto tenuto dall’intermediario stesso, con la conseguenza che il singolo proprietario non potra’ mai direttamente disporne.
2.2. – In secondo luogo, si prospetta la violazione dell’articolo 322 bis cod. proc. pen. e articolo 322 ter cod. pen., comma 1, contestando la negazione della legittimazione attiva a proporre l’appello cautelare.
2.3. – In terzo luogo, si deduce l’erronea applicazione degli articoli 321, 262, 568 e 676 cod. proc. pen., con riferimento all’esclusione della legittimazione attiva della Banca, per il fatto che era intervenuto il dispositivo della sentenza di primo grado che aveva disposto la confisca dei beni sequestrati. Si sostiene che la motivazione della sentenza era stata depositata successivamente al deposito della richiesta di revoca del sequestro da parte della Banca e che la confisca era comunque provvisoria, non essendo intervenuto alcun giudicato. Ne’ la Banca avrebbe potuto proporre appello rispetto al capo della sentenza che aveva disposto la confisca, potendosi solo rivolgere al giudice della cognizione.
2.4. – Con un quarto motivo di doglianza, si rileva la violazione degli articoli 321 c.p.p. e ss., sul rilievo che il Tribunale non avrebbe considerato i diritti della Banca, terza creditrice pignoratizia di buona fede. Non si sarebbe fatta corretta applicazione dell’articolo 104 bis disp. att. cod. proc. pen., il quale consente che la custodia dei beni sequestrati possa essere affidata a soggetti diversi dall’amministratore giudiziario.
Si chiede, altresi’, che la Corte di cassazione annulli senza rinvio l’ordinanza impugnata, ordinando direttamente la restituzione dei beni sequestrati alla Banca.
2.5. – In quinto luogo, si rileva la violazione dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, e articolo 1851 cod. civ., per non aver considerato che il saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS) rientra nella categoria del pegno irregolare, il quale attribuisce alla Banca il diritto di proprieta’ su tale somma.
2.6. – Con memoria depositata in prossimita’ della camera di consiglio davanti a questa Corte, la difesa evidenzia che il sequestro preventivo per equivalente collegato al combinato disposto dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, e Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies, comma 2, si differenzia da quello fondato sul medesimo articolo 321 cod. proc. pen., ma in combinato disposto con l’articolo 322 ter cod. pen.. Il primo puo’, infatti, essere disposto su somme di denaro, beni e altre utilita’ delle quali il reo ha la disponibilita’ “anche per interposta persona”, mentre il secondo solo su beni di cui il reo ha la disponibilita’, senza alcun riferimento a possibili interposizioni da parte di soggetti terzi. Ne deriverebbe, quanto al caso di specie, che, non avendo l’indagato la disponibilita’ dei titoli, gli stessi non avrebbero potuto essere sottoposti a sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso e’ solo parzialmente fondato.
3.1. – I primi due motivi di doglianza possono essere esaminati congiuntamente, perche’ attengono entrambi al problema se sia ammissibile, per il terzo titolare di un diritto reale di garanzia sul bene oggetto di sequestro penale, proporre istanza di revoca del sequestro in via anticipata e cioe’ quando e’ ancora pendente il processo penale, al fine di avere la possibilita’ di iniziare o proseguire nell’azione esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti del debitore senza dover attendere, quindi, l’esito del processo penale con conseguente tutela in via posticipata.
3.1.1. – Deve premettersi che, secondo questa Corte, in tema di sequestro preventivo, l’esistenza di ipoteche sui beni o di altre forme di garanzia non esclude la assoggettabilita’ a sequestro dei beni medesimi, trovando il diritto di sequela del creditore ipotecario o pignoratizio soddisfazione solo nella successiva fase processuale, relativa alla confisca ed alla esecuzione della stessa (ex plurimis, sez. 2, 12 febbraio 2014, n. 22176, rv. 259573). Tale assunto si collega strettamente a quello, ribadito dalla piu’ recente giurisprudenza di legittimita’ (ex plurimis, sez. 2, 12 febbraio 2014, n. 10471, rv. 259346), secondo cui, in caso di sequestro preventivo disposto su un bene gravato da pegno o da ipoteca, il terzo creditore titolare del diritto reale di garanzia non e’ legittimato a chiedere la revoca della misura cautelare, non essendo la sua posizione giuridica assimilabile a quella del titolare del diritto di proprieta’, la cui sussistenza – essendo giuridicamente incompatibile con la pretesa ablatoria dello Stato – comporta l’immediata restituzione del bene ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 3.
3.1.2. – Nel caso in esame la Banca ricorrente invoca a suo favore il disposto dell’articolo 321 c.p.p., comma 3, nella parte in cui dispone che “il sequestro e’ immediatamente revocato a richiesta (…) dell’interessato quando risultano mancanti (…) le condizioni di applicabilita’ previste dal comma 1”; invoca altresi’ l’articolo 322 bis cod. proc. pen. – il quale attribuisce la legittimazione a proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. Sempre secondo la ricorrente, le condizioni di applicabilita’ del sequestro mancherebbero nel caso di specie, in quanto la cosa non solo non sarebbe nella libera disponibilita’ del proprietario (articolo 321 c.p.p., comma 1) ma non sarebbe neanche confiscabile in pregiudizio dei diritti del terzo, il quale sarebbe comunque legittimato all’impugnazione come “persona alla quale le cose sono state sequestrate”.
La censura e’ infondata.
3.1.2.1. – Non vi e’ dubbio che il terzo titolare di un diritto di credito assistito da garanzia reale non possa essere pregiudicato dalla confisca penale. Sul punto, va ricordato, in primo luogo, che nessuna forma di confisca puo’ determinare l’estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla cosa, in sintonia col principio generale di giustizia distributiva per cui la misura sanzionatoria non puo’ ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all’illecito. Va ribadito, in secondo luogo, che i terzi che vantino diritti reali hanno l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di appartenenza e di estraneita’ al reato, dalle quali dipende l’operativita’ della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato (ex multis, sez. 1, 16 giugno 2009, n. 32648, rv. 244816; sez. 1, 16 giugno 2009, n. 32648, rv. 244816; sez. 2, n. 10471 del 2014).
In tale quadro si pone la questione di quale sia il momento processuale in cui il suddetto diritto puo’ essere fatto valere, e cioe’: se in via anticipata durante il processo penale o solo in via posticipata e cioe’ quando, riconosciuta la colpevolezza dell’imputato, il sequestro si trasforma in confisca.
Le disposizioni invocate dalla Banca ricorrente (articolo 321 c.p.p., comma 3, e articolo 322 bis c.p.p.) non legittimano il creditore pignoratizio a chiedere la revoca del sequestro preventivo mentre il processo penale e’ pendente, perche’ si riferiscono alla diversa posizione del soggetto che assume di essere proprietario del bene sequestrato. Quest’ultimo fa valere un diritto (quello di proprieta’) che, in quanto caratterizzato dall’assolutezza, si pone in una situazione di giuridica incompatibilita’ con quello vantato dallo Stato che, attraverso il sequestro finalizzato alla confisca, tende a conseguire lo stesso risultato e cioe’ di divenire proprietario – a titolo derivativo – dello stesso bene rivendicato dal terzo; con la conseguenza che la suddetta situazione puo’ essere risolta immediatamente senza attendere l’esito del processo penale perche’ due diritti assoluti (proprieta’) sullo stesso bene sono giuridicamente inconcepibili; cosicche’ e’ del tutto irrilevante attendere l’esito del processo penale perche’, quand’anche l’imputato fosse condannato definitivamente, il giudizio non potrebbe avere alcun effetto su un bene di proprieta’ altrui.
Diversa e’, invece, la posizione del terzo creditore assistito da un diritto reale di garanzia. In questa ipotesi, infatti, il conflitto non e’ fra due soggetti che reclamano lo stesso diritto (di proprieta’) sullo stesso bene, ma fra un terzo che vanta un diritto di credito e lo Stato che vanta un diritto di proprieta’, seppure all’esito di un processo penale che si concluda con la condanna dell’imputato: il credito, sebbene assistito da un diritto reale di garanzia caratterizzato dal c.d. ius sequelae, non ha la stessa valenza del diritto dominicale perche’ il bene continua a rimanere di proprieta’ dell’imputato il quale, avendone la disponibilita’, ben puo’ effettuare su di esso negozi giuridici. Ed e’ proprio per questo che il legislatore, a tutela del (futuro) diritto ablatorio a favore dello Stato, ha previsto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca che e’, appunto, una misura temporanea tipicamente cautelare che tende ad impedire che l’imputato, nelle more del processo, possa disperdere il bene, frustrando, quindi, l’interesse dello Stato a divenirne proprietario. Ove si consentisse al terzo creditore di anticipare la tutela del proprio diritto fin dal momento in cui il sequestro e’ stato disposto, la pretesa ablatoria dello Stato verrebbe frustrata a monte determinando la sostanziale impossibilita’ di disporre il sequestro preventivo su beni gravati da garanzie reali e di garantire cosi’, anticipatamente, il buon esito della confisca.
Ne’ il conflitto fra il terzo creditore titolare di un diritto reale di garanzia sul bene e lo Stato puo’ essere regolato in una fase anticipata del processo, perche’, fino alla conclusione dello stesso, non puo’ ancora parlarsi di diritto ablatorio dello Stato ma solo di un’aspettativa. Da qui la necessita’ di attendere l’esito del processo penale e l’eventuale decisione definitiva sulla confisca perche’ solo in tale momento il conflitto fra creditore e Stato da potenziale diventa attuale e concreto e, quindi, idoneo ad essere risolto. E dal combinato disposto dell’articolo 676 c.p.p., comma 1, e articolo 667 c.p.p., comma 4, (nonche’ degli articoli 86 e 88 disp. att. cod. proc. pen. e articolo 13 reg. esec. cod. proc. pen.), si evince che competente a decidere sulla confisca e, quindi, su tutte le questioni che su di essa possono sorgere, e’ appunto, il giudice dell’esecuzione penale – e non il giudice dell’esecuzione civile – il quale e’ l’esclusivo titolare del potere di provvedere alla custodia del bene confiscato e di disporne la vendita, assicurando, tuttavia, che, all’esito della procedura di liquidazione, sul ricavato il creditore stesso possa esercitare lo ius praelationis, conseguendo quanto spettantegli, con priorita’ rispetto ad ogni altra destinazione”: principio che, ovviamente resterebbe disatteso ove si accedesse alla tesi della tutela anticipata del ricorrente. In conclusione, il diritto al soddisfacimento sul bene puo’ essere fatto valere solo in via posticipata davanti al giudice dell’esecuzione penale e non in via anticipata davanti al giudice dell’esecuzione civile quando ancora la confisca non e’ divenuta definitiva.
3.1.2.2. – E tali conclusioni non sono inficiate dal contrario dictum della sentenza sez. 5, 31 ottobre 2014, n. 2319/2015, perche’ la stessa giunge ad affermare la legittimazione del creditore pignoratizio alla proposizione della richiesta di riesame ex articolo 322 cod. proc. pen. avverso il decreto di sequestro della cosa oggetto di pegno a garanzia del suo credito sostanzialmente richiamando l’orientamento espresso da sez. 3, 25 giugno 2013, n. 42144, rv. 257369, secondo cui, in tema di sequestro preventivo, il proprietario di una cosa sequestrata, data in locazione a terzi, non e’ legittimato a proporre istanza di riesame poiche’ la res non e’ nella sua disponibilita’ e non potrebbe, quindi, conseguirne la restituzione; puo’ soltanto chiedere la revoca della misura, dopo aver ottenuto la risoluzione anticipata del contratto. In entrambe tali pronunce, in sostanza, si fa coincidere la legittimazione ad impugnare non con il diritto di proprieta’, ma con la detenzione qualificata o il possesso della cosa. In altri termini; l’imputato proprietario del bene da lui dato in locazione o in pegno non sarebbe legittimato alle impugnazioni di cui agli articoli 322 e 322 bis cod. proc. pen., mentre la legittimazione spetterebbe esclusivamente al terzo creditore pignoratizio o al terzo locatario. Si tratta un assunto che questo Collegio non condivide, in primo luogo sul piano dell’interpretazione letterale, perche’ i richiamati articoli 322 e 322 bis cod. proc. pen. attribuiscono espressamente all’imputato la legittimazione a proporre richiesta di riesame o appello, senza prevedere alcuna esclusione per il caso in cui il bene oggetto di sequestro di cui egli e’ proprietario sia oggetto di pegno o di diritti di obbligazione di terzi. In secondo luogo, l’assunto non e’ condivisibile neanche sul piano sistematico, perche’ non tiene conto del fatto che il proprietario, a meno che il suo titolo non sia fittizio (ad esempio perche’ nascente da contratto simulato) ha per definizione la disponibilita’ giuridica della cosa, anche qualora non ne abbia la disponibilita’ materiale, cosi’ da dover essere in ogni caso considerato quale “persona alla quale le cose sono state sequestrate” o “che avrebbe diritto alla loro restituzione”. Egli puo’ infatti sempre disporre del diritto di proprieta’ (ad esempio vendendo la cosa) o esercitare le azioni civilistiche a sua tutela (ad esempio rivendicando la cosa da un terzo che affermi a sua volta di esserne il proprietario).
Tali considerazioni consentono di ritenere manifestamente infondati i rilievi difensivi – formulati con la memoria depositata in prossimita’ della camera di consiglio – circa una pretesa “non disponibilita’” dei titoli oggetto di sequestro da parte dell’indagato, che ne e’ il proprietario.
3.1.2.3. – Deve osservarsi, infine, che – contrariamente a quanto ritenuto nel ricorso – la circostanza che oggetto del sequestro siano strumenti finanziari non muta il quadro della situazione.
Il Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articoli 83-bis e segg. prevedono, infatti, che gli strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione in mercati regolamentati italiani possono essere trasferiti soltanto tramite intermediari e che soggiacciono ai vincoli, tra cui il pegno, realizzati mediante registrazione in apposito conto tenuto dall’intermediario stesso. Cio’ non significa, pero’, che il proprietario non possa giuridicamente disporne, perche’ le previsioni normative di cui sopra riguardano proprio atti di disposizione su tali strumenti, quali il loro trasferimento o la costituzione del pegno.
3.1.3. – Ne consegue il difetto di legittimazione della Banca ricorrente.
3.2. – Le considerazioni appena svolte circa la radicale inesistenza della legittimazione del creditore pignoratizio all’impugnazione inducono a ritenere comunque irrilevanti le considerazioni difensive svolte con il motivo sub 2.3., relative all’ulteriore ragione di esclusione della legittimazione attiva, riscontrata dal Tribunale nell’intervenuta pronuncia della sentenza di primo grado, che aveva disposto la confisca dei beni sequestrati.
3.3. – Per analoghe ragioni, deve essere ritenuto inammissibile il quarto motivo di doglianza, con cui si rileva la violazione degli articoli 321 c.p.p. e ss., sul rilievo che il Tribunale non avrebbe considerato i diritti della Banca, terza creditrice pignoratizia di buona fede. Si e’, infatti, gia’ osservato che la Banca e’ priva di legittimazione attiva e che, in ogni caso, l’affidamento della custodia dei beni sequestrati e’ scelta discrezionale del giudice sulla quale i terzi non possono comunque interloquire, specialmente se privi di legittimazione attiva.
3.4. – Il quinto motivo di ricorso – con cui si rileva la violazione dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, e articolo 1851 cod. civ., per non aver considerato che il saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS) rientra nella categoria del pegno irregolare, il quale attribuisce alla Banca il diritto di proprieta’ su tale somma – e’ invece fondato.
Come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sez. 1, 17 ottobre 2013, n. 49719, rv. 257823), il “pegno irregolare” (articolo 1851 cod. civ.) in tema di anticipazione bancaria risponde ad uno schema negoziale di portata generale ed e’ accomunabile al pegno c.d. “regolare” (articoli 2784 c.c. e ss.) sia per il profilo strutturale della “natura reale” del contratto, sia per il profilo funzionale della condivisa “causa di garanzia”. Esso e’, pero’, connotato da una sua specificita’ di contenuto e di effetti. L’effetto reale, che nel pegno regolare si esaurisce nella creazione di uno ius in re aliena opponibile erga omnes, assume, invece, nel pegno irregolare la piu’ ampia valenza di un vero e proprio trasferimento di proprieta’ delle cose attribuite in garanzia. Inoltre, l’obbligazione restitutoria gravante sul creditore, concerne il tantundem di quanto ricevuto in garanzia, mentre nel pegno regolare ha ad oggetto la medesima res di cui egli ha avuto temporaneamente la detenzione. In sintesi, il pegno irregolare puo’ essere definito come il contratto con cui il garante consegna e attribuisce in proprieta’ al creditore denaro o beni aventi un prezzo corrente di mercato, e per cio’ reputati fungibili con il denaro, dei quali l’accipiens deve restituire il tantundem solo se e quando interviene l’adempimento dell’obbligazione garantita; altrimenti, l’obbligazione restitutoria attiene all’eventuale eccedenza del valore dei beni trasferiti in proprieta’ rispetto al valore della prestazione garantita rimasta inadempiuta (Cass. civ., sez. un., 14 maggio 2001, n. 202; 25 ottobre 2011, n. 16725). Il contratto di pegno irregolare, di conseguenza, non elimina il diritto a pretendere l’adempimento, quanto piuttosto esaurisce in limine l’interesse del creditore a percorrere la via della esecuzione forzata, essendo anticipato con lo strumento negoziale l’effetto finale della tutela processuale.
Ne consegue, per quanto qui rileva, che il sequestro penale presso il creditore di beni costituiti dall’indagato-debitore in pegno irregolare, vincolerebbe a garanzia degli interessi perseguiti con la misura cautelare reale, beni non piu’ di proprieta’ del costituente, non potendo d’altra parte il sequestro presso terzi avere ad oggetto crediti puramente eventuali. Sussiste, di conseguenza, la legittimazione della Banca ricorrente, quale persona giudica alla quale le cose sono state sequestrate, alla impugnazione in esame (ex multis, sez. 2, 6 maggio 2010, n. 23659, rv. 247409; v. anche sez. 6, 9 febbraio 1995, n. 507, rv. 201197).
4. – L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, limitatamente al sequestro del conto corrente n. (OMISSIS), con rinvio al Tribunale di Vicenza, perche’ proceda a nuovo giudizio sul punto, tenendo conto dei principi di diritto appena sopra affermati. Il ricorso deve essere nel resto rigettato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente al sequestro del conto corrente n. (OMISSIS), con rinvio al Tribunale di Vicenza. Rigetta il ricorso nel resto.
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