Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 22 ottobre 2015, n. 42566

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente

Dott. BRUNO P. A. – rel. Consigliere

Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 9 maggio 2014;

udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PINELLI Mario Maria Stefano, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza del 14 dicembre 2012, con la quale il Tribunale di Ravenna aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato di cui all’articolo 612 bis cod. pen. perche’, con condotte reiterate, molestava la figlia minore (OMISSIS) con condotte reiterate, ingenerando in lei un fondato timore per l’incolumita’ propria e, comunque, costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita; condotte consistite, in particolare, nel contravvenire pressoche’ quotidianamente al divieto di prendere contatti con la figlia minore (OMISSIS), imposto dal Tribunale per i minorenni di Bologna con decreto in data 11.16.2005, telefonandole continuamente presso l’abitazione o comunque alle utenze del padre e dei nonni per parlarle, raggiungendola reiterata mente presso i luoghi dalla medesima frequentati (istituti scolastici, luoghi di svago, abitazione, eccetera) ed appostandosi nelle immediate vicinanze degli stessi (ovvero entrandovi all’interno o comunque suonando ripetutamente il campanello per cercare di entrare), pedinandola nei suoi spostamenti e, poi, cercando ogni volta di avvicinarla e di prendere contatti con lei; e, per l’effetto, l’aveva condannata, esclusa la recidiva, alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, oltre consequenziali statuizioni.

Avverso la anzidetta pronuncia l’imputata, personalmente, ha proposto ricorso per cassazione lamentando, con unico motivo, erronea applicazione violazione di legge in relazione agli articoli 43 e 612 bis cod. pen. (ai sensi dell’articolo 606, lettera b) e in mancanza, contraddittorieta’ ed illogicita’ di motivazione (ai sensi dell’articolo 606, lettera e). In particolare, si deduce mancanza di motivazione in ordine all’elemento psicologico, non potendo ritenersi che la volonta’ della madre fosse realmente diretta a creare turbamento nella minore ovvero costringerla a modificare le sue quotidiane abitudini di vita. Contesta, altresi’, la possibilita’ di configurare l’elemento soggettivo in chiave di dolo eventuale, quale accettazione preventiva del rischio di creare turbamento nella minore o costrizione ad abbandonare le ordinarie occupazioni.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1. Le distinte censure che sostanziano l’unico motivo di ricorso sono tutte palesemente infondate. In una valutazione d’assieme, esse si risolvono, in sostanza, nella mera riproposizione di rilievi critici che, per vero, avevano gia’ trovato compiuta e pertinente risposta nelle due sentenze di merito.

Sara’, allora, sufficiente considerare che dal compendio argomentativo delle anzidette sentenze, che – in quanto convergenti in punto di penale responsabilita’ – forma una sola entita’ giuridica, integrandosi vicendevolmente, risultano perfezionati entrambi gli elementi costitutivi del reato di cui all’articolo 612 bis.

Sul piano della dimensione oggettiva e’ stata accertata un’ossessiva condotta dell’odierna ricorrente, caratterizzata da reiterate, pervicaci, intromissioni e turbamenti nel vissuto esistenziale della minore, in spregio peraltro dei divieti e delle prescrizioni del Tribunale per i minorenni.

Parimenti accertato e’ il nesso causale tra tale ostinata condotta e l’evento, consistente, nel caso di specie, nello stato di ansia ed apprensione arrecato alla minore e nel cambiamento delle sue abitudini di vita. I due eventi tipici, dei tre previsti dalla norma sostanziale, sono stati, correttamente, desunti da pertinenti ed obiettivi dati sintomatici tratti dalle risultanze di causa (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, Rv. 261535; Sez. 6, n. 20038 del 19/03/2014, Rv. 259458).

Ineccepibile, poi, e’ l’individuazione del profilo soggettivo, che si pone in sintonia con indiscusso insegnamento di questa Corte di legittimita’, secondo cui nel delitto di atti persecutori, l’elemento soggettivo e’ integrato dal dolo generico, che consiste nella volonta’ di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneita’ delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se puo’ realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l’agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260411; Sez. 5, n. 20993 del 27/11/2012, dep. 2013, Rv. 255436 secondo cui il delitto di atti persecutori e’ reato abituale di evento, per la cui sussistenza, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, e’ sufficiente il dolo generico, il quale e’ integrato dalla volonta’ di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneita’ delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice). Dunque, e’ sufficiente la mera consapevolezza dell’idoneita’ delle condotte ossessive alla produzione di uno degli eventi tipici previsti dalla norma. La necessita’, poi, che detta valutazione debba essere compiuta non solo in astratto, ma anche in rapporto all’oggettiva constatazione del riflessi consequenziali della condotta illecita, destabilizzanti sul piano della serenita’ ed equilibrio psichico della persona offesa e delle sue ordinarie abitudini di vita, vale a fugare le perplessita’ difensive in ordine alla possibilita’ di configurare l’elemento soggettivo in chiave di dolo eventuale, a parte l’irrilevanza del rilievo posto che la componente soggettiva, nel caso di specie, non risulta affatto configurata nei termini anzidetti, ma correttamente posta in termini di dolo generico.

3. Per quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo.

Ricorrono le condizioni di legge per disporre che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano oscurati i dati sensibili.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, come imposto dalla legge, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *