Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  22 gennaio 2015, n. 1148

Svolgimento del processo

1.- Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Trieste ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da L.V.M. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Trieste, con la quale era stata accertata l’intervenuta risoluzione ex art. 1456 cod. civ. del contratto di affitto del ramo d’azienda stipulato tra la L.V.M. s.r.l. e la società Policentro Gestioni Immobiliari s.r.l., cedente della PAFIM s.r.l. (che aveva agito in giudizio contro la L.V.M. s.r.l.), ed era stato affermato il conseguente diritto dell’attrice di trattenere, quale penale, la somma di Euro 16.590,00 ricevuta a titolo di acconto. La sentenza di primo grado aveva altresì condannato la convenuta al pagamento dei canoni dovuti fino alla risoluzione ed alla refusione delle spese di lite, rigettandone la domanda riconvenzionale.
La Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile il gravame perché proposto con ricorso, malgrado il giudizio di primo grado fosse stato trattato col rito ordinario, e perché il ricorso, benché tempestivamente depositato, è stato notificato, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, oltre il termine dell’art. 327 cod. proc. civ., tenuto conto della data di deposito della sentenza di primo grado. Il giudice d’appello ha condannato l’appellante al pagamento delle spese.
2.- Avverso la sentenza L.V.M. s.r.l. propone ricorso con due motivi.
L’intimata non si difende.
Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. e, con decisione presa all’adunanza del 12 dicembre 2011, è stato rimesso alla pubblica udienza.
Parte ricorrente ha depositato memorie sia ai sensi dell’art. 380 1 bis cod. proc. civ. che ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., l’errore della Corte d’Appello perché non avrebbe tenuto conto del fatto che già il Tribunale era incorso in errore nel non aver disposto il mutamento del rito ordinario in rito locatizio e che l’appellante avrebbe posto rimedio a questo errore proponendo l’appello secondo quest’ultimo rito, che è quello corretto.
Pertanto, a detta della ricorrente, la Corte non avrebbe considerato che il rito stabilito dal codice di procedura civile per la controversia avente ad oggetto un contratto di affitto di azienda è quello seguito dall’appellante. Inoltre la Corte avrebbe errato nell’assoggettare il ricorso alla disciplina degli atti di citazione, pur avendo avallato la scelta dell’appellante dell’introduzione con ricorso, avendo fissato l’udienza e concesso termine per la notificazione del ricorso e del decreto, secondo le norme del rito locatizio, pienamente rispettate dall’appellante medesima.
1.1.- Il motivo è infondato e va rigettato.
La Corte d’Appello ha fatto applicazione del principio c.d. dell’ultrattività del rito, ripetutamente espresso da questa Corte, dal quale il Collegio ritiene di non doversi discostare.
Va perciò ribadito che ove la controversia sia stata trattata in primo grado con rito ordinario in luogo di quello del lavoro, al quale è assoggettata, debbono essere seguite le forme ordinarie anche per la proposizione dell’appello e dell’eventuale appello incidentale; pertanto, l’appello va proposto con citazione ad udienza fissa. Se, invece, la controversia sia stata trattata con il rito del lavoro anziché con quello ordinario, la proposizione dell’appello segue le forme della cognizione speciale. Ciò, in ossequio al principio dell’ultrattività del rito, che – quale specificazione del più generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice – trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (cfr., oltre alla giurisprudenza citata in sentenza, anche Cass. n. 10278/02, n. 682/05, n. 12990/10, nonché di recente Cass. n. 15897/14).
2.- Inoltre, la Corte d’Appello non ha escluso che, in astratto, fosse possibile la sanatoria dell’atto introduttivo della lite, ma ha ritenuto tardivo l’appello proposto col deposito del ricorso per il mancato rispetto del termine dell’art. 327 cod. civ. riferito alla citazione, vale a dire tenendo conto della data di notificazione della citazione e non della data di deposito del ricorso.
Anche quest’ultima interpretazione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
Costantemente la Corte di Cassazione si è espressa nel senso che, dovendosi proporre l’appello con citazione, ove invece sia stato proposto con ricorso, la sanatoria è ammissibile solo se tale atto sia stato non soltanto depositato nella cancelleria del giudice competente, ma anche notificato alla controparte nel termine perentorio dell’art. 325 o dell’art. 327 cod. proc. civ. (cfr., tra le altre, Cass. n. 23412/08, n. 4498/09, n. 9530/10).
Si è affermato, inoltre, in situazioni processuali coincidenti con quella oggetto del presente ricorso, che il principio appena esposto trova applicazione anche quando, essendo stato seguito erroneamente in primo grado il rito ordinario, in controversia che ratione materiae avrebbe dovuto essere trattata col rito speciale, l’impugnazione debba comunque essere proposta con citazione, in ragione del principio c.d. dell’ultrattività del rito, di cui sopra (cfr. Cass. n. 12990/10 e n. 12290/11).
2.1.- Altrettanto presente nella giurisprudenza di questa Corte è il principio correlato per il quale quando l’appello avrebbe dovuto essere proposto mediante ricorso, l’impugnazione introdotta con citazione è sanabile purché questa risulti non solo notificata, ma anche depositata in cancelleria nel termine perentorio di legge (cfr., tra le altre, Cass. n. 5150/04, n. 8947/06, n. 17645/07, n. 21161/11).
2.2.- In effetti, in una situazione processuale affine, quale quella delle impugnazioni delle delibere dell’assemblea condominiale, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che sebbene, in applicazione della regola generale dettata dall’art. 163 cod. proc. civ., debbano essere proposte con citazione, possono, comunque, ritenersi valide le impugnazioni proposte impropriamente con ricorso, sempreché l’atto risulti depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall’art. 1137 cod. civ. (Cass. S.U. n. 8491/11, nonché Cass. n. 18117/13).
Si è così posta la questione dell’estensione di tale ultimo innovativo orientamento ad altre situazioni processuali, con eventuale overruling in materia di sanatoria dell’atto introduttivo errato nella forma (cfr. Cass. ord. n. 5149/12, ord. n. 13723/12, ord. n. 14986/12). E proprio in ragione di tale dibattito giurisprudenziale all’epoca già avviato, il presente ricorso, esaminato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., in data 12 dicembre 2011, è stato rinviato per la trattazione in pubblica udienza. Nelle more, le Sezioni Unite hanno ribadito la pregressa interpretazione degli artt. 156 e 159 cod. proc. civ., per la quale la conversione dell’atto introduttivo non conforme al rito prescritto per la controversia è possibile soltanto alle condizioni sopra specificate ed hanno limitato l’eccezione al principio al solo caso dell’impugnazione delle delibere dell’assemblea del condominio (cfr. Cass. S.U. n. 21675/13, S.U. n. 22848/13, S.U. n. 2907/14, S.U. n. 3308/14).
3.- Preso atto di tale recentissima conferma e combinando i due principi sopra richiamati, va qui ribadito che “nelle controversie regolate dal rito locatizio, il principio di ultrattività del rito postula che il giudice abbia trattato la causa secondo quello erroneamente adottato, implicitamente ritenendo che il rito in concreto seguito sia quello prescritto, con la conseguenza che il giudizio deve proseguire nelle stesse forme. Pertanto, qualora una causa in materia di locazione sia stata trattata con il rito ordinario, l’atto di appello va proposto con citazione, a norma dell’art. 342 cod. proc. civ., da notificare entro trenta giorni dalla notifica della sentenza; ove, invece, l’appello sia stato proposto erroneamente con ricorso, ai fini della tempestività del gravame occorre guardare non alla data di deposito dello stesso, bensì a quella della notifica del ricorso alla controparte in una col provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza” (così, di recente, Cass. n. 15272/14).
Il primo motivo di ricorso va perciò rigettato.
4.- Col secondo motivo di ricorso, si invoca, subordinatamente al rigetto del primo motivo, l’applicazione del rimedio restitutorio della rimessione in termini previsto dall’art. 184 bis cod. proc. civ..
La richiesta non può essere accolta, nemmeno se intesa, come precisato nella memoria di parte ricorrente, come richiesta avanzata alla Corte di Cassazione perché rinvii la causa al giudice di appello per l’adozione dei provvedimenti restitutori.
Non si è infatti in presenza di un mutamento di giurisprudenza sull’interpretazione di norme processuali (cfr. Cass. S.U. n. 15144/11), essendo anzi consolidato, ed oggi confermato dalle Sezioni Unite, l’orientamento interpretativo seguito dalla Corte d’Appello di Trieste.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese poiché l’intimata non si è difesa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

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