cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 21 maggio 2015, n. 21029

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente

Dott. GRILLO Renato – Consigliere

Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere

Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere

Dott. GAZZARA Santi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 28/01/2014 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fulvio Baldi che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione;

udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), sostituto processuale dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ricorre per cassazione impugnando la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Milano, in parziale riforma di quella emessa dal tribunale di Como, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per le contravvenzioni a lui ascritte perche’ estinte per prescrizione ed ha determinato la pena in mesi otto di reclusione per la residua imputazione con la quale e’ stato accusato del reato previsto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1 bis, perche’, nella sua qualita’ di committente dei lavori, sull’immobile sito in (OMISSIS), in assenza di provvedimento concessorio e/o autorizzatorio, realizzava le seguenti opere abusive: realizzazione di una “casa sull’albero” in struttura lignea, di due piani fuori terra piu’ una torretta, avente una superficie totale di 70,20 mq. ed un volume totale di 180, mc. commettendo il fatto su area soggetta a vincolo cimiteriale ai sensi del Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265, articolo 338, nonche’ a vincolo ambientale ai sensi del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 136, quale immobile di notevole interesse pubblico, e dell’articolo 142, comma 1, lettera b), del medesimo decreto legislativo. In (OMISSIS).

In relazione al vincolo paesaggistico – unica vicenda per la quale e’ residuata la condanna – la Corte di appello e’ pervenuta alla suddetta conclusione rilevando come fosse incontroverso che la struttura era stata realizzata in una zona soggetta al predetto vincolo, derivando da cio’ che, per la sua realizzazione, era indispensabile che fossero state richieste e concesse le necessarie autorizzazioni amministrative con la conseguenza che, nella conclamata assenza di esse, non poteva essere accolta la tesi facente leva sulla natura accessoria del manufatto, onde sostenere la liceita’ dell’edificazione senza atti autorizzatori e comunque l’intervenuta sanatoria da parte del Comune di (OMISSIS) a costruzione conclusa.

La Corte territoriale ha osservato in proposito che la questione non fosse rilevante essendo evidente dal combinato disposto del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 146, comma 1, e 181, commi 1 e 1 bis, come fossero soggetti ad autorizzazione i lavori di qualsiasi genere purche’ riferibili, come nella specie, ad aree di interesse paesaggistico e quindi anche la creazione di pertinenze.

Non era stato poi contestato che la costruzione avesse comportato la creazione di un volume pari a circa 180 metri cubi, sicche’ l’atto di sanatoria ambientale e’ apparso alla Corte d’appello palesemente illegittimo ed e’ stato percio’ disapplicato.

Parimenti disattesa e’ stata la doglianza circa la mancata indagine sull’elemento soggettivo del reato da parte del primo giudice e tanto sul rilievo che la condotta del ricorrente non sarebbe stata fuorviata dal comportamento della pubblica amministrazione in quanto la costruzione della casa sull’albero era avvenuta in assenza di qualsiasi autorizzazione ed era anzi proseguita nonostante l’ordine di sospensione dei lavori, di demolizione e di rimessione in pristino del 30 aprile 2008.

In altri termini, secondo la ratio decidendi, l’atto amministrativo illegittimo di sanatoria non aveva preceduto la realizzazione del manufatto, ma l’aveva seguita con la conseguenza che la condotta dell’imputato era ampiamente perfezionata e l’imputato stesso aveva gia’ realizzato la fattispecie delittuosa di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, nella piena consapevolezza della presenza di tutti gli elementi costitutivi del reato.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, (OMISSIS), tramite i difensori, solleva un unico complesso motivo di gravame, cui hanno fatto rituale seguito due motivi nuovi, motivo principale e motivi aggiunti qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il motivo di ricorso si deduce la nullita’ della sentenza impugnata per violazione della legge processuale e sostanziale e per vizio di motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e)) su punti decisivi per il giudizio.

Si sostiene come la Corte del merito non si sia confrontata con tutti i motivi di appello (richiamati nel ricorso), essendosi piuttosto acriticamente assestata sulle rationes decidendi della prima sentenza ampiamente pero’ censurata.

Invero era sfuggita ad entrambi i decidenti la piu’ corretta visione delle peculiari connotazioni del manufatto quale “bird watching”.

Analizzata e superata la questione concernente il vincolo cimiteriale per la mancanza, nel caso di specie, di qualsiasi edificazione, il ricorrente osserva che le caratteristiche del bird watching, sono tali da escludere la necessita’ di un controllo pubblico: cio’, in particolare, con riferimento ai seguenti aspetti: a) mancanza di fondamenta; b) impiego del legno invece del cemento, mattoni, etc.; c) mancanza di impianti di qualsiasi genere;d) funzione non abitativa o, comunque, con permanenza di persone; e) facile e veloce rimovibilita’.

Si tratterebbe percio’ di un manufatto di carattere precario non soggetto, secondo la giurisprudenza amministrativa, al rilascio del permesso di costruire.

Si richiama, a tale proposito, la giurisprudenza di legittimita’ secondo la quale la sola realizzazione di interventi non autorizzati non e’ sufficiente per la configurabilita’ del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, dato che e’ necessario, secondo il consolidato orientamento della Corte Suprema, che “tali interventi abbiano un minimo di offensivita’, nel senso che essi devono essere idonei ad incidere negativamente sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a vincolo”.

Pertanto la messa in pericolo del bene tutelato deve concretarsi pur sempre in un nocumento potenziale da valutarsi ex ante, oggettivamente insito nella minaccia ad esso portata, dovendosi escludere qualsiasi forma di lesione del bene tutelato nel caso di trasformazione del territorio consistente in comportamenti che non incidano in senso fisico ed estetico sui beni protetti ovvero non modifichino in modo apprezzabile, sia pure temporaneamente, il paesaggio.

Sotto tale profilo, dunque, difetterebbe, secondo il ricorrente, l’elemento oggettivo del reato.

2.2. In ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico, la Corte di appello non avrebbe inoltre colto appieno, ad avviso del ricorrente, la valenza delle censure, sicche’ la motivazione anche in ordine a tale punto sarebbe illogica e mancante. Il contegno (sia pure successivo) degli organi amministrativi non ha potuto che corroborare (e posteriormente confermare) lo stato di buona fede di chi si era determinato a commissionare (a ditta a cio’ specializzata) una realizzazione lignea nella certezza che tale realizzazione – come pubblicizzato – non richiedesse autorizzazioni di sorta.

Infine osserva il ricorrente come la Corte di appello – affermando che “l’ordine di demolizione consegue di diritto alla condanna e non puo’ essere revocato”, laddove la censura concerneva invece la legittimita’ e/o l’opportunita’ di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto – abbia del tutto omesso di fornire adeguata risposta alla doglianza formulata, incorrendo, ancora una volta, nel vizio di motivazione denunciato.

2.3. Con il primo motivo nuovo si deduce la nullita’ della sentenza per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), nonche’ per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all’articolo 25 Cost., comma 2, Cost., articolo 49 c.p., Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis.

Con il secondo motivo nuovo si lamenta la nullita’ della sentenza impugnata per la mancanza, la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), nonche’ per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all’articolo 27 Cost., comma 1, articoli 43 e 47 c.p., articolo 192 c.p.p., e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis.

Con tali censure vengono approfonditi i rilievi mossi con il motivo di ricorso principale attraverso ampi richiami alla giurisprudenza di questa Corte, alla giurisprudenza costituzionale e alla dottrina.

2.3.1. In buona sostanza, si denuncia l’omessa motivazione e la violazione di legge circa la oggettiva configurabilita’ della concreta fattispecie criminosa, sotto il peculiare profilo della sua connotazione “offensiva” (sia pure solo in via potenziale) rispetto al bene giuridico protetto (integrita’ del paesaggio).

Si assume che la gravata sentenza, con riferimento ai reati formali e di pericolo presunto, avrebbe omesso di considerare un punto decisivo per il giudizio ossia che il bene tutelato va individuato non soltanto nell’interesse (formale e strumentale) della pubblica amministrazione competente a controllare preventivamente che la trasformazione dell’assetto territoriale sia conforme alla conservazione della integrita’ ambientale, ma altresi’ nell’interesse sostanziale (e finale) della integrita’ paesaggistico – ambientale.

Siccome la difesa dell’imputato ha correttamente eccepito che l’intervento posto in essere dal ricorrente era da ritenersi inoffensivo, a tal fine valorizzando, nei propri motivi d’appello, una serie di dati oggettivi, la Corte distrettuale ha non soltanto omesso di prendere in considerazione, (quantomeno) nella prospettiva esaminata, le questioni sollevate ma ha erroneamente disatteso i principi generali in tema di (doverosa) verifica della specifica offensivita’ della condotta contestata.

Nella vicenda in esame, quindi, l’assenza di pericolosita’ dell’intervento eseguito non era stata astrattamente argomentata dall’imputato, bensi’ provata allegando dati obiettivi specifici, tra cui il parere favorevole di compatibilita’ paesaggistica reso dalla competente Soprintendenza, che aveva escluso, senza incertezze, che il c.d. bird watching, si’ come progettato e realizzato, potesse avere un negativo impatto sul paesaggio circostante.

Sotto tale profilo, secondo il ricorrente, la gravata sentenza andrebbe cassata senza rinvio “perche’ il fatto non sussiste” o perche’ l’imputato “non e’ punibile” per inoffensivita’ della condotta (ai sensi dell’articolo 49 c.p., comma 2, o del generale criterio della necessaria offensivita’) ovvero andrebbe annullata in parte qua con rinvio alla Corte distrettuale per una risposta specifica ed adeguata sulle questioni controverse oggetto di censura.

2.3.2. Quanto all’elemento psicologico, cio’ che e’ emerso, ad avviso del ricorrente, e’ in realta’ il mero intendimento, da parte dell’imputato, di creare una modesta struttura in legno che, per caratteristiche costruttive e per la ovvia funzione cui avrebbe dovuto ragionevolmente assolvere (consentire l’avvistamento degli uccelli e la godibilita’ del paesaggio circostante), appariva pienamente coerente, anziche’ distonica, con la natura del vincolo che si assume violato, cosi’ da non ingenerare nel prevenuto, al momento dell’affidamento dei lavori, alcun dubbio sulla (asserita) assoggettabilita’ del manufatto al preventivo controllo dell’autorita’ preposta alla gestione del vincolo (Comune di (OMISSIS)).

E’ infatti emerso come il ricorrente si sia affidato a tecnici del settore, riponendo ragionevole affidamento nella loro elevata competenza professionale e cio’ esclude che egli abbia agito con la consapevolezza di realizzare un manufatto edilizio “abusivo”, anche in violazione della disciplina paesaggistica prevista dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004.

Ne consegue che l’elevato grado di complessita’ della normativa di settore, la ritenuta natura “precaria” e “pertinenziale” dell’intervento eseguito (tale da far escludere, quantomeno nella percezione del ricorrente, la necessita’ di ottenere preventivi titoli abilitativi) costituiscono circostanze che hanno certamente contribuito a far incorrere in errore il ricorrente stesso sulla interpretazione delle disposizioni che regolano la materia (in particolare, sui limiti di operativita’ del vincolo e sulla conseguente necessita’ di premunirsi di autorizzazione rispetto alla tipologia dei lavori da eseguire), portandolo a credere (sia pur erroneamente) di realizzare un fatto diverso da quello vietato, per tale ragione non punibile ai sensi dell’articolo 47 c.p., comma 3.

In assenza sia di qualunque elemento idoneo a comprovare la piena consapevolezza e la diretta volonta’ del ricorrente di porre in essere il fatto illecito contestato, inammissibile essendo il ricorso a presunzioni di dolo (dolus in re ipsa), sia di una benche’ minima confutazione delle censure difensive poste a sostegno della insussistenza della natura “dolosa” della condotta attribuibile all’imputato, deve pertanto ritenersi integrata, anche sotto tale concorrente profilo, non solo la denunciata carenza ed illogicita’ motivazionale ma altresi’ il vizio di inosservanza o erronea interpretazione della legge penale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

2. In punto di fatto, i Giudici del merito, con doppia conforme motivazione, hanno accertato come la sola descrizione della struttura realizzata fosse ampiamente indicativa della sua rilevanza paesaggistica, essendo risultato (in particolare dal secondo verbale di sopralluogo) che dal giardino – in cui e’ sito l’albero attorno al quale e’ stata realizzata la “casa sull’albero”, costituita da una struttura orizzontale e verticale in legno – si raggiungeva, salendo da una scala sempre in legno, il primo piano della stessa composto da due locali, notandosi sulle pareti verticali di essi la presenza di dieci aperture di varie dimensioni; attraverso una scala in legno interna al locale principale, si saliva poi dal piano primo al secondo piano, dotato per numero e dimensioni delle stesse aperture del piano primo e poi dal piano secondo dove, attraverso una scaletta interna, provvisoria, si raggiungeva il locale torretta; nel complesso, e’ stata rilevata un’altezza interna minima del manufatto pari a metri 2,31 e massima pari a metri 3,69 (al colmo della copertura); la struttura era fissata a terra con plinti di cemento in cui erano annegati i pilastri in legno che la sostenevano, le saette di sostegno della struttura a sbalzo erano fissate al fusto dell’albero con profili metallici.

I Giudici del merito hanno verificato tali affermazioni riscontrandole dai particolari fotografici e dai documenti filmati allegati a corredo degli atti processuali, sottolineando (v. sentenza del tribunale) che il secondo sopralluogo si era concluso, sotto la dicitura “considerazioni tecniche”, nel seguente modo: “rispetto allo stato di fatto del manufatto realizzato abusivamente alla data del primo sopralluogo, all’atto del secondo sopralluogo e’ emerso che i lavori sono proseguiti nonostante la ns. diffida, di cui all’ordinanza sopra citata. E’ stato realizzato un incremento di volume che sommato a quello gia’ realizzato, costituisce un volume totale pari a 180,15 me. Ai sensi delle nostre norme tecniche di attuazione le opere realizzate costituiscono un volume edilizio. Inoltre l’intervento e’ stato realizzato in zona soggetta a vincolo ambientale e soggetta a vincolo cimiteriale”.

Non contestato che la zona su cui insiste il manufatto e’ stata dichiarata di notevole interesse pubblico con Decreto Ministeriale 15 aprile 1958 pubblicato in G.U. n. 110, i Giudici del merito, dopo avere rilevato il comportamento contraddittorio degli organi della pubblica amministrazione al riguardo, hanno ritenuto che il parere (favorevole), propedeutico al rilascio della c.d. “sanatoria ambientale”, espresso dalla Soprintendenza fosse fondato su circostanze contrarie alla realta’ dei fatti, come cristallizzati negli esiti dei precedenti e documentati sopralluoghi, conseguendo da cio’ l’illegittimita’ dell’accertamento di compatibilita’ paesaggistica, in quanto adottato in violazione della previsione del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 ter, sul rilievo che la costruzione della c.d. “casa sull’albero” avesse determinato la creazione di superfici utili e volumi considerata la tipologia del manufatto e le sue caratteristiche strutturali come dettagliatamente descritte nei verbali di sopralluogo.

Peraltro, la destinazione a bird watching del manufatto, cosi’ come sostenuta dall’imputato, e’ apparsa, sotto il profilo sostanziale, non condivisibile attesa la complessita’ strutturale e le dimensioni dell’opera che non trovano giustificazione rispetto a tale limitato utilizzo, atteso il sovradimensionamento dell’intervento rispetto alla invocata, meramente contemplativa, destinazione.

3. Al cospetto di tali articolate argomentazioni, congruamente motivate e prive di qualsiasi profilo di illogicita’, come tali del tutto sufficienti a ritenere configurata la messa in pericolo dell’interesse penalmente tutelato dalla ritenuta incriminazione, il ricorrente obietta come, nel caso di specie, fosse del tutto assente ex ante (ma anche ex post) l’offensivita’ della condotta e, in ogni caso, il dolo, facendo leva sul fatto che la stessa pubblica amministrazione ha riconosciuto (in un secondo momento) la compatibilita’ paesaggistica dell’intervento, convalidando l’inoffensivita’ (ex ante) della condotta e rendendo comunque evidente (ex post) con la rilasciata “sanatoria ambientale” che alcuna offesa al bene giuridico sarebbe nella specie minimamente ipotizzabile.

Il ricorrente tuttavia non si e’ affatto confrontato con la motivazione censurata relativamente alla natura e alle dimensioni dell’opera (fissata a terra con plinti di cemento in cui erano annegati i pilastri in legno che la sostenevano; in aggiunta, le saette di sostegno della struttura a sbalzo erano fissate al fusto dell’albero con profili metallici) che la rendevano concretamente irrealizzabile, in assenza delle prescritte autorizzazioni (semmai potessero essere legittimamente rilasciate per consentire un’opera del genere) sia dal punto di vista urbanistico che paesaggistico, attesa la natura dei vincoli insistenti sulla zona.

Neppure il ricorrente si e’ confrontato con la parte di motivazione censurata che ha “disapplicato” la c.d. “sanatoria ambientale”.

Sotto quest’ultimo aspetto, va chiarito che il positivo accertamento di compatibilita’ paesaggistica dell’abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilita’ del delitto paesaggistico previsto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1 bis, (Sez. 3, n. 7216 del 17/11/2010, dep. 25/02/2011, Zolesio ed altro, Rv. 249526), con la conseguenza che, a fronte di una contestazione di lavori eseguiti, come nella specie, su aree dichiarate di notevole interesse pubblico (e comunque in tutte le ipotesi di contestazione della fattispecie delittuosa Decreto Legislativo n. 42 del 2001, ex articolo 181, comma 1 bis), l’accertamento di compatibilita’ paesaggistica e’ del tutto irrilevante, a prescindere dall’ambito di operativita’ dell’articolo 181, comma 1 ter, che esclude, a determinate condizioni, la rilevanza penale (non anche amministrativa dal punto di vista sanzionatorio) dell’articolo 181, comma 1 (e non invece del comma 1 bis) ed anche a prescindere dalla rimessione in pristino che, ai sensi dell’articolo 181, comma 1 quinquies, estingue la contravvenzione di cui al comma 1 e giammai il delitto di cui al comma 1 bis.

4. Il che lascerebbe impregiudicata la questione sull’inoffensivita’ ex ante della condotta, correttamente esclusa dalle sentenze di merito in considerazione dalla natura e dalla consistenza dell’intervento eseguito, con accertamento di fatto che, siccome adeguatamente e logicamente motivato (e, per altro, neppure specificamente censurato), si sottrae al sindacato di legittimita’.

Va a tale proposito ricordato come questa Corte – nell’affermare il richiamato principio secondo il quale il positivo accertamento di compatibilita’ paesaggistica dell’abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilita’ del delitto paesaggistico previsto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1 bis – abbia anche affermato che la mancata estensione alla fattispecie delittuosa della causa di non punibilita’, prevista dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 ter, per la sola fattispecie contravvenzionale di cui al comma primo, non viola il principio di offensivita’ e tanto sul rilievo che, quanto alla incidenza del principio di offensivita’ nel delitto di specie, la Corte Costituzionale, investita della questione di legittimita’ costituzionale dell’originaria fattispecie di cui alla Legge 8 agosto 1985, n. 431, articolo 1 sexies, (Decreto Legislativo del 2004, articolo 181, ripropone relativamente ai commi 1 e 2, le previsioni gia’ contenute nel Decreto Legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, articolo 163, ed ancor prima dal Decreto Legge 27 giugno 1985, n. 312, articolo 1 sexies, conv. Legge 8 agosto 1985, n. 431, ponendosi con questi precedenti in sostanziale continuita’ normativa, salvo modifiche formali) sotto il profilo dell’asserito contrasto di detta norma con i principi costituzionali di cui agli articoli 13, 25 e 27 Cost., nella parte in cui sottopone a sanzione penale tutte le modifiche ed alterazioni, con opere non autorizzate, di beni specificamente tutelati dal vincolo paesaggistico, senza valutare la concreta incidenza dannosa per i beni tutelati, pur rigettando la questione, ha tuttavia affermato che, con riferimento all’offensivita’ in concreto delle condotte incriminate, l’accertamento in concreto dell’offensivita’ specifica della singola condotta, anche per i reati ascritti alla categoria di quelli formali e di pericolo presunto, e’ devoluto in ogni caso al sindacato del giudice penale, mentre la mancanza di offensivita’ in concreto, lungi dall’integrare un potenziale vizio di costituzionalita’, implica una valutazione di merito rimessa al giudice (sentenza n. 247 del 1997).

Non vi e’ dubbio (e lo stesso ricorrente ne e’ consapevole) che la fattispecie incriminatrice descritta nel Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis, configuri, al pari di quella contravvenzionale, un reato di pericolo.

Da cio’ consegue che, per la configurabilita’ dell’illecito, non e’ necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano ictu oculi inidonee a compromettere i valori del paesaggio.

Come questa Corte ha affermato il principio di offensivita’ deve essere inteso, al riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensi’ dell’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto. Nel caso di specie la sentenza impugnata ha dato conto dell’entita’ dell’opera eseguita e del fatto che la stessa e’ risultata – sulla base della documentazione anche fotografica in atti – non irrilevante sotto il profilo oggettivo, oltre ad essere stata realizzata in area dichiarata di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento. Pertanto i giudici, dandone congrua motivazione, hanno valutato l’intervento idoneo a compromettere l’ambiente, pervenendo alla corretta conclusione circa la sussistenza di un’effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonche’ una violazione dell’interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all’esercizio di un efficace e sollecito controllo.

Ne consegue che la condotta, nella situazione data, ha realizzato il pericolo pronosticato in astratto dal legislatore, su cui fonda la natura dei reati di pericolo presunto, con la conseguenza che solo astraendosi dalla fattispecie concreta, come adeguatamente ricostruita dal giudice di merito, e’ possibile, con estrapolazione logico – fattuale non consentita, ritenere vinta quella ipotetica presunzione, postulata nel ricorso, che il legislatore ha ritenuto di porre a fondamento del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

In altri termini, pur volendo distinguere, per la ricaduta che, in materia, puo’ esercitare il principio di offensivita’, i reati di pericolo astratto (dove il pericolo si ritiene effettivamente implicito nella condotta) dai reati di pericolo presunto (dove il pericolo non e’ necessariamente insito nella condotta, poiche’ nel momento in cui la stessa viene posta in essere e’ possibile controllare l’esistenza o meno delle condizioni per il verificarsi dell’evento lesivo) e sussumendo la fattispecie incriminatrice, secondo una corretta operazione ermeneutica fatta propria e pronosticata dal ricorrente, nel novero dei reati di pericolo presunto, la verifica condotta dai Giudici del merito e’ ampiamente nel senso della concreta offensivita’ della condotta a produrre l’evento temuto.

Sul punto, e’ sufficiente considerare la sproporzione rilevata dai Giudici del merito tra lo scopo per il quale si assume che l’opera doveva essere realizzata (mero avvistamento degli uccelli, “bird watching”) e la consistenza del manufatto nonche’ il suo stabile radicamento al suolo e la oggettiva funzione della struttura a poter essere persino adibita all’uso abitativo, con la conseguenza che neppure sarebbe stata fornita ex adverso la prova negativa, il cui onere normalmente si adempie fornendo la prova dei corrispondenti fatti positivi diretti a svalutare i primi o a vincere le presunzioni sui quali essi si radicano, della non offensivita’ ex ante della condotta realizzata in relazione al fatto storico contestato.

Va allora ricordato che il paesaggio costituisce bene di rilevanza costituzionale, opzione che legittima anche la funzione anticipata di tutela affidata al diritto penale in tale nevralgico settore della vita della comunita’, sull’indiscutibile rilievo che il preciso riconoscimento della valenza costituzionale attribuita al bene “ambiente – territorio” secondo una concezione dinamica del “paesaggio” (articolo 9 Cost., comma 2) giustifica una tutela che esige il controllo e la direzione degli interventi che, ricadendo sul territorio stesso, influiscono sul paesaggio che, come e’ stato opportunamente osservato, non puo’ essere assolutamente confinato in forma statica, quale mera conservazione del visibile.

Questa Corte ha fornito in passato una interpretazione rigorosa del principio di offensivita’ in questa materia, affermando che la sanzione penale e’ posta in riferimento a condotte che violino l’interesse pubblico a che l’autorita’ deputata alla tutela dei beni ambientali possa valutare previamente (ossia anteriormente alla realizzazione dell’opera) il suo possibile impatto ambientale. Questo interesse pubblico, che e’ sotteso strumentalmente a quello avente ad oggetto direttamente la tutela del paesaggio, e’ leso – ed in cio’ risiede l’offensivita’ della condotta – quando non viene resa possibile questa valutazione preventiva. In tal caso la lesione del bene tutelato e l’offensivita’ della condotta sussistono anche ove ex post la stessa autorita’ amministrativa possa verificare che l’opera non comportava alcun impatto ambientale negativo (Sez. F, n. 35527 del 31/08/2001, Fontana ed altri, Rv. 219895 e in motivazione).

Si tratta di un orientamento – enunciato in tema di protezione delle bellezze naturali in relazione alla modificazione dello stato di luoghi vincolati ai sensi della Legge 29 giugno 1939, n. 1497, integrante il reato previsto dal Decreto Legge 27 giugno 1985, n. 312, articolo 1 sexies, convertito nella Legge n. 431 del 1985 – che, agli effetti penali, tuttora non smentisce (v. sub 3 del considerato in diritto) quanto la disciplina positiva, a determinate condizioni, espressamente ammette o implicitamente esclude, ossia la rilevanza della sanatoria paesaggistica in relazione agli abusi ex articolo 181, comma 1, escludendola categoricamente per quelli, come nel caso in esame, di cui al comma 1 bis.

Il principio di offensivita’, di ardua declinazione normativa e in forza del quale non e’ concepibile un reato senza offesa (“nullum crimen sine iniuria”), opera, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, su due piani, “rispettivamente, della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale (offensivita’ in astratto), e dell’applicazione giurisprudenziale (offensivita’ in concreto), quale criterio interpretativo – applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato” (cosi’ testualmente Corte cost. n. 265 del 2005 e, in senso conforme, v. Corte cost. nn. 360 del 1995, 263 del 2000, 519 del 2000, 354 del 2002).

Con specifico riferimento si reati paesaggistici, la Corte costituzionale ha chiarito che l’accertamento in concreto dell’offensivita’ specifica della singola condotta, anche per i reati formali e di pericolo presunto, in ogni caso, e’ devoluta al sindacato del giudice penale, tanto sul presupposto che “non e’ incompatibile con il principio di offensivita’ la configurazione di reati di pericolo presunto” (sentenze n. 360 del 1995 gia’ citata; n. 133 del 1992; n. 333 del 1991; per il reato paesaggistico, sentenza n. 67 del 1992).

Ne’ puo’ configurarsi una irragionevole od arbitraria valutazione operata dal legislatore, nella sua discrezionalita’, della pericolosita’ connessa alla condotta in violazione delle speciali disposizioni stabilite a tutela delle zone di particolare interesse ambientale, contemporaneamente alla introduzione di vincoli paesistici generalizzanti, in relazione a categorie di beni, in quanto la ratio della scelta legislativa deve essere ricercata nella valutazione (cosi’ sent. n. 248 del 1997, cit.) che “l’integrita’ ambientale e’ un bene unitario, che puo’ risultare compromesso anche da interventi minori e che pertanto va salvaguardato nella sua interezza”, giustificandosi percio’ la configurazione del reato a “carattere formale e di pericolo in quanto il vincolo posto in determinate parti del territorio nazionale ha una funzione prodromica al suo governo”, (sent. n. 67 del 1992, cit.).

Da cio’ deriva pure come al Giudice di merito sia affidata la delicata operazione di bilanciamento tra principi per la verifica della concreta offensivita’ ex ante della condotta proprio in subiecta materia (Corte cost. sent. 247 del 1997, cit.), operazione che deve tenere percio’ in debito conto l’interesse pubblico a che l’autorita’ deputata alla tutela dei beni ambientali possa valutare previamente (ossia anteriormente alla realizzazione dell’opera) il suo possibile impatto ambientale.

Cio’ conferma che, in materia di tutela del paesaggio, non hanno rilievo penale soltanto le condotte che si prospettano ictu oculi inidonee a compromettere i valori del paesaggio, con la conseguenza che la ritenuta compatibilita’ paesaggistica intervenuta ex post non implica necessariamente che la condotta possa, tout court, stimarsi inoffensiva ex ante (come invece si assume nel ricorso) con riferimento alla fattispecie incriminatrice Decreto Legislativo n. 42 del 2004, ex articolo 181, comma 1 bis.

5. Peraltro, quantunque il ricorrente non abbia sollevato alcuna questione in tal senso, non e’ possibile estendere, per via interpretativa, l’esclusione della punibilita’ prevista dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004, commi 1 ter e 1 quater, in conseguenza dell’accertamento di compatibilita’ paesaggistica, anche alla contestata incriminazione di cui all’articolo 181, comma 1 bis, dello stesso decreto legislativo, non sussistendo omogeneita’ e piena identita’ di funzione fra le discipline poste a raffronto per diversita’ dell’oggetto materiale del reato e dello scopo delle incriminazioni.

Questa Corte ha percio’ affermato, con condivisibili pronunce alle quali occorre dare continuita’, che e’ manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1 ter, per contrasto con gli articoli 3, 25, 27, 42 e 97 Cost., nella parte in cui non prevede che, nonostante il positivo accertamento di compatibilita’ paesaggistica dell’opera, siano comunque applicabili le sanzioni penali contemplate dallo stesso articolo 181, al comma 1 bis, atteso che la diversita’ delle situazioni disciplinate dalle norme richiamate rende non irragionevole una disciplina normativa differenziata (Sez. 3, n. 13736 del 26/02/2013, Manzella, Rv. 254762; Sez. 3, n. 7216 del 17/11/2010, dep. 25/02/2011 Zolesio ed altro, Rv. 249527). Con il delitto paesaggistico di cui all’articolo 181, comma 1 bis, il legislatore ha ritenuto di sanzionare piu’ severamente quelle condotte che, configurate come delitto e non come contravvenzioni, sono state ritenute maggiormente offensive del bene tutelato dell’integrita’ ambientale, consistenti o in lavori di qualsiasi genere eseguiti, come nel caso di specie, su immobili o aree tutelate gia’ in precedenza con apposito provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico, ovvero in lavori di consistente entita’ (come determinata con i parametri richiamati dalla lettera b) del citato comma) che ricadono su immobile o aree tutelate per legge ai sensi dell’articolo 142 dello stesso testo normativo.

6. Neppure puo’ essere sostenuta la carenza dell’elemento soggettivo in capo al ricorrente.

La fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis, e’ punita a titolo di dolo generico (Sez. 3, n. 48478 del 24/11/2011, Mancini, Rv. 251635) con la conseguenza che, quanto alla coscienza dell’antigiuridicita’ della condotta, il presupposto della responsabilita’ penale e’ la conoscibilita’, da parte del soggetto agente, dell’effettivo contenuto precettivo della norma.

Nella fattispecie in esame, indipendentemente dal fatto di aver o meno incaricato esperti della materia, l’imputato aveva il dovere di informarsi preventivamente (anche) circa l’eventuale assoggettamento a vincoli dell’area sulla quale andava ad eseguire una costruzione in legno di rilevanti dimensioni e ancorata al suolo e non ha dimostrato (anzi si deve ritenere abbia escluso a cagione dell’affidamento riposto verso terzi) di avere assunto alcuna informazione al riguardo presso gli organi competenti.

Peraltro, la pacifica prosecuzione dei lavori nonostante fosse stato emesso l’ordine di sospensione degli stessi e’ stata correttamente e logicamente ritenuta dai Giudici del merito quale ulteriore indice comprovante l’esistenza di una pregressa intenzione diretta a realizzare l’evento vietato e cio’ esclude la configurazione di un errore, peraltro genericamente invocato, su norma extrapenale, che abbia potuto cagionare un errore sul fatto costituente il reato (ex articolo 47 c.p., comma 3) attraverso la incolpevole percezione di una diversa realta’.

Va poi precisato che – nel caso di esecuzione di lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici che ricadano, come nella specie, su aree dichiarate di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori – non puo’ essere escluso il reato sotto il profilo soggettivo, per errore sulla non necessita’ dell’autorizzazione, perche’ nemmeno in virtu’ del criterio della ignoranza inevitabile, teorizzato nella sentenza 24 marzo 1988, n. 364 della Corte costituzionale, e’ lecito scusare chi compia o abbia consentito ad altri di eseguire lavori di qualsiasi genere su aree sottoposte al piu’ rigoroso vincolo senza informarsi delle leggi penali che disciplinano la materia e la cui doverosa conoscenza avrebbe dovuto indurre a desistere da qualsiasi manomissione del luogo al massimo livello protetto.

Ne consegue che il ricorrente ha volontariamente posto in essere un’attivita’ edilizia senza richiedere l’autorizzazione all’autorita’ amministrativa preposta alla tutela del vincolo sicche’, in assenza di dubbi circa la diretta volizione del comportamento illecito, neppure si rinvengono elementi idonei a configurare l’errore scusabile sul precetto di cui all’articolo 5 c.p., ovvero l’errore su norma extrapenale ex articolo 47 c.p., comma 3.

7. Va da ultimo esaminato il rilievo mosso nei confronti della sentenza impugnata circa il difetto di motivazione sul capo della decisione relativo alla sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione delle opere abusive, attivita’ che, secondo l’assunto del ricorrente, non sarebbe piu’ da lui esperibile avendo egli ceduto a terzi la proprieta’ dell’area sulla quale l’abuso stesso insiste.

Sennonche’ l’imputato, che abbia beneficiato della sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di determinati obblighi stabiliti nella sentenza, puo’ certamente invocare l’impossibilita’ ad adempiere per caso fortuito o forza maggiore, ma non puo’, invece, ritenersi esonerato dall’adempimento per le ipotesi di impossibilita’ sopravvenute dipendenti da un proprio atto volontario, ostandovi il principio della personalita’ della pena e della obbligatorieta’ ed effettivita’ di essa (v. Sez. 3, n. 2944 del 05/12/1983, dep. 21/02/1984, Mungai, Rv. 162774).

Percio’, essendo stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato all’esecuzione dell’ordine di demolizione da eseguirsi nel termine di novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, il ricorrente, avendo ceduto nel frattempo a terzi la proprieta’ del luogo sul quale insiste l’abuso, non poteva invocare l’impossibilita’ giuridica ad adempiere, avendo egli stesso volontariamente posto in essere la causa dell’inadempimento e, fatta salva l’azione del terzo realizzata nell’interesse dell’obbligato, ogni atto volontario impeditivo dell’adempimento equivale a rinunzia ad avvalersi del beneficio per volontaria inosservanza della condizione.

La sottoposizione del condannato agli obblighi di eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e’ infatti riconducibile alla stessa matrice specialpreventiva che connota l’istituto della sospensione condizionale della pena nel suo complesso sicche’ l’esecuzione della prestazione personale o patrimoniale imposta al reo, nei limiti previsti dalla norma sostanziale che disciplina gli obblighi cui la sospensione della pena puo’ essere ancorata, contribuisce a ricostruire il rapporto di fiducia tra la collettivita’ ed il soggetto e costituisce prova di ravvedimento attraverso l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.

Se il soggetto stesso, cui il beneficio e’ stato attribuito, precostituisce volontariamente le condizioni per non adempiere, egli indebitamente si sottrarrebbe all’obbligatorieta’ e all’effettivita’ della pena sicche’ il mancato adempimento della condizione impedisce l’operativita’ del concesso beneficio.

Ne consegue che il Giudice d’appello si sarebbe dovuto limitare a rigettare, in diritto, la doglianza, lasciando, come ha fatto, inalterato il capo della sentenza impugnato.

Percio’ il rilievo, pur essendo esatto in quanto effettivamente il Giudice d’appello non ha motivato sui punto, non comporta l’annullamento della decisione impugnata perche’ la mancata motivazione del rigetto di un motivo di appello non puo’ importare la nullita’ della sentenza quando il motivo, se esaminato, non sarebbe stato in astratto suscettibile di accoglimento. In tal caso l’omessa motivazione non arreca alcun pregiudizio alla parte e, se trattasi, di questione di diritto, all’omissione puo’ porre rimedio, situazione nella specie sussistente, la Corte di Cassazione quale giudice di legittimita’ ai sensi dell’articolo 619 c.p.p. (v., sotto il vigore del codice del 1930, Sez. 5, n. 1176 del 06/10/1967, dep. 22/02/1968, Caffi, Rv. 106910).

Sempre sotto il vigore del codice abrogato, questa Corte, con orientamento consolidato e tuttora valido, ha infatti affermato che non costituisce vizio di motivazione, e non comporta l’annullamento della sentenza, l’omesso esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo non suscettibile di accoglimento (Sez. 3, n. 14239 del 21/10/1986, Centoze, Rv. 174656) sicche’ il mancato esame da parte del giudice di appello di un motivo di gravame manifestamente infondato non costituisce causa di annullamento della sentenza in sede di legittimita’, non avendo arrecato il mancato esame del motivo nel giudizio di secondo grado alcun pregiudizio all’imputato (Sez. 4, n. 656 del 10/03/1969, Melino, Rv. 111559).

8. Trattandosi di delitto, commesso nel corso del 2008 (la sentenza di appello, non impugnata sul punto, ha statuito che i lavori sono stati ultimati nel 2008, dies a quo per il decorso del tempo necessario a prescrivere), non puo’ ritenersi consumato il termine di prescrizione.

Il ricorso va pertanto rigettato con le conseguenti statuizioni come da pedissequo dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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