Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 19 dicembre 2014, n. 26892

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26005/2011 proposto da:

COMUNE DI ORTA DI ATELLA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta delibera di incarico della G.C. n. 131 in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS) considerati domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1815/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/06/2011 R.G.N. 3567/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p.1. Il Comune di Orta di Atella ha proposto ricorso per cassazione contro (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza del 17 giugno 2011, con la quale la Corte d’Appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione Distaccata di Aversa.
La Corte partenopea, in particolare: a) in parziale accoglimento dell’appello principale di esso ricorrente l’ha condannato al pagamento alle controparti di una somma minore rispetto a quella riconosciuta dal primo giudice in relazione ad una domanda di risarcimento del danno esistente in un immobile che il Comune aveva restituito dopo averlo condotto in locazione;
b) in accoglimento dell’appello incidentale delle qui intimate ha dichiarato illegittimo il recesso del Comune dalla locazione (che, invece, il primo giudice aveva riconosciuto legittimo) e, previa dichiarazione che il contratto aveva avuto durata fino al 5 giugno 2005, ha condannato il Comune al pagamento del canone fino a quella data.
p.2. Al ricorso, che propone due motivi, hanno resistito con congiunto controricorso le intimate.
p.3. Parte resistente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’articolo 27, ultimo comma della legge 27 luglio 1978 n. 392, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, lettera a) (sic)”.
Il mezzo censura la motivazione con cui la Corte territoriale ha accolto l’appello incidentale delle locatrici diretto ad ottenere la riforma della sentenza di primo grado, la’ dove il Tribunale non aveva riconosciuto l’inidoneita’ del recesso del Comune a determinare la cessazione della locazione anticipatamente rispetto alla scadenza del secondo sessennio di durata fino al 5 giugno 2005 (scaturito per effetto della rinnovazione alla scadenza del primo sessennio) e non aveva considerato in conseguenza il medesimo Comune tenuto a corrispondere il canone sino al suo verificarsi.
p.1.1. La sentenza impugnata ha cosi’ motivato la riforma della sentenza di primo grado:
“Al fine di esaminare compiutamente la questione che ci occupa e’ opportuno ricordare che il giudice di prime cure aveva ritenuto legittimo il recesso operato, in quanto la causa evidenziata nello stesso e cioe’ l’intervenuta ultimazione di un nuovo immobile – di sua proprieta’ – da destinare a nuova sede scolastica, integrava i gravi motivi di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 27, u.c.. Orbene, ritiene questo Collegio che la decisione del giudice di prime cure non possa essere condivisa. Si deve infatti tenere presente che il contratto di locazione di cui trattasi era stato stipulato tra il Comune di Orta di Atella e le signore (OMISSIS) e (OMISSIS) in data 5.6.1993. La data di inizio del rapporto era stata stabilita per il 21.6.1993, con una durata di anni sei. Alla prima scadenza del giugno 1999 il contratto si era rinnovato tacitamente per sei anni, tuttavia – con nota del 16.12.1999 – il Comune aveva manifestato alle locatrici il proprio intento di recedere dal detto contratto Legge n. 392 del 1978, ex articolo 27, u.c., per gravi motivi che individuava nella circostanza che era stato ultimato il costruito un nuovo plesso scolastico per cui la locazione di cui trattasi non era piu’ necessaria. Cio’ posto, sulla scorta di quanto emerge dagli atti allegati alla produzione del Comune, si deve a questo punto evidenziare che con apposita deliberazione della giunta comunale era stato indetto in data 27/11/98 un pubblico incanto per i lavori di ampliamento della scuola media di via Petrarca. Inoltre, con determina del 14/1/1999 era stato approvata l’aggiudicazione dell’appalto relativo agli stessi ed ancora in data 28/4/1999 era stato stipulato il contratto di appalto tra il Comune e la ditta appaltatrice. Ebbene, in forza di quanto appena evidenziato e’ evidente che l’impedimento alla prosecuzione del rapporto locativo e’ stato determinato da un fatto, quale la realizzazione di un nuovo plesso scolastico, dipeso dalla volonta’ del conduttore e ben noto allo stesso, che ben poteva quindi prevedere il suo verificarsi sin da epoca di gran lunga antecedente rispetto a quella in cui ha comunicato alle locatrici il proprio intento di recedere. Cio’ posto, deve pertanto escludersi a parere di questo Collegio che tale ipotesi rientri in quella prevista dall’altra 27 u.c., in quanto la Suprema Corte ha avuto modo in piu’ occasioni di chiarire sull’argomento che: In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo, i gravi motivi in presenza dei quali la Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 27, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, consente il recesso del conduttore dal contratto di locazione (da comunicare con preavviso di almeno sei mesi, a mezzo di lettera raccomandata), devono sostanziarsi in fatti involontari, imprevedibile sopravvenute alla costituzione del rapporto ed essere tali da rendere oltremodo gravoso per il conduttore medesimo, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo (cfr. tra le altre: Cass. sent. n. 9443/2010 e n. 6089/2006). Alla luce delle considerazioni sin qui esposte l’appello incidentale dev’essere pertanto accolto, con conseguente riconoscimento della illegittimita’ del recesso operato dal Comune e conseguente rinnovazione del contratto di locazione e condanna del predetto al pagamento del canone fino a naturale scadenza dello stesso, ossia 5/6/2005”.
p.1.2. La critica alla motivazione della sentenza impugnata viene svolta con considerazioni che si risolvono espressamente nel riprendere testualmente la motivazione con cui il giudice di primo grado aveva invece ritenuto legittimo il recesso.
p.1.2.1. Peraltro, in una prima parte l’illustrazione riprende un argomento speso da quel Giudice per replicare ad una difesa svolta dalle locatrici ed imperniata sulla circostanza che la ragione posta dal Comune a base del suo recesso si era manifestata in un momento in cui esso avrebbe potuto – nella contemplazione dell’intenzione di appaltare la costruzione di un edificio proprio per allocarvi la scuola allocata nell’immobile condotto in locazione – disdire il contratto con riferimento alla scadenza del 26 giugno 1999.
Senonche’ la motivazione della sentenza impugnata, pur ripercorrendo le scansioni inerenti le scadenze naturali del contratto e quelle con cui il Comune decise di dar corso alla costruzione di un immobile da destinare alla scuola allocata nell’immobile condotto in locazione, non ha motivato la denegazione della legittimita’ del recesso del Comune adducendo che la ragione posta a base di esso avrebbe potuto giustificare, in quanto esistente, gia’ l’esercizio del potere di disdetta del contratto locativo alla detta prima scadenza (potere, tra l’altro, che non e’ chiaro se dovesse esercitarsi un anno prima, come per legge o con un termine minore: nel primo caso la deliberazione della Giunta comunale di dar corso all’opera pubblica si sarebbe collocata dopo la rinnovazione).
Ne segue che per questa parte l’illustrazione del motivo svolge considerazioni prive di rilievo perche’ relative ad una questione che la Corte territoriale non ha ritenuto rilevante per ribaltare l’avviso del primo giudice circa la legittimita’ del recesso (questione sulla quale sarebbe stato rilevante il precedente di questa Corte di cui a Cass. n. 15082 del 2000) e che, pertanto, non fa parte della motivazione della sentenza impugnata, riguardo alla quale si doveva esercitare la critica con il motivo di impugnazione.
p.1.2.2. Nella seconda parte, invece, la critica articolata con il motivo in esame, pur riprendendo la motivazione del primo giudice, risulta pertinente alla motivazione della sentenza qui impugnata, ma inidonea a giustificare l’accoglimento del motivo, atteso che detta motivazione appare conforme a diritto.
Detta critica viene prospettata assumendo, con le parole che si attribuiscono al primo giudice che: a) “rispetto al Comune, la situazione dell’avvenuta ultimazione di un immobile di proprieta’ dell’ente territoriale, in cui far svolgere la descritta attivita’ scolastica, con conseguente eliminazione della spesa superflua, eventualmente addebitabile agli amministratori sotto il profilo della responsabilita’ contabile, si atteggia come fonte di grave motivo di recesso”; b) “provvedere all’utilizzazione di bene proprio quale sede di un’attivita’ istituzionale, esigenza divenuta concreta solo dopo la conclusione del contratto di locazione de quo (perche’ solo in corso di rapporto e’ stato ultimato il relativo immobile), insorta in epoca successiva alla costituzione del rapporto di locazione, il modo in cui a tale esigenza si e’ provveduto, si presta ad essere considerato, non il frutto di una determinazione libera, ma il risultato di una ponderata valutazione di piu’ interessi. Sicche’ questo fatto e’ da considerare come una situazione non determinata da scelte libere inerenti alla continuazione dell’attivita’ per cui erano stati presi in locazione i diversi locali adibiti a sede della scuola, Da cio’ la possibilita’ di considerare il fatto come grave motivo di recesso dal contratto, per la ragione che il mantenimento della disponibilita’ dei locali prima adibiti a sede dell’attivita’ scolastica era divenuto per il Comune superflua e percio’ stesso gravemente oneroso”.
Si sostiene, quindi, che a fronte di tale motivazione non sarebbe dato rinvenire nella sentenza qui impugnata “considerazioni in grado di scardinare la correttezza e linearita’ del ragionamento giuridico di cui il primo pronunciamento e’ espressione”. Il richiamo ai principi giurisprudenziali evocati nella motivazione della sentenza impugnata sarebbe imperniato solo sul riconoscere la volontarieta’ del fatto posto a base del recesso.
p.1.3. Il motivo non e’ fondato.
In via preliminare va ricordato che e’ stato gia’ statuito che “L’istituto del recesso del conduttore per gravi motivi si applica anche ai contratti di locazione stipulati come conduttori da enti locali territoriali“. (Cass. n. 15082 del 2000).
Ai fini della individuazione dei suoi presupposti quando il conduttore sia un ente locale ci si deve domandare se la particolare natura del conduttore e particolarmente lo scopo dell’ente, tanto piu’ quando si tratti di un comune e, dunque, di un ente c.d. esponenziale, ancora oggi depositario di una serie di funzioni pubbliche di primaria importanza e necessarie quanto al dover essere esercitate, connoti tali presupposti in modo diverso da come si debbono considerare con riferimento a qualsiasi conduttore, o meglio all’attivita’ esercitata nell’immobile da qualsiasi conduttore.
Siffatto interrogativo deve ricevere risposta considerando comunque che la posizione dell’ente locale, pur con il rilievo dovuto alla sua peculiare qualita’ ai fini dell’esercizio del diritto di recesso si colloca pur sempre sul piano di un rapporto privatistico, di modo che comunque quella particolare posizione dell’ente, avendo esso utilizzato uno strumento privatistico, non puo’ di per se’ giustificare che la legittimita’ del recesso sia apprezzata dando rilievo soltanto al mero finalismo perseguito dall’ente locale sebbene nella logica dell’adempimento delle sue funzioni.
Ne segue che in linea generale valgono anche per l’ente locale conduttore, che vuole recedere anticipatamente, i principi generali individuati dalla giurisprudenza di questa Corte come presupposti legittimanti il recesso.
Essi, del resto evocati dalla sentenza impugnata, sono, com’e’ noto, attestati nel senso che “I gravi motivi, in presenza dei quali la Legge n. 392 del 1978, articolo 27, u.c., indipendentemente dalle previsioni contrattuali, consente il recesso del conduttore dal contratto di locazione, non possono attenere alla soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dallo stesso conduttore in ordine all’opportunita’ o meno di continuare ad occupare l’immobile locato, poiche’, in tal caso, si ipotizzerebbe la sussistenza di un recesso ad nutum, contrario all’interpretazione letterale, oltre che allo spirito della suddetta norma. Al contrario, i gravi motivi, che legittimano il recesso del conduttore da una locazione non abitativa, devono sostanziarsi in fatti involontari, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto ed, inoltre, devono essere tali da rendere oltremodo gravosa per lo stesso conduttore, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo“. (ex multis, in particolare, Cass. n. 5328 del 2007).
E’ stato, altresi’ precisato che “In tema di recesso del conduttore dal contratto di locazione i gravi motivi di cui alla Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 27, comma 8, devono esser determinati da fatti estranei alla sua volonta’, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione. Cio’ significa, in relazione al requisito dell’estraneita’, che il comportamento deve essere consequenziale a fattori obbiettivi, ma non che non sia volontario e che percio’, se il conduttore e’ un imprenditore commerciale, egli non possa operare una scelta di adeguamento strutturale dell’azienda, ampliandola o riducendola per renderla rispondente alle sopravvenute esigenze di economicita’ e produttivita‘” (Cass. n. 17402 del 2003).
p.1.4. Si tratta di valutare come i ricordati principi, dai quali debbano trovare applicazione alla fattispecie e se siano stati applicati correttamente dalla Corte territoriale ad essa.
All’uopo occorre rimarcare che da essi si evince innanzitutto la circostanza che la situazione dedotta dal conduttore come integrante un grave motivo giustificativo del recesso necessariamente dev’essere assunta a motivo giustificativo di esso e, dunque, tale assunzione altrettanto necessariamente si connota come determinativa di un comportamento certamente volontario del conduttore. Si vuoi dire, cioe’ che, per il fatto stesso che dev’essere assunta come motivo giustificativo del recesso, quale negozio unilaterale recettizio, la situazione che il conduttore enuncia e prospetta come tale e’ certamente oggetto di una volizione dello stesso conduttore nel senso della sua considerazione da parte sua come idonea ad escludere la prosecuzione della locazione. E’ costui che, esercitando il recesso motivandolo sulla base di essa vuole che essa giochi sul rapporto locativo come ragione giustificativa del suo scioglimento ad iniziativa unilaterale.
E’ in questa fase anzi che la qualita’ soggettiva del conduttore in relazione all’attivita’ esercitata nell’immobile puo’ assumere rilievo, dato che la scelta di recedere, sebbene assuma come presupposto la situazione oggettiva estranea alla volonta’ del medesimo, imprevedibile e sopravvenuta correlata, certamente dipende da un apprezzamento che si correla alla qualita’ dell’attivita’ esercitata e, quindi, all’esercizio delle attivita’ indicate dall’articolo 27, oppure, nel caso dell’articolo 42 citato, a quelle ivi indicate direttamente o indirettamente, allorche’ la norma si riferisce allo Stato e agli enti pubblici territoriali, cosi’ comunque supponendo necessariamente che rilevi la loro tipica funzione pubblica e, quindi, il profilo delle attivita’ e, dunque, dei compi ad essi affidati.
Viceversa la verificazione della situazione assunta come giustificativa del recesso, considerata appunto quale elemento oggettivo, deve avere caratteristiche tali da configurarsi come un fatto o una concatenazione di fatti, il quale o i quali debbono essere estranei alla volonta’ del conduttore, si debbono comunque considerare da esso imprevedibili e debbono essere sopravvenuti alla costituzione del rapporto locativo.
Ora, nella fattispecie si tratta di verificare se la situazione addotta a giustificazione del recesso dal Comune ricorrente presenti dette caratteristiche.
p.1.5. La risposta e’ negativa proprio per il primo degli elementi che avrebbero dovuto caratterizzarla, quello dell’estraneita’ della determinazione della situazione oggettiva addotta a giustificazione del recesso ad una libera volizione del Comune, ad un comportamento del tutto volontario del medesimo.
La decisione, rilevante sul piano dell’agire dell’Amministrazione Comunale, di costruire un immobile da adibire a scuola e nel quale allocare la scuola che risultava allora allocata nell’immobile locato, e’ stata, infatti, certamente o almeno dev’essere considerata – sul piano di quanto puo’ apprezzarsi da questa Corte perche’ ad Essa fatto constare e, perche’ dunque, emerge dagli atti siccome ad Essa pervenuti per il tramite dell’esercizio del diritto di impugnazione – una decisione frutto di una scelta libera e volontaria.
Invero, va considerato che, rientrando nei compiti del Comune (Legge n. 23 del 1996, articolo 3, comma 1, lettera a), attuativo della Legge n. 142 del 1990, articolo 14, comma 1, lettera i)) la provvista degli edifici per taluni tipi di scuola, la scelta sul modo di provvedere a riguardo da parte del Comune risultava possibile sia tramite allocazione in edifici che il Comune poteva prendere in locazione, come era accaduto per quello oggetto del contratto, sia attraverso edifici di sua proprieta’, gia’ appartenenti al suo patrimonio o da costruire e destinare allo scopo.
Ne segue che la scelta del Comune, in presenza di una situazione nella quale l’allocazione della scuola nell’immobile locato rappresentava solo uno dei modi possibili di adempiere ad un compito imposto dalla legge, di adempiere invece in modo diretto, cioe’ attraverso un immobile da costruire ed acquisire in proprieta’, risulta certamente – in mancanza di dimostrazione di situazioni in qualche modo cogenti – un comportamento espressione di una libera volonta’ e determinazione del medesimo. Anche i modi di realizzazione ed attuazione della scelta compiuta in tal senso e, quindi, la decisione di affidare un appalto per la costruzione o meglio (per quello che si legge in sentenza) per l’ampliamento di un edificio gia’ destinato ad una scuola media, e la determinazione dei tempi di realizzazione dell’opera furono espressione di una scelta del tutto libera del Comune.
Tale scelta, essendo il Comune impegnato sul piano contrattuale in un rapporto locativo bene allora avrebbe potuto articolarsi in modo tale da assicurare che la realizzazione dell’opera terminasse quando sarebbe venuto a scadere il rapporto locativo, si’ da consentire la disdetta del contratto alla scadenza ed in pratica – essendo avvenuta la deliberazione di indizione dell’appalto nel novembre del 1998 e, dunque, in un momento nel quale il contratto si era gia’ rinnovato per un secondo sessennio (dovendosi supporre necessaria, in mancanza di diverse risultanze, una disdetta annuale) – ormai in vista della scadenza del giugno 2005.
Anche l’essersi verificata l’acquisizione dell’edificio all’esito dell’esecuzione dell’appalto nel dicembre del 1999 e la conseguente possibilita’ di allocarvi la scuola che era allocata nell’edificio oggetto della locazione e’ stata frutto di una scelta libera e volontaria del Comune, dovendosi ritenere che il completamento dell’appalto sia stato convenuto con l’appaltatore dal Comune.
Ne discende che la situazione per cui il Comune aveva acquisito disponibilita’ di un immobile di sua proprieta’ mentre era ancora in corso il rapporto locativo e’ dipesa indubitabilmente da una scelta del tutto volontaria del Comune e tanto basta per escludere che ricorressero gli estremi della legittimita’ del recesso, perche’ la situazione creatasi per effetto della consegna dell’immobile e, dunque, la possibilita’ di allocarvi la scuola e’ dipesa solo da una scelta di quel tipo.
Tale costatazione, in assenza di dimostrazione di situazioni che avessero imposto al Comune, nel momento in cui venne fatta, la scelta di far costruire un immobile per destinarlo a scuola, esclude qualsiasi possibilita’ di valutare come legittimante il recesso la sola ipotetica maggiore convenienza di tale scelta, pur nella logica di un ipotetico risparmio di spesa conseguente alla liberazione dal dover sopportare l’onere locativo: se si ritenesse altrimenti, lo scioglimento dal contratto per il recesso risulterebbe giustificato solo sulla base di una scelta di mera convenienza, mentre la maggiore convenienza dello scioglimento puo’ venire in gioco solo se la situazione oggettiva assunta a base del recesso no sia stata essa a sua volta e prima determinata essa stessa da mera convenienza.
p.1.6. Al riguardo, si rileva che non e’ stato in alcun modo dedotto neppure che la scelta del Comune di provvedersi di un edificio di sua proprieta’ fosse espressione di situazioni sopravvenute all’insorgenza del rapporto locativo che esigessero – per una migliore assicurazione del compito di provvista dell’edificio scolastico e, dunque, nell’ottica del principio di buona amministrazione (articolo 97 Cost.) nel soddisfacimento del relativo compito necessario – di doversi realizzare necessariamente, perche’ fossero soddisfatte, un edificio proprio, come sarebbe stato se tale attuazione fosse stata anche solo piu’ funzionale all’ottimale adempimento del compito: si pensi, ad esempio, ad una situazione in cui per il numero di iscritti l’edificio condotto in locazione fosse divenuto anche solo in senso relativo insufficiente; oppure si pensi ad una situazione in cui l’assolvimento del compito tramite un edificio proprio localizzato altrove rispetto a quello condotto in locazione avrebbe consentito maggiore funzionalita’ nell’adempimento di compiti connessi. In tali casi ed in altri consimili l’incidenza sulla stessa assicurazione del compito di provvista avrebbe potuto assumere rilievo di situazione oggettiva e necessitante, estranea alla volonta’ del Comune.
I rifermenti nell’illustrazione del motivo, attraverso il mutuare le parole del Tribunale, ad un risparmio di spesa e all’eliminazione di una spesa superflua addebitabile agli amministratori sono, d’altro canto, in disparte la loro assoluta genericita’, rimasti in questa sede del tutto privi di specificazioni, sia sul piano della loro emersione nel giudizio di merito in primo grado a seguito di allegazioni da parte del Comune o comunque per il tramite di acquisizione oggettiva, sia sul piano successivo della loro prospettazione nel giudizio di appello, si’ da giustificarne la considerazione da parte del giudice della sentenza impugnata, che a detti generici elementi non allude in alcun modo.
Il primo motivo e’, pertanto, rigettato sulla base del seguente principi di diritto: “In relazione ad una locazione di immobile stipulata da un Comune per allocarvi una scuola, in adempimento delle funzioni di provvista ad esso assegnate dalla legge, la scelta del Comune di far costruire un proprio immobile per allocarvi la scuola, qualora l’esecuzione dell’opera sia terminata prima della scadenza convenzionale del contratto ed essa sia divenuta disponibile, non costituisce di per se’ idoneo motivo di recesso anticipato del Comune dalla locazione, occorrendo invece che detta scelta sia stata determinata da un’esigenza oggettiva, imposta dal dover esercitare la funzione e soddisfare l’interesse pubblico che ne e’ oggetto in modo piu’ idoneo rispetto a quanto assicuri l’esercizio della funzione stessa in atto tramite l’utilizzo del bene condotto in locazione”.
p.2. Con il secondo motivo si denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.
In disparte l’invocazione del paradigma anteriore alla modifica dell’articolo 360 c.p.c., operata dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, il Collegio rileva che il motivo e’ inammissibile ex articolo 366 c.p.c., n. 6.
Esso concerne la parte della sentenza impugnata relativa alla domanda di risarcimento danni proposta dalla resistenti. La sua illustrazione, nel criticare la valutazione con cui la Corte territoriale ha ridotto l’ammontare del risarcimento del danno per le condizioni di restituzione dell’immobile dando rilievo al contenuto della seconda c.t.u. di primo grado, si fonda sul contenuto di essa e della prima nonche’ su non meglio individuate prove testimoniali.
Senonche’:
aa) ne’ della prima ne’ della seconda consulenza si fornisce l’indicazione specifica di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6, che esigeva di precisare se e dove le relazioni dei due c.t.u. siano state prodotte e siano esaminabili in questo giudizio di legittimita’, nonche’ la riproduzione diretta o anche solo indiretta (con specificazione della parte del documento in cui l’indiretta riproduzione troverebbe riscontro) del loro contenuto idoneo a sorreggere il motivo;
bb) delle prove testimoniali non si identificano ne’ i contenuti soggettivi ed oggettivi, ne’ l’udienza di assunzione, ne’ si indica se e dove i non meglio identificati verbali sarebbero esaminabili.
Il Collegio rileva che essendo le dette relazioni e prove testimoniali atti del processo l’onere di indicazione specifica della loro presenza in questo giudizio di legittimita’ non e’ stato assolto neppure con l’indicazione di essa nel fascicolo d’ufficio della Corte territoriale (eventualmente all’interno del fascicolo d’ufficio di primo grado acquisito al giudizio di appello), siccome esige Cass. sez. un. n. 22726 del 2011, la’ dove ha ammesso che il ricorrente possa ai diversi effetti dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non produrre gli atti processuali presenti nei fascicoli d’ufficio, ma sempre ferma restando l’indicazione, agli effetti dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, della detta presenza in quei fascicoli.
Il motivo, peraltro, risulta anche (in via derivata per la carenza di indicazione specifica contenutistica degli atti de quibus) del tutto generico, si’ che sarebbe pure per tale ragione inammissibile (Cass. n. 47141 del 2005, seguita da numerose conformi).
p.3. Il ricorso e’, dunque, rigettato.
p.4. Le spese del giudizio di cassazione possono compensarsi, attesa la novita’ dell’esame in questa sede di legittimita’ – cui si e’ proceduto con il primo motivo – di una fattispecie come quella che si e’ giudicata, sotto il profilo della idoneita’ del recesso in relazione alle ragioni addotte da parte di un ente locale. Novita’ che non e’ esclusa dalla decisione sulla fattispecie esaminata da Cass. n. 10874 del 2012, concernente la del tutto diversa ipotesi di dissesto finanziario di amministrazione comunale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

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