Cassazione 6

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 8 gennaio 2015, n. 53

Svolgimento del ricorso

Con ricorso proposto avanti al Giudice del Lavoro di Torino Z.G. , M.R. , F.G. , B.M. , P.G. , Pi.Ma. e R.C. , tutti dottori commercialisti titolari di pensione di vecchiaia, convennero in giudizio la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti (qui di seguito, per brevità, indicata anche come “Cassa”), chiedendo che fosse accertata l’illegittimità del prelievo operato dalla convenuta sulla loro pensione ed effettuato a titolo di contributo di solidarietà, in applicazione dell’art. 22 del nuovo Regolamento della Cassa, approvato con decreto interministeriale del 14.07.2004 e, per l’effetto, la condanna della Cassa medesima alla restituzione degli importi prelevati a tale titolo.
Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 340 del 2010, accolse il ricorso, con la condanna della convenuta alla restituzione degli importi per ciascuno rispettivamente indicati, nonché degli altri prelevati a titolo di contributo di solidarietà1 dal 2009, oltre agli interessi.
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 768 del 2011, ha rigettato l’appello principale della Cassa, assorbito l’incidentale degli appellati, confermando quindi la decisione di primo grado.
A fondamento del decisum la Corte territoriale ha ritenuto quanto segue:
– alla luce del disposto della legge n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, il regolamento della Cassa, in quanto atto non avente forza di legge, non poteva prevedere un riduzione delle pensioni già maturate e in pagamento, configurando queste ultime un diritto acquisito e non un’aspettativa, anche con riferimento al principio del pro rata temporis, diretto a garantire le anzianità già maturate;
– né tali conclusioni potevano essere ribaltate dopo le modifiche alla legge n. 335 introdotte dall’ari 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006, giacché l’espressa previsione di salvezza degli atti e delle deliberazioni adottati prima della predetta modifica legislativa non significa che tali atti siano conformi a legge, sicché la loro legittimità ed efficacia deve essere vagliata alla luce del vecchio testo normativo per i pensionamenti che, come nella specie, erano stati attuati entro il 2006;
– nel caso in esame il provvedimento unilaterale della Cassa aveva inciso su pensioni già in essere, non per impedirne un aumento, ma per ridurne l’ammontare, onde non poteva comunque invocarsi la nuova normativa;
– né la fattispecie in questione, riguardante il contributo di solidarietà sulle pensioni per il periodo 2009/2013, contrariamene all’assunto della Cassa, avrebbe potuto essere trattata in modo diverso da quella presa in considerazione dalla Corte di Appello di Torino con sentenza n. 779 del 2008, confermata dalla Corte di cassazione (sentenza n. 2502J del 2009), concernente il periodo 2004/2008.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti ha proposto ricorso per cassazione fondato su sei motivi.
Gli intimati Z.G. , M.R. , F.G. , B.M. , P.G. , Pi.Ma. e R.C. hanno resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato rispettiva memoria ex art. 378 CPC.

Motivi della decisione

1. In via preliminare il ricorso in esame può essere ritenuto ammissibile, in ^ quanto la Corte territoriale con decisione n. 779 del 2008 (confermata dalla ^’ Corte di Cassazione con sentenza n. 25029 del 2009) si è pronunciata in controversia, avente ad oggetto l’imposizione di contributi di solidarietà, per il periodo 2004/2008) a carico delle stesse parti, laddove l’attuale controversia riguarda il diverso arco temporale (2009/20013) e la distinta deliberazione della Cassa n. 4 del 2008.
Sul punto peraltro gli stessi intimati non hanno mosso alcuna obiezione, eccependo tuttavia l’infondatezza del ricorso.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, deducendo che la Corte territoriale non ha fornito argomenti a favore dell’assunzione della legge n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, a fondamento dell’intangibilità delle pensioni già liquidate.
Tale norma attribuisce alle Casse il potere di adottare “tutti i provvedimenti necessari all’equilibrio del bilancio” e costituisce, ad avviso della ricorrente, la fonte normativa legittimante l’introduzione di eventuali disposizioni peggiorative del trattamento pensionistico.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 CPC, in relazione allo stesso art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995, rilevando che la richiamata norma ha stabilito che: a) i provvedimenti adottati dalle Casse non costituiscono un “numero chiuso”, dovendo comunque rispondere all’esigenza di salvaguardare l’equilibrio del bilancio di lungo termine; b) il principio del pro rata temporis non vincola in maniera rigida le scelte delle Casse; c) i criteri di gradualità ed equità tra le generazioni costituiscono valori da attuare nella regolamentazione dei regimi previdenziali gestiti dalle Casse.
La medesima ricorrente richiama la funzione pubblica degli enti previdenziali privatizzati, e ciò anche nella prospettiva di tutela delle categorie degli attivi e dei futuri iscritti in coincidenza del passaggio dal sistema retribuivo a quello contributivo, il tutto nell’ambito del rispetto dei principi costituzionali e uguaglianza e solidarietà.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione di norme legge, deducendo che, alla luce dell’autonomia regolamentare riconosciuta alle Casse di previdenza dal D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, comma 2 e finalizzata a salvaguardare nel tempo l’equilibrio economico finanziario, doveva riconoscersi la facoltà di imporre, nell’ambito di organici progetti di riforma, un contributo di solidarietà sulle pensioni già liquidate.
Nel quadro così delineato, aggiunge la ricorrente, risulta evidente come la deliberazione n. 4/2008 costituisca senz’altro un provvedimento in grado di “assicurare maggiore stabilità finanziaria al sistema previdenziale, determinando un miglioramento per quanto contenuto della situazione finanziaria della stessa Cassa e concorrendo, insieme con tutte le altre entrate, alla possibilità che essa faccia fronte non solo agli oneri attuali e più vicini, ma anche a quelli più lontani nel rapporto varabile attivi/pensionati”.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione di norme di diritto, in relazione all’art. 38, 2 comma, Cost., ribadendo la necessità, alla stregua della norma costituzionale, che le Casse dei liberi professionisti assicurino ai lavoratori la tutela previdenziale.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto, in relazione all’art. 2 Cost., in quanto la stessa Corte costituzionale (cfr sentenza n. 173 del 1986) ha evidenziato la necessità, nel passaggio da un sistema di tipo mutualistico ad uno di tipo solidaristico, di coniugare il principio di solidarietà stabilito da questa norma con quello di gradualità e di equità tra le generazioni.
Con il sesto motivo la ricorrente lamenta violazione di norme di diritto, in relazione all’art. 3 Cost., ribadendo che la conferma della tesi prospettata dalla Corte torinese comporterebbe uno squilibrio a tutto danno dei giovani iscritti rispetto ai pensionati, beneficiari del più vantaggioso sistema reddituale, dovendosi distribuire i necessari sacrifici tra i soggetti che, sia in veste di lavoratori attivi, che di pensionati, sono parti di un rapporto previdenziale in atto.
3. Gli esposti motivi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto vanno esaminati congiuntamente, siccome fra loro strettamente connessi.
Giova al riguardo ricordare che la legge 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 12, nella sua nuova formulazione del 2006, nella cui vigenza è stata emanata la disposizione regolamentare per cui è causa e che ne costituisce quindi la base giuridica e il parametro di legittimità, sanciva testualmente: “Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dai D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509 e dal decreto, legislativo 10 febbraio 1996 n. 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive dell’assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto D.Lgs., la stabilità delle rispettive gestioni di cui ai predetti decreti legislativi è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 30 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alle introduzioni delle modifiche derivanti di provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità tra generazioni”.
Risultano quindi richiamate – implicitamente o esplicitamente – le disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2 secondo cui: “1. Le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta. 2. La gestione economico – finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale…”.
Il necessario rispetto del principio del pro rata temporis contenuto nella ricordata legge n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, indica chiaramente che i provvedimenti adottandi dalle Casse di previdenza “allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio” devono garantire l’intangibilità degli effetti derivanti, per gli assicurati le cui prestazione pensionistiche non siano state ancora acquisite, delle quote di contribuzione già versate e, quindi, della misura delle prestazioni potenzialmente maturate in itinere; dal che discende che, a fortiori, non possono essere incise le prestazioni pensionistiche ormai in atto, siccome compiutamente maturate ed erogate al momento degli interventi correttivi.
Questa Corte, in fattispecie simile, ha dei resto già avuto modo di puntualizzare che il diritto soggettivo alla pensione (che per il lavoratore subordinato o autonomo matura quando si verifichino tutti i requisiti) può essere limitato, quanto alla proporzione fra contributi versati ed ammontare delle prestazioni, dalla legge, la quale può disporre in senso sfavorevole anche quando, maturato il diritto, siano in corso di pagamento i singoli ratei, ossia quando il rapporto di durata sia nella fase di attuazione, essendo però necessario che la legge sopravvenuta non oltrepassi il limite della ragionevolezza, ossia che non leda l’affidamento dell’assicurato in una consistenza della pensione, proporzionale alla quantità dei contributi versati; tale “…limite costituzionale imposto al legislatore induce a maggior ragione a ritenere contrario ai principio di ragionevolezza (art. 3 Cost., comma 2) l’atto infralegislativo, amministrativo o negoziale, con cui l’ente previdenziale debitore riduca unilateralmente l’ammontare della prestazione mentre il rapporto pensionistico si svolge, ossia non si limiti a disporre per il futuro con riguardo a pensioni non ancora maturate”; è stato pertanto enunciato il principio secondo cui “una volta maturato il diritto alla pensione d’anzianità, l’ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché ciò lederebbe l’affidamento del pensionato, tutelato dal capoverso dell’art. 3 Cost., nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo” (cfr Cass., n. 11792/2005; Cass. n. 25029 del 2009; Cass. n. 25212 del 2009; Cass. n. 20235 del 2010; Cass. N. 8847 del 2011; Cass. n. 13067 del 2012; Cass. n. 1314 del 2014).
A tale principio, cui si intende qui dare continuità, si è sostanzialmente attenuta la Corte territoriale, onde i motivi all’esame vanno disattesi.
Al riguardo occorre ulteriormente sottolineare che lo ius superveniens di cui legge, n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, siccome modificativo e non interpretativo della normativa precedente, non può essere invocato in relazione a provvedimenti che, come quello per cui è causa, hanno inciso su pensioni già in essere al momento della loro emanazione, con la conseguenza che la previsione ivi contenuta, secondo cui “Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge”, non sta ad indicare che tali atti, sol perché già adottati, siano legittimi, ma si limita a garantirne la perdurante efficacia anche alla luce delle modificazioni intervenute, sempre che gli stessi siano stati assunti nel rispetto della legge; il che, quanto al caso di specie, deve essere escluso, poiché la legge. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12,permette agli enti previdenziali privatizzati – attraverso la variazione delle aliquote contributive, la riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico – di variare gli elementi costitutivi del rapporto obbligatorio che li lega agli assicurati, ma non consente agli stessi di sottrarsi in parte all’adempimento, riducendo l’ammontare delle prestazioni attraverso l’imposizione di contributi di solidarietà.
Pertanto la “salvezza” degli atti e delle deliberazioni già adottati, disposta nella legge, n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, riguarda il primo genere di provvedimenti, specificamente ed eventualmente difformi dalla legge, n. 335 del 1995, art. 3,ma non sana gli atti di riduzione delle prestazioni.
Né il quadro normativo come ricostruito, ostativo all’imposizione di un contributo forzoso di solidarietà sulle pensioni, si pone in contrasto, contrariamente a quanto eccepito dalla Cassa, con l’art. 38, 2 comma, della Cost., perché gli enti previdenziali privatizzati possono mettere in atto, come già detto, le più opportune iniziative per assicurare nel tempo la tutela previdenziale/pensionistica degli iscritti, con la salvaguardia però dell’integrità delle pensioni già maturate e liquidate.
5. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre nel caso di errata interpretazione o applicazione di una norma, non può essere denunciata in Cassazione come vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, perché tale vizio è riferito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, alla ricostruzione della concreta fattispecie e può dare luogo solo al controllo della giustificazione del giudizio sulla ricostruzione del fatto (cfr, ex plurimis, Cass. n. 228/1995, n. 5271/2002). Pertanto il primo motivo di ricorso, censurando quale vizio di motivazione la pretesa erronea interpretazione della normativa di riferimento, è dunque inammissibile.
6. Né incide sulla soluzione della questione in esame il recente intervento legislativo (art. 1, comma 488, legge n. 147 del 2013), che pone come condizione di legittimità degli atti e delle deliberazioni – adottati dagli enti di cui all’art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006 – che essi siano “finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo temine”, ciò che sicuramente non costituisce un connotato del contributo in esame, proprio perché “straordinario” e limitato nel tempo.
7. Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso è destituito di fondamento e va quindi rigettato.
Ricorrono giustificate ragioni per compensare le spese del presene giudizio, tenuto conto del complesso quadro normativo quale è venuto delineandosi anche a seguito della richiamata legge n. 147 del 2013 e delle difficoltà interpretative insorte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

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