autobus bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 18 gennaio 2016, n. 681

Svolgimento del processo

§ 1. – II Comune di Gaeta ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 5060 del 12.10.12 della corte di appello di Roma, con cui, in accoglimento dei gravame avvero la sentenza dei tribunale di Latina – sez. dist. di Gaeta n. 356/08, è stata accolta la domanda di G. C., quale erede di M.D., di condanna dei medesimo Comune e di F.P. al risarcimento dei danni patiti dalla D. per una caduta, durante un viaggio organizzato dal primo, dall’autobus dei secondo convenuto.
Gli intimati non notificano controricorso.

Motivi della decisione

§ 2. – Il ricorrente articola due motivi, dolendosi, col primo, di “violazione dell’art. 1681 c.c.” e, col secondo, di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”; sostanzialmente censurando la ricostruzione della corte di merito in punto di carenza di prova liberatoria per il vettore.
§ 3. – Il primo motivo è infondato: correttamente la corte territoriale ha fondato la sua decisione in punto di an debeatur sulla mancanza della prova liberatoria, altrettanto correttamente – in conformità alla giurisprudenza di questa Corte – addossandone l’onere al vettore: e risultando evidente come il sinistro, occorso alla D. mentre scendeva dall’autobus, sia accaduto durante una delle attività indispensabilmente connesse all’esecuzione dei contratto di trasporto, non potendo – intuitivamente – neppure immaginarsi come non coessenziale a tale esecuzione anche la condotta di salita e di discesa dei trasportato dal veicolo, senza le quali il passeggero non potrebbe nemmeno fruire del trasporto ed anzi nessun trasporto vi potrebbe nemmeno essere.
Infatti, nel contratto di trasporto di persone regolato dal codice civile, il viaggiatore, che abbia subito danni “a causa” del trasporto (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all’attività di trasporto), ha l’onere di provare il nesso eziologico esistente tra l’evento dannoso ed il trasporto medesimo (dovendo considerarsi verificatisi “durante il viaggio” anche i sinistri occorsi durante le operazioni preparatorie o accessorie, in genere, del trasporto e durante le fermate; e comprese la salita o la discesa: Cass., ord. 30 aprile 2011, n. 9593), essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell’evento, mentre incombe, invece, sul vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico gravante ai sensi dell’art. 1681 cod. civ., l’onere di provare che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza (da ultimo, v.: Cass. 20 luglio 2010, n. 16893; Cass. 17 luglio 2003, n. 11194).
E la corte di merito, con valutazione in questa sede insindacabile in quanto scevra da vizi logici o giuridici, ha rilevato come l’onerato vettore non abbia fornito alcuna prova in tal senso, indicando analiticamente cosa avrebbe invece dovuto allegare e provare; mentre le censure dell’odierno ricorrente non solo non si appuntano contro il principio di diritto sopra ricordato, ma neppure si fanno carico della contestazione specifica e punto per punto di quali concreti positivi elementi in contrario, a favore della liberazione del vettore dalla sua responsabilità, sarebbero stati pretermessi dalla corte di merito.
Il motivo va pertanto disatteso.
§ 4. – Il secondo motivo è inammissibile: viene invocato il vecchio testo dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nonostante alla fattispecie, essendo stata pubblicata la sentenza di secondo grado dopo il giorno 11.9.12, si debba applicare il nuovo testo, che ammette censure alla ricostruzione dei fatti solo limitatamente all’omesso esame di un punto decisivo; e che è ricostruito con estremo rigore dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (per tutte: Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881), secondo parametri che non sono rispettati dalla complessiva contestazione delle conclusioni raggiunte dalla Corte di merito sull’assenza di prova liberatoria.
§ 5 – Il ricorso va rigettato; ma, se non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità per non avervi svolto attività difensiva gli intimati, trova comunque applicazione l’art. 13, co. 1-quater, dei d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, co. 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto – senza possibilità di valutazioni discrezionali (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955) – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma del co. 1-bis del detto art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modif. dalla I. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dei co. 1-bis dello stesso art. 13.

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