Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 18 febbraio 2016, n. 3173

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22144/2012 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) Direttore Generale della AZIENDA SANITARIA LOCALE NAPOLI (OMISSIS) SUD nella sua qualita’ di COMMISSARIO LIQUIDATORE DELLA UNITA’ SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) DELLA CAMPANIA, domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS) S.P.A., (OMISSIS) SPA, REGIONE CAMPANIA, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

nonche’ da:

(OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di erede dei propri genitori Sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di erede dei propri genitori Sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di erede dei propri genitori Sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di erede dei propri genitori Sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di erede dei propri genitori Sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende; giusta procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

GESTIONE LIQUIDATORIA USL/(OMISSIS) CAMPANIA, REGIONE CAMPANIA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA;

– intimati –

nonche’ da:

(OMISSIS) SPA in persona del suo Legale Rappresentante Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;

(OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di erede dei propri genitori Sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di erede dei propri genitori Sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di erede dei propri genitori Sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di erede dei propri genitori Sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di erede dei propri genitori Sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

GESTIONE LIQUIDATORIA USL/(OMISSIS) CAMPANIA, REGIONE CAMPANIA, (OMISSIS) SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2529/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/07/2011, R.G.N. 4636/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/10/2015 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e accoglimento dei primi due motivi del ricorso (OMISSIS), assorbiti gli altri motivi, assorbito il ricorso incidentale (OMISSIS).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il (OMISSIS) (OMISSIS) si sottopose ad un intervento di rimozione di ernia ombelicale e conseguente addominoplastica.

L’intervento venne eseguito dal Dott. (OMISSIS) all’interno del presidio ospedaliere di (OMISSIS), gestito dalla Unita’ Sanitaria Locale USL n. (OMISSIS) della Campania.

Il (OMISSIS) la paziente mori’ per collasso cardiocircolatorio.

2. Nel (OMISSIS) (OMISSIS), marito della donna, convenne dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata (OMISSIS) e la USL/(OMISSIS) Campania, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della morte della moglie.

In corso di causa intervennero altri tredici congiunti della vittima (figli, generi e nuore, nipoti ex filio), chiedendo anch’essi – tanto in proprio, quanto nella veste di rappresentanti ex articolo 320 c.c., dei figli minori – la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni rispettivamente patiti.

Il convenuto (OMISSIS) chiamo’ in causa il proprio assicuratore della responsabilita’ civile, la societa’ (OMISSIS)- (OMISSIS) s.p.a..

Nel corso del giudizio di primo grado vennero disposte due consulenze tecniche d’ufficio, affidate a due diversi consulenti: il primo escluse la sussistenza di condotte colpose dei sanitari, l’altro le ammise.

3. Dopo dodici anni di giudizio, il Tribunale di Torre Annunziata con sentenza 14.11.2006 rigetto’ la domanda, condividendo le conclusioni della prima delle due consulenze d’ufficio.

La Corte d’appello di Napoli, adita dai soccombenti, con sentenza 7.7.2011 n. 2529 condivise invece la seconda consulenza, e accolse la domanda nei confronti del solo (OMISSIS), per avere la USL nel frattempo transatto la lite.

La Corte d’appello condanno’ altresi’ la (OMISSIS)- (OMISSIS) s.p.a., in solido col proprio assicurato, al risarcimento in favore degli attori e degli intervenuti.

4. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione:

– da (OMISSIS) in via principale, sulla base di tre motivi;

– in via incidentale condizionata dai congiunti della vittima, sulla base di due motivi;

– in via incidentale dalla (OMISSIS)- (OMISSIS), sulla base di cinque motivi (tre soltanto dei quali espressamente numerati).

(OMISSIS) ha resistito con due diversi controricorsi, al ricorso incidentale della (OMISSIS)- (OMISSIS) ed a quello dei congiunti di (OMISSIS). I congiunti di (OMISSIS) hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale della (OMISSIS)- (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Va esaminata per prima, ai sensi dell’articolo 276 c.p.c., comma 2, l’eccezione con la quale i congiunti di (OMISSIS) hanno eccepito l’inammissibilita’ del ricorso principale.

Sostengono i suddetti controricorrenti che al ricorrente principale (OMISSIS) il 21.6.2012 fu notificato un ricorso per la correzione di errore materiale della sentenza d’appello.

La notificazione di tale ricorso, proseguono, equivale a notificazione della sentenza: pertanto (OMISSIS) avrebbe dovuto allegare al ricorso per cassazione, a pena d’inammissibilita’, la copia notificata del ricorso per correzione, al fine di dimostrare il rispetto del termine breve per impugnare, allo stesso modo in cui il ricorrente ha l’onere di allegare al ricorso la copia notificata della sentenza impugnata, quando gli sia stata notificata.

1.2. L’eccezione e’ infondata, alla luce del consolidato orientamento di questa corte secondo cui “ai fini della decorrenza del termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione, la notificazione della sentenza, cui fa riferimento l’articolo 326 c.p.c., non puo’ essere sostituita da forme di conoscenza legale equipollenti quali la proposizione dell’istanza di correzione di errore materiale, trattandosi di un’attivita’ compiuta per un fine specifico, incompatibile con l’impugnazione” (Sez. 2, Sentenza n. 17122 del 09/08/2011, Rv. 618916; nello stesso senso, Sez. L, Sentenza n. 8858 del 18/06/2002, Rv. 555167; Sez. 5, Sentenza n. 5767 del 08/05/2000, Rv. 536228; Sez. 1, Sentenza n. 4945 del 28/05/1996, Rv. 497855).

2. Il primo motivo del ricorso principale.

2.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella Legge 7 agosto 2012, n. 134).

Si deduce, in sostanza, che la Corte d’appello avrebbe adottato una motivazione tanto carente quanto illogica, sotto vari profili:

(a) la Corte d’appello avrebbe adottato una motivazione carente perche’, dinanzi a due consulente tecniche d’ufficio antitetiche, ha privilegiato l’una senza dare conto alcuno delle ragioni per le quali l’altra (condivisa invece dal Tribunale con ampia motivazione) non fosse accettabile;

(b) la Corte d’appello avrebbe adottato una motivazione illogica perche’ ha condiviso una consulenza tecnica d’ufficio illogica. E la consulenza tecnica condivisa dal giudice era illogica perche’ da un lato aveva ritenuto corretta l’esecuzione dell’intervento, ma dall’altro aveva ritenuto che tale intervento fosse diverso da quello programmato ed indicato in cartella;

(c) la Corte d’appello, infine, avrebbe omesso di motivare il rigetto (implicito) dell’istanza di rinnovo della c.t.u. formulata in via subordinata da (OMISSIS).

2.2. Il motivo e’ infondato, sotto tutti i profili in cui si articola. Non v’e’, in primo luogo, insufficienza della motivazione.

Il ricorrente e’ nel giusto quando osserva che il giudice di merito, posto dinanzi a due consulenze d’ufficio antitetiche, non puo’ dissentire da una di esse (o da entrambe) senza enunciare le ragioni della scelta, contestando le contrastanti argomentazioni della seconda consulenza (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 20125 del 07/10/2015, Rv. 637482; Sez. 1, Sentenza n. 5148 del 03/03/2011, Rv. 616967; Sez. 2, Sentenza n. 23063 del 30/10/2009, Rv. 610739).

Tuttavia tale principio va coordinato con l’altro, anch’esso risalente e pacifico, secondo cui nella motivazione su questioni di fatto il giudice non e’ tenuto a prendere in esame e confutare una per una le argomentazioni delle parti, quando gli argomenti posti a fondamento della sentenza siano logicamente incompatibili con quelle: sicche’ dovranno ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 24542 del 20/11/2009, Rv. 610367; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 25509 del 02/12/2014, Rv. 633604; Sez. 2, Sentenza n. 10569 del 02/08/2001, Rv. 548712).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ravvisato la colpa del sanitario convenuto in una imprudenza: avere cioe’ deciso di eseguire l’intervento nonostante le condizioni cliniche della paziente non solo lo sconsigliassero, ma anzi lo rendessero altamente rischioso (cosi’ la sentenza d’appello, p. 4, primo capoverso). Ha soggiunto (ibidem, ultimo capoverso) che l’intervento.

in questione era “assolutamente privo” del carattere d’urgenza, che le sue conseguenze erano “prevedibili ex ante”, e che l’ospedale dove venne eseguito era privo del reparto di rianimazione: si tratta, dunque, di una motivazione logicamente incompatibile con i diversi argomenti spesi dal primo consulente, per come riassunti dal ricorrente alle pp. 6, 7 e 20 del proprio ricorso.

Stabilire, poi, se tali valutazioni siano corrette o meno nel merito, e’ ovviamente questione sottratta al perimetro del giudizio di legittimita’.

2.3. La motivazione della sentenza impugnata, poi, non puo’ dirsi illogica, per i fini di cui al testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5. La Corte d’appello, infatti, come accennato ha ritenuto – nell’esercizio dei suoi potersi insindacabili di accertamento del fatto – che le condizioni fisiche della paziente sconsigliassero l’intervento, e che questo fu nondimeno eseguito, per di piu’ in un ospedale privo del reparto rianimazione. Si tratta dunque d’una spiegazione ne’ contraddittoria, ne’ illogica, delle ragioni per cui il giudice di merito ha ravvisato una devianza tra l’operato dei sanitari, e le leges artis della buona pratica clinica.

2.4. Nemmeno la sentenza puo’ dirsi viziata per la carenza di pronuncia sull’istanza di rinnovazione della c.t.u. formulata dall’odierno ricorrente. Per un verso, infatti, il rigetto dell’istanza e’ implicitamente spiegato con la ritenuta sufficienza, ai fini del decidere, delle prove gia’ raccolte. Per altro verso la scelta di rinnovare la consulenza tecnica d’ufficio e’ rimessa alla discrezionalita’ del giudice di merito, ed e’ insindacabile in sede di legittimita’, salva l’ipotesi estrema – non ricorrente nel nostro caso – nella quale il giudice rigetti tanto l’istanza di consulenza, quanto la domanda, in un un’ipotesi in cui la parte onerata non aveva altro strumento per dimostrare la fondatezza dei propri assunti.

3. Il secondo motivo del ricorso principale.

3.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1218, 1223, 1228, 1292, 1294, 2043 e 2055 c.c.; nonche’ della Legge 9 agosto 1954, n. 653, articolo 1, comma 2); sia da un vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella Legge 7 agosto 2012, n. 134).

Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello ha trascurato di considerare che l’eventuale incompatibilita’ tra l’intervento programmato e le condizioni fisiche del paziente dovevano essere valutati dall’anestesista (mai convenuto in giudizio), non dal chirurgo Dott. (OMISSIS), benche’ tale questione fosse stata debitamente agitata da quest’ultimo nel giudizio di merito. Con la conseguenza che la sentenza impugnata doveva ritenersi viziata da una omessa pronuncia ovvero, in subordine, da una omessa motivazione sul punto.

3.2. Nella parte in cui lamenta l’omessa pronuncia, il motivo e’ ovviamente infondato.

La Corte d’appello era chiamata a pronunciarsi infatti sulla sussistenza o meno d’una colpa civile del chirurgo, ed a tanto ha provveduto.

3.3. Nella parte in cui lamenta il vizio di insufficiente motivazione, il motivo e’ del pari infondato.

Dire che “un chirurgo e’ in colpa perche’ ha eseguito un intervento rischioso che poteva essere evitato” e’ infatti una motivazione idonea e sufficiente a radicare un giudizio di responsabilita’ civile a carico di quel chirurgo. Ne’ – come gia’ ricordato – il giudice era tenuto, nel motivare la propria decisione in punto di fatto, a dare conto dell’esame di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponesse, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 17145 del 27/07/2006, Rv. 593961).

3.3. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge il motivo e’ infondato. Cio’ per due ragioni.

La prima ragione e’ che la Corte d’appello non ha affatto ascritto al chirurgo, a titolo di colpa, la violazione di doveri ricadenti sull’anestesista. I profili di colpa che la Corte d’appello ha ravvisato a carico del chirurgo sono consistiti nella violazione di precetti di diligenza esigibili dal chirurgo, non dall’anestesista: non saper valutare la compatibilita’ dell’intervento con le condizioni di salute del paziente, e scegliere di eseguire un intervento rischioso in un ospedale privo di reparto rianimazione.

La seconda ragione e’ che, in ogni caso, anestesista e chirurgo, pur avendo competenze distinte, operano comunque congiuntamente, e ciascuno con la propria condotta concorre alla realizzazione del risultato sperato.

Cio’ vuol dire che ciascuno dei due e’ tenuto, verso il paziente, non solo ad osservare con diligenza le regole tecniche della propria disciplina, ma anche a verificare la condotta dell’altro, nei limiti in cui cio’ sia concretamente esigibile in virtu’ delle sue competenze, ai sensi dell’articolo 1176 c.c., comma 2. Sulla base di questo principio, questa Corte ha gia’ affermato che il medico chirurgo e’ titolare di un’ampia posizione di garanzia nei confronti del paziente, in virtu’ della quale egli “e’ tenuto a concordare con l’anestesista il percorso anestesiologico da seguire – avute presenti anche le condizioni di salute del paziente e le possibili implicazioni operatorie legate ad esse – nonche’ a vigilare sulla presenza in sala operatoria del medesimo anestesista, deputato al controllo dei parametri vitali del paziente per tutta la durata dell’operazione” (Sez. 4 pen., n. 1832 del 23/10/2014 – dep. 15/01/2015, imp. Ventre e altro, Rv. 261772; nello stesso senso ma e contrario, per l’affermazione della responsabilita’ dell’anestesista per il fatto del chirurgo, si veda altresi’ Sez. 4 pen., n. 3456 del 24/11/1992 – dep. 08/04/1993, imp. Gallo ed altro, Rv. 198445).

4. Il terzo motivo del ricorso principale.

4.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1292, 1294, 1298, 1299, 1882, 1917 e 1932 c.c.); sia da un vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella Legge 7 agosto 2012, n. 134).

Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello da un lato ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di garanzia da lui proposta nei confronti del proprio assicuratore, (OMISSIS)- (OMISSIS); dall’altro ha inammissibilmente condannato la (OMISSIS)- (OMISSIS) al risarcimento del danno in favore degli attori, in solido con l’assicurato.

4.2. Il motivo e’ fondato, in ambedue i profili in cui si articola.

Quanto al vizio di omessa pronuncia, palese e’ la fondatezza della censura:

la Corte d’appello infatti non ha in alcun modo provveduto sulla distinta ed autonoma domanda formulata dall’assicurato, (OMISSIS), nei confronti del proprio assicuratore.

Quanto al vizio di violazione di legge, va preliminarmente sollevato d’ufficio, e risolto affermativamente, il problema della sussistenza nel caso di specie dell’interesse dell’assicurato (ex articolo 100 c.p.c.) a dolersi della propria condanna al risarcimento in solido col proprio assicuratore.

Infatti, quando sia mancata la pronuncia di condanna dell’assicuratore a manlevare l’assicurato, la statuizione di condanna in solido espone teoricamente l’obbligato solidale al regresso ex articolo 1299 c.c., rendendo concreto l’interesse dell’assicurato a rimuoverla.

Nel merito, anche il profilo in esame e’ fondato. L’assicuratore del responsabile d’un fatto illecito infatti – al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (circolazione stradale, danni da esercizio della caccia, danni da incidenti nucleari) – non e’ vincolato da alcun obbligo legale o contrattuale nei confronti del danneggiato, e non puo’ essere condannato al pagamento dell’indennizzo nei confronti di quest’ultimo. V’e’ solo da aggiungere che l’eventuale richiesta in tal senso dell’assicurato, ai sensi dell’articolo 1917 c.c., comma 2, ultimo periodo, pone a carico dell’assicuratore un obbligo verso l’assicurato, non verso il terzo.

5. Il ricorso incidentale dei congiunti (OMISSIS).

5.1. Col proprio ricorso incidentale, qualificato “condizionato”, i congiunti di (OMISSIS) lamentano sia il vizio di omessa pronuncia (di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4); sia il vizio di violazione di legge (di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3; si assumono violati – espungendo dal novero della censura norme citate del tutto a sproposito – gli articoli 1223, 1226 e 2056 c.c.).

Vi si sostiene che la Corte d’appello ha omesso di pronunciarsi sulla propria domanda di condanna del responsabile al pagamento del danno da mora, da liquidarsi applicando un saggio d’interessi scelto in via equitativa, sul capitale espresso in moneta del 1992 (epoca dell’illecito) e quindi rivalutato anno per anno.

I ricorrenti incidentali hanno premesso, altresi’, di voler subordinare il proprio ricorso incidentale non gia’ all’accoglimento del ricorso principale, ma soltanto alla sua ammissibilita’.

5.2. Preliminarmente deve rilevarsi come non osti all’esame nel merito del ricorso incidentale la scelta dei ricorrenti di subordinarlo all’ammissibilita’, piuttosto che all’accoglimento, del ricorso principale. Per un verso, infatti, si tratta di una libera scelta della parte, la quale puo’ condizionare la propria impugnazione non solo oggettivamente (quando l’interesse che la sottende dipenda concretamente dall’accoglimento dell’impugnazione principale); ma anche soltanto soggettivamente; per altro verso e’ ragionevole ritenere che la scelta dei ricorrenti incidentali sia stata dettata dall’intento di rendere coerente la propria impugnazione con l’eccezione da essi sollevata di tardivita’ del ricorso principale: ed infatti, se il dies a quo per impugnare si fosse dovuto far decorrere dalla notifica del ricorso per correzione, il ricorso incidentale dei congiunti (OMISSIS) sarebbe stato tardivo, e nel caso di inammissibilita’ del ricorso principale esso si sarebbe dovuto dichiarare inefficace ex articolo 334 c.p.c., comma 2.

5.3. Nel merito, il ricorso e’ fondato con riferimento al vizio di omessa pronuncia.

La Corte d’appello ha infatti liquidato nel 2011 un danno avvenuto nel 1992, senza pronunciarsi sulla domanda ritualmente proposta dagli attori originari di ristoro del danno da ritardato adempimento dell’obbligazione risarcitoria. Ne’ questo pregiudizio puo’ dirsi necessariamente ricompreso (ma nemmeno necessariamente escluso) nella rivalutazione monetaria accordata dal giudice d’appello, allorche’ ha liquidato il danno patito dagli attori “all’attualita’” (rectius, in moneta attuale).

La rivalutazione monetaria del credito avente ad oggetto il risarcimento del danno aquiliano, infatti, ha lo scopo di ricostituire il patrimonio della vittima nella medesima consistenza quantitativa in cui si sarebbe idealmente trovato se il danno non si fosse mai verificato.

Questa operazione, tuttavia, non necessariamente esaurisce il ristoro dei pregiudizi patiti dal creditore. La liquidazione del danno in moneta attuale, infatti, serve a ristorare la perdita patrimoniale o, come nella specie, non patrimoniale patita dal danneggiato. Tuttavia, essendo il responsabile di un fatto illecito in mora ex re dal giorno dell’illecito (articolo 1219 c.c.), il creditore avrebbe in teoria diritto di ricevere illieo et immediate l’importo dovutogli a titolo di risarcimento. Sicche’, ottenendolo in ritardo, egli patisce un pregiudizio teoricamente pari alle rendite finanziarie che avrebbe potuto ricavare dall’investimento degli importi dovutigli.

Tale pregiudizio, tuttavia, non e’ in re ipsa, ma deve essere allegato e provato da chi lo invoca: vuoi dimostrando quale fosse la propria propensione al risparmio; vuoi dimostrando quale fosse il rendimento delle operazioni finanziarie in cui avrebbe verosimilmente investito il capitale dovutogli, in caso di tempestivo adempimento da parte del debitore; vuoi dimostrando quali maggiori oneri od interessi passivi avrebbe evitato di pagare se, disponendo tempestivamente della somma dovutagli, avesse potuto evitare di ricorrere al mercato del credito.

Da quanto esposto consegue che accordare, da parte del giudice di merito, la rivalutazione monetaria sul credito risarcitorio, ovvero liquidare quest’ultimo in moneta attuale, e’ circostanza di per se’ inidonea a spiegare se il giudice di merito abbia ritenuto sussistente od insussistente l’ulteriore danno da mora di cui si e’ appena detto: sussistenza od insussistenza che, a fronte di una precisa domanda, deve ricevere dal giudice di merito una precisa risposta.

5.4. Le osservazioni che precedono non consentono di ritenere fondate, sul punto qui in esame, le eccezioni svolte da (OMISSIS) nel proprio controricorso.

Non e’ fondata, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso incidentale per contraddittorieta’, la’ dove lamenta da un lato l’omessa pronuncia, e dall’altro il vizio di motivazione. Non lo e’ per tre ragioni.

La prima e’ che la ritenuta fondatezza del motivo concernente l’omessa pronuncia assorbe e rende superfluo l’esame del secondo motivo, il cui contenuto dunque non puo’ essere preso in considerazione ad alcun fine.

La seconda e’ che i ricorrenti incidentali hanno proposto contro la sentenza impugnata due censure distinte e separate, dichiarando di volerle formulare “in via gradata” (scilicet, l’una rispetto all’altra).

La terza ragione e’ che in ogni caso, anche in assenza di formule sacramentali o clausole di stile, la subordinazione logica tra i due motivi di ricorso emerge dallo stesso ordine con cui sono stati proposti: di talche’ nessuna ambiguita’ o contraddittorieta’ puo’ sussistere circa il reale intendimento dei ricorrenti di volere dolersi in primo luogo di una omessa pronuncia, e solo nel caso in cui la sentenza impugnata fosse stata interpretata come una implicita reiezione della loro pretesa circa il danno da mora, di volersi dolere di una motivazione mancante.

5.5. Parimenti infondata, in secondo luogo, e’ la seconda eccezione sollevata da (OMISSIS), secondo cui la Corte d’appello non doveva pronunciarsi sulla domanda di interessi compensativi, avendo essa liquidato il risarcimento del danno in moneta attuale.

Come gia’ detto, infatti, in tema di obbligazioni di valore la rivalutazione monetaria ha lo scopo di ricostituire il patrimonio della vittima nella stessa (ideale) composizione quantitativa in cui si sarebbe trovato, se non si fosse verificato l’illecito.

Ben diversa e’ la funzione dei c.d. interessi compensativi (recte, del risarcimento del danno da mora), che consiste nel ristorare il creditore del lucro finanziario che avrebbe potuto realizzare se, in caso di tempestivo adempimento, avesse potuto disporre della somma dovutagli ed avesse potuto di conseguenza investirla.

Ne consegue che, una volta liquidato il risarcimento del danno in moneta attuale, il creditore non viene ristorato dell’intero pregiudizio subito, almeno in tutti i casi in cui abbia dapprima allegato, e poi dimostrato – anche attraverso presunzioni semplici – che il tempestivo pagamento dell’importo dovutogli gli avrebbe consentito remunerativi investimenti.

Questi principi sono pacifici nella giurisprudenza di questa Corte, a partire dal decisivo arresto pronunciato da Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995, Rv. 490480; ne’ deve ritenersi un precedente contrario la decisione invocata dal ricorrente principale (nel proprio controricorso al ricorso incidentale), ovvero Sez. 3, Sentenza n. 15823 del 28/07/2005, Rv. 584368.

Quest’ultima decisione, infatti, non ha affatto negato che al creditore d’una obbligazione di valore sia dovuto il risarcimento del danno da mora in aggiunta alla rivalutazione monetaria; ha soltanto precisato che il danno in questione deve essere allegato e dimostrato, e non puo’ essere liquidato in modo automatico, come invece fece in quel caso il giudice di merito (cosi’ il p.6.1. dei “Motivi della decisione” della sentenza appena ricordata).

5.6. Spettera’ dunque al giudice del rinvio provvedere sulla domanda di risarcimento del danno da mora, avendo riguardo ai principi appena riassunti, e dunque:

– evitando qualsiasi automatismo, ma ponendo a base della pronuncia le prove ritualmente offerte dagli attori;

– tenendo conto che la remunerativita’ del denaro varia in funzione del capitale investito, e questo e’ diverso per i due gruppi di danneggiati (figli e nipoti della vittima);

– tenendo conto che l’incasso, da parte dei danneggiati, d’una somma a titolo di transazione ha ridotto il credito risarcitorio, con quanto ne consegue sul piano del calcolo del danno da mora (secondo i criteri stabiliti da Sez. 3, Sentenza n. 6347 del 19/03/2014, Rv. 629791).

6. Il primo motivo del ricorso incidentale della (OMISSIS)- (OMISSIS).

6.1. Vanno esaminate preliminarmente le eccezioni di inammissibilita’ del ricorso incidentale della (OMISSIS), sollevate dai congiunti di (OMISSIS). L’eccezione secondo cui il ricorso sarebbe tardivo, perche’ proposto oltre la scadenza del 60 giorno dalla notificazione dell’istanza di correzione della sentenza d’appello e’ manifestamente infondata, per i motivi gia’ esposti al p.1.2.

6.2. L’eccezione secondo cui il ricorso incidentale della (OMISSIS)- (OMISSIS) sarebbe inefficace ex articolo 334 c.p.c., comma 2, e’ manifestamente infondata: non essendo infatti inammissibile, per quanto gia’ detto, il ricorso principale, i ricorsi incidentali tardivi (ivi compreso quello dei congiunti (OMISSIS)) possono essere esaminati nel merito.

6.3. L’eccezione secondo cui, infine, l’assicuratore del responsabile non potrebbe impugnare la decisione sfavorevole all’assicurato per motivi diversi da quelli proposti da quest’ultimo e’ anch’essa manifestamente infondata, alla luce del principio secondo cui la causa di garanzia impropria e’ scindibile e indipendente rispetto alla causa principale, salvo che il chiamato, lungi dal limitarsi a contrastare la domanda di manleva, abbia contestato anche il titolo dell’obbligazione principale, quale antefatto e presupposto della garanzia azionata. In quest’ultimo caso, infatti, ricorre una situazione di pregiudizialita’-dipendenza tra cause, che da luogo a litisconsorzio processuale in fase di impugnazione, ed il chiamato in garanzia puo’ dunque impugnare autonomamente le statuizioni che attengono all’esistenza, validita’ ed efficacia del rapporto principale (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 11968 del 16/05/2013, Rv. 626249).

6.4. Col primo motivo di ricorso incidentale (privo di un aggettivo numerale ordinale che lo identifichi, ma formulato a p. 11, 3.b, del ricorso incidentale) la societa’ assicuratrice lamenta di essere stata condannata in solido con l’assicurato al risarcimento dei danni patiti dagli attori. Sostiene che tale domanda di condanna diretta non era stata mai formulata, e comunque non era ammissibile.

6.5. Il motivo e’ assorbito dall’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale.

7. Il secondo motivo del ricorso incidentale della (OMISSIS)- (OMISSIS).

7.1. Il motivo e’ indicato col n. 1 nel ricorso incidentale.

Con tale secondo motivo di ricorso la (OMISSIS)- (OMISSIS) deduce che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 166 e 343 c.p.c.); sia da un vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella Legge 7 agosto 2012, n. 134).

Il motivo contiene piu’ profili fra loro frammisti.

Sotto un primo aspetto, la societa’ ricorrente lamenta che la domanda di garanzia venne riproposta in appello dall’assicurato tardivamente, e quindi inammissibilmente (p. 12 del ricorso incidentale).

Sotto un secondo aspetto, la societa’ ricorrente lamenta che in ogni caso l’assicurato, vittorioso in primo grado, non aveva in grado di appello riproposto la propria domanda di manleva nelle forme dell’appello incidentale condizionato, necessario affinche’ la questione relativa al rapporto di garanzia potesse ritenersi in questa sede ancora sub iudice (ibidem, p. 13).

7.2. Il motivo e’ infondato per tre indipendenti ragioni:

(a) sia perche’, nel giudizio di appello proposto da chi, assumendo di essere rimasto vittima di un illecito nei confronti del preteso responsabile, si sia visto rigettare la domanda, l’appellato non e’ tenuto a proporre appello incidentale per introdurre nella fase di gravame la questione concernente la sussistenza dell’obbligo di garanzia dell’assicuratore da lui chiamato in causa, questione rimasta assorbita in primo grado (come stabilito, risolutivamente, da Sez. Un. 4.12.2015 n. 24707, depositata nelle more del deposito della minuta della presente sentenza);

(b) sia perche’, in ogni caso, (OMISSIS) aveva in grado di appello inequivocabilmente domandato, subordinatamente all’accoglimento della impugnazione principale, la condanna del proprio assicuratore a tenerlo indenne;

(c), sia, infine, perche’ il presente giudizio e’ iniziato il 6.4.1994, e quindi e’ soggetto alle norme del codice di rito anteriori alle modifiche introdotte dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353; e nel testo applicabile ratione temporis, l’articolo 343 c.p.c., stabiliva che l’appello incidentale si potesse proporre “nella prima udienza o in quelle previste negli articoli 331 e 332”.

8. Il terzo motivo del ricorso incidentale della (OMISSIS)- (OMISSIS).

8.1. Il motivo e’ indicato col n. 2 nel ricorso incidentale.

Con questo motivo di ricorso la (OMISSIS)- (OMISSIS) deduce che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione dell’articolo 2697 c.c.; articoli 114 e 115 c.p.c.); sia da un vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella Legge 7 agosto 2012, n. 134).

Col motivo in esame si deduce, in sostanza, che l’assicurato non aveva prodotto in primo grado il contratto di assicurazione, e che in assenza di tale atto la condanna dell’assicurato “non poteva avere alcuna ripercussione sull’assicuratore”, ne’ era possibile stabilire il limite dell’obbligazione dell’assicuratore, rappresentato dal massimale garantito.

8.2. Il motivo e’ manifestamente infondato.

Gia’ molto tempo prima della riforma dell’articolo 115 c.p.c., che ha formalmente introdotto nel nostro ordinamento il principio di “non contestazione” (secondo cui il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita), questa Corte era pervenuta per via interpretativa all’affermazione di analogo principio: dapprima con riferimento al rito del lavoro (Sez. U, Sentenza n. 761 del 23/01/2002, Rv. 551789; Sez. U, Sentenza n. 11353 del 17/06/2004, Rv. 574223), quindi con riferimento al rito ordinario (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 2299 del 06/02/2004, Rv. 569937; Sez. 1, Sentenza n. 6936 del 08/04/2004, Rv. 571977; Sez. 3, Sentenza n. 5356 del 05/03/2009, Rv. 606956; Sez. 1, Sentenza n. 25516 del 16/12/2010, Rv. 615029; Sez. 3, Sentenza n. 10860 del 18/05/2011, Rv. 618044; Sez. 3, Sentenza n. 3727 del 09/03/2012, Rv. 621652; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20870 del 11/09/2013, Rv. 627761).

Ovvio corollario dell’onere di contestazione e’ che la contestazione sia chiara e specifica.

La contestazione, infatti, serve a mettere l’attore prima, ed il giudice poi, in condizione di sapere quali siano i fatti controversi (che quindi dovranno essere provati), e quali invece incontroversi, come tali esclusi dal thema probandum.

Se, invece, fosse sufficiente una contestazione generica e di stile per costringere l’attore a provare tutti i fatti costitutivi della domanda, si finirebbe per negare in pratica la regola che viene ammessa in teoria: e cioe’ l’onere di contestazione tempestiva (sono parole di Sez. 3, Sentenza n. 10860 del 18/05/2011, Rv. 618044; nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 6094 del 26/03/2015, Rv. 634888, in motivazione; Sez. 3, Sentenza n. 13079 del 21/05/2008, Rv. 603161).

8.3. Nel presente giudizio la societa’ (OMISSIS), nel costituirsi in primo grado, non contesto’ analiticamente ed espressamente l’esistenza e l’efficacia del contratto, limitandosi a dedurre che su esso “erano in corso verifiche”, e che contestava “ogni pretesa attorea in fatto e in diritto”: contestazione che, per la sua totale genericita’, fu inidonea a porre in discussione l’esistenza del contratto e la sua validita’, anche nel rito applicabile prima che venisse modificato l’articolo 115 c.p.c., come gia’ ritenuto da questa Corte (da ultimo, da Sez. 3, Sentenza n. 19896 del 06/10/2015, Rv. 637316).

8.4. La societa’ assicuratrice ha altresi’ dedotto, come accennato, che la domanda di garanzia formulata dall’assicurato andrebbe comunque rigettata perche’, anche a dare per ammessa l’esistenza del contratto assicurativo, questi non ha provato la misura del massimale: non conoscendo la quale, nessuna condanna sarebbe possibile nei confronti dell’assicuratore della responsabilita’ civile.

8.4.1. sulla questione da ultimo richiamata si registra un larvato contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.

Secondo un primo orientamento, e’ sempre onere dell’assicuratore provare l’esistenza e l’ammontare del massimale: sicche’, ove l’assicuratore non lo assolva, la domanda di garanzia proposta dall’assicurato andra’ accolta comunque, a prescindere da qualsiasi limite di massimale ((Sez. 3, Sentenza n. 17459 del 31/07/2006, Rv. 592071).

Questo orientamento si fonda sull’assunto che il limite del massimale e’ un fatto impeditivo o modificativo della pretesa dell’assicurato: sicche’ e’ l’assicuratore ad aver l’onere di provarne il fatto costitutivo, ossia che il massimale pattuito tra le parti del contratto di assicurazione e’ inferiore all’indennizzo invocato dall’assicurato.

8.4.2. Per un diverso orientamento, invece, nella controversia tra assicurato ed assicuratore e’ onere del primo dimostrare l’entita’ del massimale (Sez. 3, Sentenza n. 10811 del 17/05/2011, Rv. 618218).

Questo diverso orientamento si fonda sull’assunto che nell’assicurazione della responsabilita’ civile la misura del massimale sia “elemento essenziale” del contratto, e di conseguenza rappresenti un “fatto costitutivo” della pretesa dell’assicurato, il cui onere ricade su quest’ultimo.

8.4.3. Ritiene questo Collegio che tra questi due contrastanti orientamenti debba essere preferito il primo.

L’altro, infatti, non convince per due ragioni.

La prima ragione e’ che la pattuizione d’un massimale non e’ elemento essenziale del contratto di assicurazione della responsabilita’ civile. Nell’assicurazione di responsabilita’ il massimale esprime il limite della dell’obbligazione indennitaria dell’assicuratore, ed assolve sotto questo aspetto la medesima funzione del valore della cosa assicurata nelle assicurazioni di cose.

Tuttavia, mentre nell’assicurazione di cose il valore della cosa assicurata e’ elemento essenziale del contratto, non altrettanto puo’ dirsi delle assicurazioni di responsabilita’.

Nelle assicurazioni di cose, infatti, e’ vietata la soprassicurazione (articolo 1908 c.c.), divieto che a sua volta e’ espressione del principio indennitario, coessenziale all’assicurazione contro i danni. La mancanza della pattuizione sul valore, pertanto, snaturerebbe la causa del contratto, nella misura in cui consentirebbe la percezione da parte dell’assicurato di indennizzi superiori al valore della cosa assicurata.

Nelle assicurazioni di responsabilita’, invece, non e’ nemmeno concepibile la nozione di sopra – o sottoassicurazione, e la misura del massimale garantito e’ lasciata alla libera pattuizione delle parti. Il contratto potrebbe essere dunque stipulato per un qualsiasi massimale, senza che cio’ incida sulla natura o sulla causa del contratto, cosi’ come potrebbe essere stipulato per un massimale illimitato, ipotesi non sconosciuta alla prassi commerciale.

Da cio’ consegue che il massimale nell’assicurazione della responsabilita’ civile non costituisce un elemento essenziale del contratto, ben potendo quest’ultimo essere validamente stipulato senza la pattuizione di esso.

8.4.2. La seconda ragione per la quale non puo’ essere condiviso il decisum di Cass. 10811/11, cit., e’ che il “fatto costitutivo” della pretesa dell’assicurato ad essere tenuto indenne dal proprio assicuratore della responsabilita’ civile e’ l’avverarsi d’un sinistro che abbia le caratteristiche descritte nel contratto.

L’esistenza del massimale e la sua misura non costituiscono dunque i fatti generatori del credito dell’assicurato, ma piuttosto i fatti limitativi del debito dell’assicuratore. In quanto tali, essi debbono essere allegati e provati da quest’ultimo, secondo la regola di cui all’articolo 2697 c.c..

8.5. Da quanto esposto consegue che, nel presente giudizio, la mancata dimostrazione della misura del massimale nuoce all’assicuratore, e non all’assicurato, e non e’ ostativa all’accoglimento della domanda di garanzia da questi proposta.

9. Il quarto motivo del ricorso incidentale della (OMISSIS)- (OMISSIS).

9.1. Il motivo e’ indicato col n. 3 nel ricorso incidentale.

Anche con questo motivo di ricorso la (OMISSIS)- (OMISSIS) deduce che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., articolo 54 (si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1292, 1294, 1304, 1311 e 2055 c.c.); sia da un vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella Legge 7 agosto 2012, n. 134).

Nella illustrazione del motivo la ricorrente deduce che la Corte d’appello ha liquidato complessivamente agli attori la somma di euro 1.175.000. Tuttavia la stessa Corte d’appello, avendo accertato che i danneggiati avevano transatto la lite con uno dei debitori (la USL), e liberato questi dal vincolo solidale, ha ridotto il complessivo credito dei danneggiati in misura pari all’importo ricevuto dal transigente, pari ad euro 516.456. Questa statuizione sarebbe erronea, in quanto per effetto della transazione il credito dei danneggiati si era ridotto non gia’ della somma ricevuta, ma della quota virile gravante su quest’ultimo, concordata tra le parti transigenti in misura pari al 50%.

La condanna del convenuto (OMISSIS) sarebbe percio’ dovuta essere complessivamente pari a Euro 516.456. La Corte d’appello, invece, aveva condannato (OMISSIS) al pagamento complessivamente verso tutti gli attori di euro 658.544, pari alla differenza tra l’importo liquidato in sentenza (euro 1.175.000) e l’importo gia’ versato ai danneggiati dalla USL (euro 516.456).

9.2. Il motivo e’ infondato.

La societa’ ricorrente e’ nel vero quando afferma che la transazione stipulata dall’unico creditore con uno soltanto dei coobbligati solidali, ed avente ad oggetto soltanto la quota di quest’ultimo, riduce il credito risarcitorio:

(a) dell’importo effettivamente ricevuto dal creditore, se questo eccede l’equivalente della quota virile gravante sul condebitore transigente;

(b) della quota virile gravante sul coobbligate transigente, se e’ invece quest’ultima ad eccedere la somma pagata per effetto della transazione (cosi’ Sez. U, Sentenza n. 30174 del 30/12/2011, Rv. 620066).

Nel caso di specie, tuttavia, coobbligati in solido al risarcimento del danno erano un medico, e la USL sua datrice di lavoro.

Nel caso in cui il medico commetta un fatto illecito, il datore di lavoro ne risponde ai sensi dell’articolo 1228 c.c..

La responsabilita’ solidale del lavoratore e del suo datore di lavoro, nei confronti del terzo, costituisce una obbligazione solidale atipica, e per l’esattezza una obbligazione solidale c.d. a interesse unisoggettivo.

Mentre, infatti, verso il terzo danneggiato il lavoratore ed il datore di lavoro sono obbligati in solido, sul piano interno dell’obbligazione solidale il peso dell’obbligazione grava interamente sul lavoratore. La responsabilita’ del datore per il fatto del lavoratore e’, infatti, una responsabilita’ per fatto altrui, con la conseguenza che il datore che abbia pagato il terzo ha regresso verso il responsabile per l’intero importo pagato.

Cio’ vuoi dire che, nel profilo interno dell’obbligazione solidale, la quota virile del responsabile effettivo e’ sempre pari al 100%, mentre la quota virile del garante del fatto altrui e’ sempre pari allo 0%.

A questo principio si puo’ derogare nel solo caso in cui anche il datore di lavoro, con una propria condotta indipendente, abbia concorso a causare il danno: circostanza, quest’ultima, che tuttavia non ricorre nel presente giudizio; non e’ mai stata prospettata da alcuno e non ha formato oggetto ne’ di accertamento giudiziale, ne’ di impugnazione.

9.3. Applicando dunque i suddetti principi al caso di specie avremo che:

(a) non e’ mai stata ne’ dedotta, ne’ accertata, una responsabilita’ concorrente della USL, ad esempio per deficit strutturali od organizzativi;

(b) la somma pagata dalla USL (516.456 Euro) e’ dunque superiore al valore della quota virile su essa gravante (cioe’ zero);

(c) ergo, il credito risarcitorio dei danneggiati si e’ ridotto di 516.456 euro, e non della maggior somma pretesa dalla (OMISSIS)- (OMISSIS), e dunque correttamente il giudice di merito ha sottratto dal credito risarcitorio l’importo di euro 516.456.

Deve solo aggiungersi che qualunque pattuizione intercorsa tra i danneggiati e la USL circa la misura della percentuale di colpa a questa ascrivibile costituisce ai nostri fini res inter alios acta, e non sposta le conclusioni appena raggiunte.

10. Il quinto motivo del ricorso incidentale della (OMISSIS)- (OMISSIS).

10.1. Questo motivo e’ indicato col n. “3.b” a p. 21 del ricorso incidentale. Anche con questo motivo la societa’ ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia affetta dai vizi di cui dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. Lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha posto a carico suo e di (OMISSIS), in solido, le spese del doppio grado di giudizio.

10.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale e del primo motivo di quello incidentale dei congiunti di (OMISSIS). Tale statuizione impone infatti la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, e l’opportunita’ di rimettere al giudice del rinvio la liquidazione delle spese processuali, in considerazione dell’esito complessivo della lite.

11. Le spese.

Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’articolo 380 c.p.c.:

(-) accoglie il terzo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale proposto dai congiunti di Liliana Vanni; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.

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