locazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  16 giugno 2014, n. 13651

Svolgimento del processo

L’Arca per l’Ambiente s.c.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, avverso la sentenza dell’8 aprile 2008 con cui la Corte di appello di L’Aquila, compensando le spese di quel grado, ha rigettato il gravame proposto dall’attuale ricorrente avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Teramo — sezione distaccata di Giulianova che, accogliendo la domanda di sfratto per morosità proposta dalla Penta Costruzioni S.r.l., aveva risolto, per grave inadempimento della conduttrice L’Arca per l’Ambiente s.c.a.r.l., il contratto di locazione stipulato il 4 giugno 2005, condannando quest’ultima al rilascio dell’immobile in favore della locatrice nonché al pagamento dei canoni e alle spese di lite. Ha resistito con controricorso la Penta Costruzioni S.r.l..

Motivi della decisione

1. Va premesso in fatto che le parti hanno stipulato in data 4 giugno 2005 un contratto di locazione ad uso non abitativo (opificio industriale – attività volta al recupero e al riciclaggio di gomme e materiale plastico) avente ad oggetto un immobile in corso di costruzione sito in (omissis) , pattuendo la durata di anni sei ed un canone mensile anticipato pari a Euro 7.000,00, oltre IVA.
In data 30 agosto 2005 la conduttrice ha preso possesso dell’immobile ritenendolo idoneo all’uso cui era destinato.
Dopo aver pagato il canone per i mesi di settembre e ottobre 2005, la conduttrice ha lamentato, a mezzo raccomandate, le dimensioni inferiori del piazzale esterno dell’immobile locato e la mancanza del certificato di agibilità e ha sospeso il pagamento del canone.
A fronte delle contestazioni della conduttrice, la locatrice ha ridotto il canone mensile di Euro 300,00 in considerazione delle accertate ridotte dimensioni del piazzale.
Nel febbraio 2006 la locatrice ha intimato sfratto per morosità nei confronti della ricorrente, dando così inizio al presente giudizio. La conduttrice si é opposta all’intimazione e per le ragioni sopra evidenziate ha chiesto la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni.
Con ordinanza del 12 maggio 2006 il G.I. ha ordinato il rilascio dell’immobile locato e lo sfratto è stato eseguito in data 2 settembre 2006.
2. Con il primo motivo, lamentando “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio che riguarda la valutazione di inizio attività in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello ha affermato che la conduttrice “aveva illegittimamente smesso di pagare il canone… [dal novembre 2005] in assenza di un inadempimento tale da legittimare la sospensione della controprestazione per il godimento di un immobile che nelle more per contro perdurava”, ha evidenziato che la società appellante era “rimasta in loco continuando ad occupare gli immobili senza pagare per il loro utilizzo”, ha rilevato che “dal carteggio in atti comunque si evince che… al momento della convalida non vi era stato alcun diniego della licenza dovendosi considerare che l’appellante aveva anche iniziato l’attività di stoccaggio de[gl]i pneumatici” e “visto che questa pur rimanendo in possesso dell’immobile e pur iniziando l’attività di stoccaggio delle gomme, decise arbitrariamente di non pagare più il canone e quindi di non corrispondere la prestazione per il godimento dell’immobile, allegando solo la ridotta misura del piazzale, che non impediva l’esercizio dell’attività, poi effettivamente iniziata…”. Ad avviso della ricorrente la motivazione sarebbe contraddittoria ed viziata da errore, essendo incorsa la Corte di merito in una errata ricostruzione della fattispecie concreta, avendo la predetta valutato l’accantonamento degli pneumatici sul piazzale esterno annesso come stoccaggio, così confondendo una semplice procedura di scarico e accantonamento con l’attività di stoccaggio, consistente nell’accumulo e rivendita — a rigenerazione avvenuta — di materiale di rifiuti di vario genere.
Secondo L’Arca per l’Ambiente s.c.a.r.l. l’accantonamento o appoggio degli pneumatici, da essa effettuato, non può essere valutato come attività, potendo al più costituire una mera predisposizione di avvio della stessa.
2.1. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. – applicabile al ricorso in esame in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (8 aprile 2008) – la ricorrente ha indicato come fatto controverso “l’inizio dell’attività” e ha precisato che “La contraddizione della motivazione riguarda la valutazione da parte del giudicante, sia di prima che di seconda istanza, dell’accantonamento delle gomme sul piagale, quale inizio dell’attività, dal momento che il tipo di produzione da avviare era quella di triturazione delle gomme. Le ragioni per le quali la dedotta contraddizione la rende inidonea a giustificare la decisione sono rappresentate dal fatto che la motivazione corretta avrebbe indotto i Giudici della Corte a considerare come mai goduto l’immobile locato”.
2.2. Precisato che in questa sede vanno esaminate le sole censure relative alla sentenza impugnata e non anche quelle relative alla sentenza di primo grado, osserva la Corte che il motivo, oltre ad essere inammissibile per mancanza di decisività, è, comunque, infondato. A prescindere che circostanza che il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non far comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorché -come nel caso all’esame – dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice (Cass., sez. un., 22 dicembre 2010, n.25984), si osserva che la ricorrente ha, in ogni caso, fruito del bene locato quanto meno per svolgervi la prima fase dell’attività cui l’immobile era destinato in base al contratto; peraltro la stessa ricorrente, come ricordato anche in ricorso, al momento in cui l’immobile le é stato consegnato, ha ritenuto l’idoneità del bene all’uso convenuto, idoneità che, almeno in fatto, solo la conduttrice poteva valutare appieno.
3. Con il secondo motivo si denuncia “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio che riguarda il rilievo circa la mancanza nel contratto di locazione di alcun obbligo del locatore, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”.
Sostiene la ricorrente che nella sentenza impugnata si afferma che “dal contratto di locazione non si evince alcun obbligo del locatore in merito all’agibilità” mentre a p. 23 e ss. del contratto è stabilito che “il locatore consegnerà all’atto dell’immissione in possesso dell’immobile il locale industriale sopra richiamato… il tutto perfettamente funzionante e a norma di legge”, sicché la Corte avrebbe errato omettendo di valutare le prove documentali prodotte (contratto di locazione).
3.1. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. la ricorrente ha indicato come fatto controverso “la mancata valutazione del giudicante di una clausola del contratto, relativ[a] agli obblighi del locatore e cioè “di consegnarlo perfettamente funzionante e a norma di legge” e ha precisato che “l’omissione consiste nella mancata valutazione da parte del giudicante di prove documentali fornite e non esaminate, dalle quali emerge che il fatto controverso é difforme da come è stato descritto in sentenza. In altri termini si è omesso di specificare il motivo per il quale le prove documentali non sono state prese in considerazione integralmente, ai fini della decisione. L’insufficienza della motivazione riguarda la mancata correlazione, e quindi la spiegazione dell’omessa comparazione tra le prove enunciate nella sentenza e quelle acquisite al processo. Le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione sono rappresentate dal fatto che la motivazione completa e corretta avrebbe indotto i Giudici della Corte ad una diversa valutazione degli specifici obblighi del locatore nel caso de quo”.
3.2. Il motivo é inammissibile, sia perché sostanzialmente generico ed assertivo, sia per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente riportato per intero il tenore letterale dell’art. 23 del contratto richiamato (v. sul punto p. 9 del controricorso).
Ed invero il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci vizi motivazionali sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (arg. ex Cass., ord., 30 luglio 2010, n. 17915).
4. Con il terzo motivo é prospettata “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1578, 1 comma c.c., con conseguente richiesta di risoluzione contrattuale in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”.
Rappresenta la parte ricorrente che il primo “vizio” riscontrato, relativo alla minore superficie del piazzale esterno dell’immobile locato, rispetto a quella prevista in contratto, non poteva essere da essa ravvisato alla data della sottoscrizione del detto atto, essendo all’epoca l’immobile ancora in costruzione, e che successivamente la conduttrice aveva preso in consegna il bene confidando sugli impegni assunti dalla locatrice in relazione alla locazione di un immobile avente l’estensione evidenziata nella planimetria allegata al contratto; la Penta Costruzioni S.r.l., peraltro, su sua segnalazione, si era attivata proponendo la riduzione del canone, in tal modo riconoscendo la sussistenza di tale minore estensione dell’area.
Con riferimento poi al secondo “vizio” lamentato (carenza del certificato di agibilità), deduce la ricorrente di averne avuto consapevolezza solo a seguito della nota del 5 dicembre 2005 – quindi successivamente alla data della sottoscrizione del contratto e dell’immissione in possesso del bene – con cui il Comune di Controguerra le aveva comunicato che, in relazione al locale in questione, non era stato rilasciato il detto certificato e di tanto aveva dato notizia alla locatrice con raccomandata del 30 gennaio 2006.
Assume altresì la ricorrente che l’ottenimento di tale certificato, concretizzandosi in un obbligo posto a carico della parte locatrice, anche in virtù e per effetto dell’art. 25 D.P.R. n. 380/01, in quanto derivante da una disposizione imperativa di legge, non potrebbe essere suscettibile di deroghe in virtù di accordi e/o patti privati. La ricorrente censura quindi la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che la destinazione particolare dell’immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche a che ottenga specifiche licenze amministrative diventa rilevante, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia del pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto, soltanto se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione nel contratto che la locazione sia stipulata per un certo uso.
Essendo stato introdotto ai sensi dell’art. 25 già richiamato l’obbligo del costruttore di richiedere il certificato di agibilità entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento, ad avviso della ricorrente nessun rilievo avrebbe la circostanza che dal contratto di locazione si evinca o meno l’obbligo del locatore in merito all’agibilità e/o che al momento della consegna il conduttore abbia ritenuto idoneo il bene accettandolo nello stato di fatto in cui si trovava.
Sostiene infine L’Arca per l’Ambiente s.c.a.r.l. di aver diritto di richiedere la risoluzione del contratto ex art. 1578 c.c. “essendo anche il semplice stato di incertezza sulla condizione urbanistica dell’immobile locato sufficiente ad integrare il vizio in parola in quanto qualità negativa incidente sull’effettiva fruibilità del bene conformemente all’uso pattuito”.
4.2. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “se il mancato ottenimento da parte del locatore del certificato d’agibilità di un immobile ad uso commerdale-industriale costituisca un vizio tale che, diminuendo in modo appressarle l’idoneità della cosa beata all’uso pattuito, giustifichi la risoluzione del contratto di locazione ex art. 1578, 1 comma c.c.”.
4.3. Il motivo – pur a prescindere dalla non del tutto adeguata formulazione del relativo quesito rispetto alle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., nella lettura datane dal “diritto vivente” (Cass., ord., 25 settembre 2007, n. 19892 e 17 luglio 2008, n. 19769; Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; Cass. 13 marzo 2013, n. 6286, in motivazione) -, é infondato.
Va evidenziato che sulla questione posta dalla parte ricorrente con il motivo all’esame e che trova riscontro nel quesito formulato (Cass., sez. un., 9 marzo 2009, n. 5624) si registrano due diversi orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo indirizzo (Cass. 13 marzo 2007, n. 5836; Cass. 8 giugno 2007, n. 13395; Cass. 1 dicembre 2009, n. 25278 e Cass. 25 gennaio 2011, n. 1735) nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo, grava sul conduttore l’onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative; ne consegue che, ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a carico del locatore, e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato; la destinazione particolare dell’immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che attenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento dell’idoneità dell’immobile da parte del conduttore. Secondo il diverso orientamento (Cass. 28 marzo 2006 n. 7081; Cass. 7 giugno 2011, n. 12286, Cass. 19 luglio 2008, n. 20067), che da, a vario titolo, rilievo al difetto della documentazione in parola, nel contratto di locazione di un immobile per uso diverso da quello di abitazione, la mancanza delle autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarità del bene sotto il profilo edilizio – e, in particolare, la sua abitabilità e la sua idoneità all’esercizio di un’attività commerciale – costituisce inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1578 c.c., a meno che il conduttore non sia a conoscenza della situazione e l’abbia consapevolmente accettata.
Ritiene il Collegio che solo quando l’inagibilità o l’inabitabilità del bene attenga a carenze intrinseche o dipenda da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire il rilascio degli atti amministrativi relativi alle dette abitabilità o agibilità e da non consentire l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito, può configurarsi l’inadempimento del locatore, fatta salva l’ipotesi in cui quest’ultimo abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere tali atti.
Nel caso di specie l’assunzione di un siffatto obbligo non è stata acclarata né risulta che il rilascio del certificato di agibilità sia stato definitivamente negato, il che, anzi, è nettamente smentito dalla controricorrente.
5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
6. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

 
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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