Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 15 marzo 2016, n. 10781
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere
Dott. MANZON Enrico – Consigliere
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 24/10/2014 della Corte di Appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere DE MASI Oronzo;
udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FILIPPI Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), per la parte civile, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilita’ o per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), anche quale sostituto processuale, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 24/10/2014, ha respinto il gravame proposto da (OMISSIS) e confermato – in parte qua – la sentenza in data 23/1/2012 con cui il G.U.P. del Tribunale di Saluzzo aveva dichiarato l’imputato responsabile dei reati di violenza sessuale, riqualificati i fatti contestati al capo a) dell’imputazione e ricondotti gli stessi all’ipotesi criminosa di cui all’articolo 609 bis codice penale, comma 3, e cessione di stupefacente di tipo hashish, ipotesi di lieve entita’, punibile ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, contestata al capo c), e con la continuazione, ha condannato il predetto alla pena – sospesa – di anni uno e mesi due di reclusione, nonche’ al risarcimento dei danni in favore della parte offesa, (OMISSIS), costituitasi parte civile, alla quale e’ stata anche liquidata una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 15.000.
All’ (OMISSIS) viene contestato di aver con violenza, consistita nel tirare i capelli alla vittima, nel tapparle la bocca con la mano, nell’avvolgerla strettamente nella coperta e nel tirarle con forza i capezzoli, introdotto ripetutamente le dita nell’ano e nella vagina della (OMISSIS), costringendola in tal modo a subire atti sessuali contro la sua volonta’, ed anche di aver ceduto alla donna stupefacente di tipo hashish, condotte tutte poste in essere tra 11 ed il 2 maggio del 2010, in una baita sita nel Comune di (OMISSIS), dove la parte offesa era stata condotta dall’imputato, conosciuto nei giorni precedenti.
L’ (OMISSIS) propone, tramite difensore fiduciario, ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi e conclude per l’annullamento della impugnata sentenza di appello, con ogni conseguente statuizione.
Con il primo motivo di doglianza, ai sensi dell’articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera b), c) ed e), si deduce, inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 120 codice procedura penale segg., articolo 609 bis codice procedura penale, articolo 609 septies codice procedura penale, commi 1 e 4, articoli 336 e 337 codice procedura penale, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla ritenuta esistenza della condizione di procedibilita’, per aver la Corte territoriale desunto la volonta’ della parte offesa di procedere penalmente nei confronti dell’imputato pur in assenza di una formale querela, in tal modo confondendo questo atto con la denuncia, non considerando cosi’ che per la querela si richiede un quid pluris consistente in una manifestazione di volonta’ chiara ed in equivoca. Si censura in ogni caso la decisione assunta dalla Corte territoriale di dare rilievo, senza pero’ motivare sul punto, alla connessione, ex articolo 609 septies codice penale, comma 4, tra il reato di violenza sessuale e quello di cui all’articolo 73 Testo Unico stupefacenti, contestato al capo c) della rubrica, che renderebbe il primo procedibile d’ufficio. Con il secondo motivo, ai sensi dell’articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera e), si deduce, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in ordine all’affermata responsabilita’ dell’ (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo 609 bis codice penale, commi 1 e 3, per aver la Corte territoriale confermato il giudizio di attendibilita’ della (OMISSIS), pur trattandosi di persona affetta da disturbi psichici, come acclarato nel corso delle indagini all’esito degli accertamenti tecnici disposti dal P.M., avendo il Giudice del gravame, in piu’ di un passaggio motivazionale della sentenza, integrato o interpretato il racconto della parte offesa, al fine di renderlo coerente ed immune da critiche, in tal modo conferendo attendibilita’ alle dichiarazioni accusatorie.
Con il terzo motivo, ai sensi dell’articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera b), c) ed e), si deduce, inosservanza ed erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73 e 75, nonche’ degli articoli 521 e 522 codice procedura penale, in ordine alla necessaria correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in ordine alla ritenuta responsabilita’ dell’imputato per la cessione alla donna di stupefacente di tipo hashish, in quanto la sentenza impugnata richiama per relationem la motivazione di quella di primo grado in cui si afferma che la (OMISSIS) aveva consumato insieme all’ (OMISSIS) la droga, sia nel pomeriggio del primo giorno di maggio, che -la notte successiva, quella in cui la donna aveva subito le violenze sessuali, laddove la contestazione riguarda invece un unico fatto, per quantitativo imprecisato. La sentenza, ad avviso del ricorrente, non tiene conto delle dichiarazioni rese dagli originari coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno negato di aver fatto uso di sostanze stupefacenti in occasione della “grigliata” del primo di maggio, nonche’ dei principi giurisprudenziali elaborati in materia di consumo di gruppo di stupefacenti.
Con il quarto motivo, ai sensi dell’articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera b), ed e), si deduce, inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 62 bis e 133 codice penale, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, per non avere la Corte territoriale dato conto del perche’ abbia svalutato il comportamento processuale dell’imputato che, seppur senza alcuna ammissione di responsabilita’, aveva contribuito alla ricostruzione dei fatti. Anche sul punto la Corte territoriale si sarebbe limitata a richiamare per relationem quanto riportato nella sentenza di primo grado.
Con il quinto motivo, ai sensi dell’articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera b), ed e), si deduce, inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 185 codice penale, comma 2, e articolo 539 codice procedura penale, comma 2, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, per avere la Corte territoriale confermato la condanna dell’imputato al pagamento, in favore della costituta parte civile, di una provvisionale di euro 15.000, oggetto di specifico motivo di gravame, senza dare conto dei criteri di liquidazione di un danno incerto e, allo stato degli atti, non esattamente quantificabile.
Con memoria difensiva depositata il 7/1/2016, la difesa della costituta parte civile ha illustrato le ragioni che militano a favore della declaratoria di inammissibilita’ ovvero per il rigetto dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ infondato.
L’ (OMISSIS) si duole, con il primo motivo di ricorso, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, per aver la Corte territoriale desunto la volonta’ della parte offesa di procedere penalmente nei confronti dell’imputato pur in assenza di una formale querela, essendosi la (OMISSIS) limitata a denunciare il fatto, e per aver dato anche rilievo alla connessione, ex articolo 609 septies codice penale, comma 4, tra il reato di violenza sessuale contestato al capo a) dell’imputazione e quello di cui all’articolo 73 Testo Unico stupefacenti, contestato al capo c), che rende il primo reato procedibile d’ufficio.
La Corte territoriale, nel ritenere adeguatamente manifestata la volonta’ di querelarsi della persona offesa, ha innanzitutto posto in evidenza l’irrilevanza della qualificazione di denuncia attribuita alle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) il 5, 7 e 21 maggio 2010, dapprima ai codice civile e successivamente al P.M., ed invece la inequivocita’ della intenzione manifestata dalla parte offesa proprio davanti a quest’ultimo, perche’ si procedesse penalmente nei confronti dell’autore della violenza sessuale superando ogni dubbio al riguardo, avendo in tal modo il Giudice di appello dimostrato di aver considerato la complessiva condotta posta in essere dalla persona offesa come indicativa della sua volonta’ di querelarsi, in tale contesto valorizzando il contenuto delle dichiarazioni stesse.
Le argomentazioni sviluppate sul punto dalla Corte del merito appaiono pienamente condivisibili, in quanto giuridicamente corrette ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte unanime nel ritenere che, ai fini della validita’ della querela, non sono richieste formule sacramentali, essendo sufficiente la inequivoca manifestazione di volonta’ di perseguire penalmente il soggetto indicato.
La verifica circa la volonta’ di querelarsi o meno costituisce giudizio di merito insindacabile in sede di legittimita’, sempreche’ l’interpretazione di tale volonta’, in tutti i suoi elementi, sia compiuta in conformita’ ai canoni logico-giuridici di ermeneutica, che nel caso in esame sono stati rispettati (Sez. 5 n. 8034 del 18/6/1999; Sez. 3 n. 14035 del 13/12/1986).
Ma la Corte territoriale ha indicato un ulteriore argomento per superare l’eccezione di improcedibilita’ dell’azione penale sollevata dalla difesa dell’imputato ed ha ritenuto di poter applicare l’articolo 609 septies codice penale, comma 4, n. 4, secondo cui il regime della procedibilita’ d’ufficio si estende al reato di violenza sessuale.
Si deve qui riaffermare il principio, presente in numerose pronunce di questa Corte, secondo cui in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilita’ d’ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall’articolo 609 septies codice penale, comma 4, n. 4, si verifica non solo quando vi e’ connessione in senso processuale (articolo 12 codice procedura penale), ma anche quando v’e’ connessione in senso materiale, cioe’ ogni qualvolta l’indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro, oppure l’uno per occultare l’altro, oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell’articolo 371 codice procedura penale, (Sez. 3, n. 2876 del 21/12/2006 dep. 25/1/2007, Rv. 236098, in un caso in cui, nell’affermare il principio, e’ stato peraltro specificato che presupposto della ricorrenza di una tale forma di connessione “investigativa” e’ l’avvio effettivo delle indagini in ordine al reato perseguibile di ufficio, Sez. 3, n. 32971 dell’8/7/2005, Rv. 232185, nonche’ Sez. 4 n. 13869 del 3/10/2000 dep. 5.4.2001, Rv. 219168).
Si e’ anche ribadito che la procedibilita’ d’ufficio per il delitto di violenza sessuale in caso di connessione – prevista dall’articolo 609 septies codice penale, – con altro delitto perseguibile d’ufficio, ricomprende, non soltanto quella teleologica o materiale, ma altresi’ qualsiasi ipotesi di connessione idonea a fare venire meno le esigenze di riservatezza collegate al reato di cui all’articolo 609 bis codice penale (Sez. 3, n. 47247 del 30/11/2005, Rv. 233016, Sez. 4, n. 2371 del 25/10/2000, Rv 218475), ed ancora, che i reati di violenza sessuale sono procedibili senza necessita’ di querela anche nell’ipotesi di collegamento investigativo rilevante a norma dell’articolo 371 codice procedura penale, comma 2, con altra fattispecie procedibile di ufficio, trattandosi di soluzione che non si fonda su di un’analogia “in malam partem”, ma di una interpretazione estensiva della situazione di connessione indicata dall’articolo 609 septies codice procedura penale, n. 4, giustificata dal venir meno, con l’avvio delle indagini sul reato collegato, delle esigenze di riservatezza della persona offesa (Sez. 3, n. 2856 del 16/10/2013, dep. il 22/01/2014, Rv. 258583).
Nel caso che ci occupa, i fatti di violenza sessuale e quelli di ripetute cessione di stupefacente, appaiono ictu oculi intimamente legati tra loro, in guisa tale da non potersi conoscere di quello perseguibile d’ufficio senza svelare la condotta integratrice dell’altro, all’uopo considerando che nei pantaloni precipitosamente indossati dalla (OMISSIS), allorche’ si era data alla fuga dopo la violenza subita, ma appartenenti all’ (OMISSIS), vennero rinvenuti i gr. 4,5 di hashish, e che la donna aveva riferito agli inquirenti di come l’imputato le avesse fatto piu’ volte consumare lo stupefacente per farla “rilassare”, per farla “dormire meglio”.
Passando all’esame del secondo motivo di doglianza, le deduzioni della difesa dell’ (OMISSIS) si incentrano essenzialmente sul giudizio di attendibilita’ della (OMISSIS), in quanto persona affetta da disturbi psichici, ma le dettagliate e scrupolose sentenze della Corte di Appello di Torino e del Tribunale di Saluzzo, che concordano pienamente nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni – sicche’ la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico e complesso corpo argomentativo (Sez. 4, n. 2008 del 17/9/2008, Rv. 38824, Sez. 1, n. 8868 del 26/6/2000, Rv. 216906) – lasciano ben poco spazio a censure di vizio di motivazione.
Giova innanzitutto considerare, tenuto conto del nucleo essenziale delle doglianze difensive appuntate su un preteso vizio motivazionale, che la verifica dell’attendibilita’ delle dichiarazioni rese dalla persona offesa asseritamente abusata, e’ rimessa alla prudente valutazione del giudice del merito.
In tal caso, i limiti del sindacato di legittimita’ di questa Corte sono ancor piu’ stringenti, in ragione dell’ampio margine di apprezzamento di tali dichiarazioni che ha il giudice di merito, peraltro maggiormente vicino alle fonti di prova ed in grado di valutarle. Giova poi ricordare che alla Corte di legittimita’ non e’ rimesso affatto un giudizio sul dissenso, pur motivato, del ricorrente in ordine al risultato del procedimento valutativo operato dal giudice di merito.
Il ricorrente che argomenta in ordine all’attendibilita’ o inattendibilita’ della persona offesa asseritamente abusata, si colloca fuori dallo schema del giudizio di legittimita’ ed invoca inammissibilmente un ulteriore grado di merito.
Oggetto della censura deve essere invece l’iter motivazionale e la connessione logica delle argomentazioni della sentenza impugnata, e cio’ implica l’individuazione di un “passaggio motivazionale” – id est la concatenazione di due o piu’ affermazioni – secondo un connettivo di vario genere (d’inferenza, di conseguenzialita’, di analogia, di continenza) che il ricorrente censura perche’ – a suo avviso – Illogico o contraddittorio, utilizzando a tal fine anche “atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, ovvero anche soltanto l’isolamento di un’affermazione della sentenza impugnata che, in quanto meramente assertiva, risulti non porsi in connessione logica nel tessuto argomentativo della motivazione e che da adito ad una censura di mancanza di motivazione (Sez. 3, n. 39129 dell’11/6/2014, P.F. ed altri, non massimata).
Di conseguenza, non e’ sufficiente, per invocare il nuovo vizio motivazionale, che alcuni atti del procedimento siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione diversa, in tesi piu’ persuasiva di quella operata nel provvedimento impugnato, occorre invece che le prove, che il ricorrente segnala a sostegno del suo assunto, siano decisive e dotate di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento svolto dal giudice, si’ da rendere illogica o contraddittoria la motivazione.
Tutto cio’ premesso, con riferimento alla vicenda processuale in esame, deve osservarsi che le doglianze difensive ripercorrono, senza apprezzabili elementi di novita’, le censure gia’ espresse nei motivi di appello e senza nemmeno tenere conto delle puntuali argomentazioni espresse dalla Corte territoriale che non si e’ sottratta ad un vaglio, necessariamente rigoroso, detta attendibilita’ della denunciante, proprio in ragione del diagnosticato disturbo della personalita’ (“la forte suggestionabilita’, l’alternanza tra idealizzazione e svalutazione nelle relazioni affettive, la tendenza alla sdrammatizzazione ed alla vittimizzazione”).
Ma il Giudice del gravame ha sottolineato che il disturbo della personalita’ e le denunciate incoerenze nella narrazione della parte offesa non inficiano l’intrinseca veridicita’ delle accuse, stante l’assenza di particolari forme patologiche o psicotiche, ed ha dato rilievo invece ai numerosi dettagli forniti dalla donna, anche in sede di incidente probatorio, circa lo sviluppo delle avances dell’ (OMISSIS), lasciato solo dai suoi amici con la (OMISSIS) nella baita sita nel Comune di (OMISSIS), la descrizione degli atti subiti nel corso della notte e sino al mattino successivo, ricostruiti secondo un racconto logico e credibile, tutti ossessivamente finalizzati a fiaccare la resistenza della vittima. Sicche’ talune incongruenze, come rilevato dai giudici di merito, non risultano avere particolare incidenza sul nucleo centrale della vicenda, che costituisce il fondamento degli addebiti mossi all’imputato, e non rendono inaffidabile la parte offesa proprio perche’ si spiegano logicamente con la sua personalita’.
Il procedimento valutativo delle risultanze processuali operato dai giudici di primo e secondo grado converge verso un giudizio unitario di attendibilita’ della teste, che mantiene ben distinta la questione della attendibilita’ della deposizione, da quella della verifica dell’idoneita’ mentale della teste che l’ha resa, in quanto una cosa e’ l’accertamento se la teste fosse nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in suo pregiudizio ed in grado quindi di riferire sugli stessi senza che la sua testimonianza potesse essere influenzata da eventuali alterazioni psichiche, valutazione demandabile al perito, altra cosa e’ la valutazione della sua attendibilita’, avuto anche riguardo all’essenza di moventi calunniatori, accertamento riservato al giudice (Sez. 3, n. 24264 del 27/05/2010 – dep. 24/06/2010, Rv. 247703).
Come piu’ volte affermato da questa Corte, le dichiarazioni della persona offesa possono essere assunte anche da sole come fonte di prova, ove sottoposte ad un vaglio positivo di credibilita’ oggettiva e soggettiva, e non sussistano elementi, anche solo indiziari, di segno opposto che possano indurre a dubitare dell’attendibilita’ di tali dichiarazioni, nel qual caso il giudice di merito e’ chiamato a valutarli criticamente e ad esprimere la ragione del suo convincimento (ex plurimis, Sez. 4, 21/6/2005, Poggi).
Le Sezioni Unite di questa Corte, hanno anche chiarito che le regole dettate dall’articolo 192 codice procedura penale, comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/201, dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
La Corte territoriale nel caso di specie ha provveduto anche a ricercare precisi riscontri alle dichiarazione rese dalla (OMISSIS) che ha tratto dall’esito degli accertamenti ginecologici (“edema ed escoriazioni vulvari da presumibile trauma da sfregamento”), dai dolori alle parti intime riferiti dalla donna allorche’ si era presentata, sconvolta e piangente, presso l’abitazione del (OMISSIS), come dal medesimo dichiarato, apparendo la diversa eziologia delle lesioni indicata dalla difesa dell’imputato, ipotesi congetturale, priva di alcuna scientifica verosimiglianza, dalle dichiarazioni rese ai medici del Pronto Soccorso “in stato di agitazione e spavento” circa la violenza subita, elementi tutti che non trovano altra plausibile spiegazione se non nel fatto che la donna aveva subito un grave trauma psichico. Lo stesso comportamento tenuto dall’ (OMISSIS) ed il notevole ritardo con il quale lo stesso aveva cercato di rintracciare la vittima, dopo la consumazione della violenza sessuale, e’ stato valutato dalla Corte territoriale come ulteriore conferma della genuinita’ delle accuse.
Anche il terzo motivo di doglianza va disatteso in quanto l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato per la cessione alla donna di sostanza stupefacente di tipo hashish riposa su sicuri elementi probatori che, per quanto si legge nella impugnata sentenza, consistono nelle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS), non smentite dalla analisi di laboratorio cui la stessa e’ stata sottoposta, che hanno trovato riscontro nel ritrovamento della droga anche nell’abitazione dell’imputato, come da indicazioni fornite dalla donna agli inquirenti, sicche’ poco rilievo e’ stato attribuito alle diverse dichiarazioni rese sul punto dai coimputati.
E’ appena il caso di osservare che per unanime giurisprudenza di questa Corte deve ritenersi pienamente ammissibile la motivazione di appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, soprattutto allorquando le censure formulate contro la decisione non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli gia’ esaminati e disattesi 8ex multis, Sez. 2, n. 34891 del 16/5/2013, Rv. 256096, Sez. 3, n. 13926 dell’1/12/2011, dep. 12/4/2012, Rv. 252615), che non e’ ravvisabile alcun difetto di correlazione tra capo d’imputazione contestata e sentenza, perche’ la contestazione “in fatto” ha sempre consentito all’imputato di difendersi (Sez. U. n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051), che nessun concreto pregiudizio l’odierno ricorrente puo’ lamentare in ragione del “minimo” aumento di pena applicato a titolo di continuazione per il reato di cui al capo C), che non richiede una specifica motivazione (Sez. 2, n. 2501 del 5/2/1992, Rv. 189295).
Per quanto concerne il quarto motivo di doglianza, che pure va disatteso, la Corte territoriale, facendo proprie le valutazioni del primo Giudice, ha confermato il diniego di concessione delle attenuanti generiche, in considerazione del negativo comportamento processuale tenuto dall’imputato.
Questa Corte ha in piu’ occasioni ribadito che la concessione delle attenuanti di cui all’articolo 62 bis codice penale, ha carattere facoltativo o discrezionale, in quanto rimessa al prudente apprezzamento del giudice, e che ai fini della concessione o del beneficio il giudice puo’ limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 codice penale, quello che ritiene prevalente ed atto a determinarne o meno il riconoscimento, sicche’ anche un solo elemento, attinente alla personalita’ del colpevole o all’entita’ del reato ed alle modalita’ di esecuzione di esso, puo’ essere ai fini qui considerati sufficiente (Sez. 2, n. 3609 del 18/11/2011, Rv. 2491-63, Sez. 6, n. 4/12/2003, dep. 23/2/2004, Rv. 229768).
Quanto al quinto ed ultimo motivo di ricorso, va osservato che la Corte territoriale ha correttamente confermato la disposta condanna dell’ (OMISSIS) al pagamento in favore della costituta parte civile di una provvisionale di euro 15.000, stante il disposto di cui all’articolo 539 codice procedura penale, comma 2, che consente la condanna dell’imputato al pagamento di una provvisionale nei limiti del danno per cui il giudice ritiene gia’ raggiunta la prova, che e’ applicabile anche al danno non patrimoniale sofferto dalla parte offesa.
Del resto, il pregiudizio psicofisico, in mancanza di un accertamento medico legale, ben si presta ad una liquidazione equitativa, criterio che di per se’ non sembra specificamente investito dalla censura del ricorrente, e comunque la determinazione della posta risarcitoria rientra tra i compiti attribuiti al giudice del merito (Sez. 5, n. 38948 del 27/10/2006, Rv. 235024).
In applicazione dell’articolo 616 codice procedura penale, al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile (OMISSIS), che liquida in euro 2.500,00, oltre spese generali ed accessori di legge.
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