Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 15 aprile 2015, n. 15449

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio Felice – Presidente

Dott. GRILLO Renato – Consigliere

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1451/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 30/05/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/04/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SALZANO F. che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 30/5/2013 ha confermato la decisione con la quale, in data 16/5/2012, il Tribunale di quella citta’ aveva riconosciuto (OMISSIS) responsabile del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, perche’, quale liquidatore della ” (OMISSIS) s.a.s.”, al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, per l’importo complessivo di euro 466.953,95, costituiva fraudolentemente un trust con il fine di rendere inefficace, in tutto o in parte, la procedura di riscossione coattiva (reato commesso in (OMISSIS), data di costituzione del trust. Con la recidiva).

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, ponendo in evidenza la piena legittimita’ del trust liquidatorio e della conseguente segregazione dei beni, facendo osservare che la coincidenza tra disponente e trustee sarebbe irrilevante, operando questi al fine di soddisfare i beneficiari.

Rileva, inoltre, come nessuna disposizione imponga al liquidatore le modalita’ di svolgimento della liquidazione e che la scelta del trust, nel suo caso, sarebbe stata effettuata al fine di un piu’ efficace conseguimento degli obiettivi propri della procedura liquidatoria, tanto che, come gia’ evidenziato in una memoria prodotta nel corso del giudizio, l’indicazione dei beneficiari del trust riguarda la massa dei creditori della societa’ in liquidazione, tra i quali figura anche l’Agenzia delle entrate.

Aggiunge che la sentenza impugnata non avrebbe indicato quali siano state le finalita’ illecite perseguite mediante la costituzione del trust e che la finalita’ liquidatoria del trust, che la Corte territoriale avrebbe indicato come mai comunicata ai creditori sociali, sarebbe stata comunque conoscibile tramite la Conservatoria dei Registri Immobiliari.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che la pubblica accusa non avrebbe dimostrato la capienza di due immobili, facenti parte del patrimonio societario, a soddisfare le ragioni di credito dell’erario nonostante l’esistenza di iscrizioni ipotecarie in favore di una banca.

4. Con un terzo motivo di ricorso rileva i medesimi vizi laddove il provvedimento impugnato motiva il trattamento sanzionatorio in relazione all’entita’ dell’importo evaso, dato che non era stato oggetto di cognizione del giudice dell’appello e rispetto al quale assumerebbe comunque rilevanza l’esito assolutorio di altro giudizio, concernente i “reati presupposto”.

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

5. Con memoria depositata il 18/3/2015 fa inoltre presente di aver depositato nei termini, presso il medesimo ufficio del Tribunale di Milano ove era stato presentato il ricorso per cassazione, motivi nuovi che, pero’, quell’ufficio non ha mai inoltrato, come ha appreso nella precedente udienza del 29/10/2014.

Evidenziando l’ammissibilita’ del deposito con le modalita’ descritte, richiede comunque che sia ammessa la produzione dei documenti allegati ai motivi, che non ha potuto esibire nei precedenti gradi del giudizio.

All’odierna udienza il difensore del ricorrente ha richiesto escludersi la punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto ai sensi dell’articolo 131-bis cod. pen., introdotto dal Decreto Legislativo n. 28 del 2015 in quanto ius superveniens.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.

Il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11 sanziona, come e’ noto, chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000,00 euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

La giurisprudenza di questa Corte ha, nel tempo, chiarito che, ai fini della configurabilita’ del reato, si richiede esclusivamente che l’atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del credito tributario, non essendo necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto (Sez. 3, n. 39079 del 9/4/2013, Barei e altro, Rv. 256376; Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970; Sez. 5, n. 7916 del 10/1/2007, Cutillo, Rv. 236053), con la conseguenza che, sotto il profilo psicologico, deve sussistere il dolo specifico, rappresentato dal fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario e, sotto il profilo materiale, deve porsi in essere una condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva, la quale non configura un presupposto della condotta, in quanto e’ prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare (Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970, cit.).

L’oggetto giuridico del reato in esame non e’, pertanto, il diritto di credito del fisco, bensi’ la garanzia generica data dai beni dell’obbligato, cosicche’ esso puo’ configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori (Sez. 3, n. 36290 del 18/5/2011, Cualbu, Rv. 251077).

Si tratta, dunque, di un reato di pericolo, rispetto al quale la condotta penalmente rilevante puo’ essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacita’ patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto od in parte, o comunque rendere piu’ difficile, una eventuale procedura esecutiva (cosi’ Sez. 3, n. 39079 del 9/4/2013, Barei e altro, Rv. 256376, cit.).

Si e’ ulteriormente rilevato, considerando il tenore del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, che esso contempla, oltre alla alienazione simulata, il generico richiamo ad altri atti la cui connotazione comune e’ data dal loro carattere fraudolento, da intendersi come comportamento che, sebbene formalmente lecito – come peraltro lo e’ l’alienazione di un bene – sia pero’ caratterizzato da una componente di artificio o di inganno (Sez. 3, n. 25677 del 16/5/2012, Caneva e altro, Rv. 252996).

Si e’ conseguentemente ritenuto configurato il reato in esame in ipotesi di cessione simulata dell’avviamento commerciale (Sez. 3, n. 37389 del 16/5/2013, P.M. in proc. Ravera, Rv. 257589), cessione di immobili e quote sociali alla convivente da parte di un commercialista (Sez. 3, n. 39079 del 9/4/2013, Barei e altro, Rv. 256376, cit), pluralita’ di trasferimenti immobiliari (Sez. 3, n. 19524 del 4/4/2013, Antonini, Rv. 255900), costituzione di un fondo patrimoniale ex articolo 167 cod. civ. (Sez. 3, n. 40561 del 4/4/2012, Soldera, Rv. 253400), messa in atto, da parte degli amministratori, di piu’ operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili (Sez. 3, n. 19595 del 9/2/2011, Vichi, Rv. 250471), vendita simulata mediante stipula di un apparente contratto di “sale and lease back” (Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970, cit.).

2. Considerati, dunque, i principi dianzi richiamati e venendo all’esame del primo motivo di ricorso, deve rilevarsi che, nella fattispecie, la legittimita’ della costituzione del trust, argomento diffusamente trattato in ricorso, non e’ stata minimamente posta in dubbio dai giudici del merito, i quali, invece, hanno posto in evidenza lo scopo fraudolento della costituzione medesima e la finalita’ unica di sottrarre il patrimonio del contribuente alla procedura coattiva.

Ricorda la sentenza impugnata, nel ricostruire la vicenda processuale, che la societa’, della quale l’imputato e’ socio accomandatario e liquidatore, risultava debitrice verso l’erario della somma indicata nell’imputazione, riguardante le annualita’ 2001/2005 e per le quali erano state nel tempo notificate diverse cartelle esattoriali, l’ultima delle quali il 18/4/2009, tanto che il successivo 3/9/2009 veniva effettuata una iscrizione ipotecaria sugli unici immobili della societa’ per una somma pari ad euro 1.151.828,52, comprensiva di sanzioni di mora.

L’ipoteca veniva successivamente cancellata quando, a seguito di ricorso alla Commissione Tributaria, l’imputato documentava l’alienazione degli immobili in data anteriore all’iscrizione ipotecaria, il (OMISSIS), a soggetto terzo.

Era poi risultato che, attraverso l’istituzione di un trust, l’imputato, quale liquidatore della societa’, aveva trasferito a se stesso, quale trustee, l’intero patrimonio attivo e passivo della societa’ medesima, con lo scopo evidente di sottrarre i suoi beni alla procedura di riscossione coattiva delle imposte.

3. Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, il provvedimento impugnato ha effettuato una valutazione delle emergenze processuali che risulta adeguata e corretta, indicando in maniera esaustiva sulla base di quali dati fattuali doveva ritenersi dimostrata la natura fraudolenta della costituzione del trust.

Osserva la Corte territoriale che l’operazione effettuata ha comportato, quale unica conseguenza, la sottrazione del patrimonio societario ad eventuali azioni dell’erario finalizzate alla riscossione delle imposte, rilevando come disponente e trustee coincidessero con la medesima persona (l’imputato) e che la dichiarata finalita’ liquidatoria indicata nell’atto costitutivo del trust non risultava mai comunicata a i creditori sociali, ne’ emergeva che tale adempimento fosse comunque previsto, rilevando altresi’ la sostanziale inutilita’ della costituzione del trust per le finalita’ indicate, ben potendo i creditori, in caso di liquidazione, vedere soddisfatti i propri crediti senza problemi di priorita’ temporale quando il patrimonio sociale sia sufficiente a tale scopo, ovvero, in caso di insufficienza, fare ricorso al concordato preventivo o alle altre procedure concorsuali di tipo fallimentare.

Rilevano inoltre i giudici del merito l’inesistenza di qualsivoglia elemento atto a dimostrare la effettiva e concreta utilizzazione del trust per soddisfare i creditori della societa’ ed, in particolare, l’effettuazione, anche parziale, di versamenti all’erario delle somme dovute.

4. Si tratta di argomentazioni stringenti, prive di cedimenti logici o manifeste contraddizioni che indicano come inequivocabilmente accertata in fatto la unica finalita’ della costituzione del trust, che i giudici del merito correttamente individuano nella sottrazione del patrimonio al fisco.

A fronte di cio’, il ricorrente oppone censure che, al di la’ dei richiami alla disciplina generale dell’istituto utilizzato per porre in essere la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, si risolvono nella contestazione dell’apparato motivazionale del provvedimento impugnato mediante la prospettazione di una personale valutazione degli elementi fattuali valutati dai giudici del merito, che non puo’ avere ingresso in questa sede di legittimita’.

Si tratta poi, in sostanza, di una ricostruzione alternativa della vicenda processuale che risulta smentita da quanto illustrato dai giudici del gravame, i quali, come si e’ detto, hanno puntualmente spiegato come risultasse del tutto indimostrata la dichiara finalita’ di un piu’ efficace conseguimento degli obiettivi propri della procedura liquidatoria attraverso la costituzione del trust, stante l’assenza di qualsivoglia comunicazione in tal senso ai creditori e, sopratutto, l’assenza di comportamenti concludenti, ivi compreso il pagamento anche parziale delle somme dovute all’erario.

5. La motivazione della sentenza impugnata, inoltre, pone in evidenza anche la sussistenza del dolo specifico richiesto per la configurabilita’ del reato oggetto di imputazione.

Esso si rinviene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella volonta’ dell’agente di sottrarsi al pagamento delle imposte che superino la soglia prevista e richiede la dimostrazione della strumentalizzazione della causa tipica negoziale o l’abuso dello strumento giuridico utilizzato (v. Sez. 3, n. 40561 del 4/4/2012, Soldera, Rv. 253400, cit.).

La sussistenza dell’elemento soggettivo, pertanto, ben puo’ essere rinvenuta anche quando, come nel caso in esame, a fronte della piena conoscenza del debito tributario, il ricorso ad attivita’ formalmente lecite abbia quale unica concreta conseguenza quella di impedire la riscossione fiscale, difettando ogni altro dato dimostrativo della effettiva volonta’ di perseguire le finalita’ proprie dello strumento giuridico cui si e’ fatto ricorso.

6. Quanto al secondo motivo di ricorso deve rilevarsi che i giudici dell’appello, dando atto di aver preso cognizione della documentazione prodotta dalla difesa, rilevano come la dichiarata sostanziale equivalenza tra valore commerciale dei beni ipotecati ed importo del debito verso la banca non risulti dimostrata.

La Corte territoriale evidenzia anzi come una simile circostanza si ponga in contraddizione rispetto alle finalita’ di tutela dei creditori che, secondo il ricorrente, avrebbero giustificato il ricorso al trust.

I giudici del merito hanno quindi fornito risposta alla censura difensiva e le conclusioni cui sono pervenuti, costituendo un accertamento in fatto, restano estranee al presente giudizio di legittimita’.

7. Parimenti infondato risulta il terzo motivo di ricorso.

Nella determinazione del trattamento sanzionatorio, osserva la Corte territoriale, si e’ tenuto conto, nell’escludere il riconoscimento delle attenuanti generiche, di un precedente per bancarotta, dell’assenza di attivita’ risarcitoria, di segnali di ravvedimento e di altri elementi positivi di valutazione, considerando anche l’importo del tributo evaso.

Non rileva, con riferimento a tale ultimo elemento, l’intervenuta assoluzione in altro processo concernente quelli che vengono indicati come “reati presupposto”, in quanto la Corte territoriale ed il Tribunale hanno tenuto conto (peraltro non esclusivamente, come si e’ appena visto), ai fini della quantificazione della pena, dell’importo del tributo evaso, senza alcun riferimento alle condotte oggetto di contestazione nell’altro procedimento.

Tale importo, peraltro, e’ quello indicato nel capo di imputazione e che risulta sottratto alla procedura di riscossione coattiva mediante la costituzione del trust, che poteva certamente essere considerato dai giudici del merito per valutare la gravita’ della condotta posta in essere dall’imputato.

8. Quanto ai motivi nuovi, osserva il Collegio che, secondo un consolidato indirizzo assolutamente prevalente (recentemente confermato da Sez. 2, n. 1381 del 12/12/2014 (dep. 14/1/2015), Tomaino e altri, Rv. 261862; Sez. 5, n. 7449 del 16/10/2013 (dep. 17/2/2014), Casarubea, Rv. 259526; Sez. 1, n. 44324 del 18/4/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, Rv. 258319) rispetto all’isolato precedente citato dal ricorrente (Sez. 6, n. 46823 del 15/11/2005, Tramonte ed altro, Rv. 232533) ed al quale intende dare continuita’, sono inammissibili i motivi aggiunti al ricorso per cassazione depositati nella cancelleria del giudice “a quo” anziche’ in quella della Suprema Corte ed ivi pervenuti oltre il termine di quindici giorni prima dell’udienza, in quanto alla specifica disposizione di cui all’articolo 585 c.p.p., comma 4, non si puo’ derogare con applicazione analogica delle modalita’ di presentazione ex articolo 582 cod. proc. pen. o di spedizione ex articolo 583 c.p.p., comma 1.

Neppure risulta ammissibile, inoltre, la produzione documentale, parte della quale gia’ allegata al ricorso, in quanto, avuto riguardo alla natura del reato meglio descritta in precedenza, essa risulta del tutto ininfluente ai fini del giudizio di legittimita’.

9. Resta da esaminare la questione, sollevata in udienza, dell’applicabilita’, nella fattispecie, della causa di non punibilita’ ora prevista dall’articolo 131-bis cod. pen., introdotto dal Decreto Legislativo n. 28 del 2015.

Il menzionato decreto legislativo non prevede una disciplina transitoria, cosicche’ va preliminarmente verificata la possibilita’ di applicare la nuova disposizione anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore.

La natura sostanziale dell’istituto di nuova introduzione induce ad una risposta positiva, con conseguente retroattivita’ della legge piu’ favorevole, secondo quanto stabilito dall’articolo 2 c.p., comma 4.

Puo’ anche ritenersi che la questione della particolare tenuita’ del fatto sia proponibile anche nel giudizio di legittimita’, tenendo conto di quanto disposto dall’articolo 609 c.p.p., comma 2, trattandosi di questione che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.

L’applicabilita’ dell’articolo 131-bis cod. pen. presuppone, tuttavia, valutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei soggetti interessati.

Da cio’ consegue che, nel giudizio di legittimita’, dovra’ preventivamente verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilita’ del nuovo istituto, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinche’ valuti se dichiarare il fatto non punibile.

10. Dovendosi quindi procedere a tale apprezzamento, rileva il Collegio che l’articolo 131-bis c.p., comma 1 delinea preliminarmente il suo ambito di applicazione ai soli reati per i quali e’ prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena.

I criteri di determinazione della pena sono indicati dal comma 4, il quale precisa che non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In tale ultimo caso non si tiene conto del giudizio di bilanciamento di cui all’articolo 69. Il comma 5, inoltre, chiarisce che la non punibilita’ si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuita’ del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

La rispondenza ai limiti di pena rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l’esclusione della punibilita’, che infatti richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuita’ dell’offesa e la non abitualita’ del comportamento.

Il primo degli “indici-criteri” (cosi’ li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo) appena indicati (particolare tenuita’ dell’offesa) si articola, a sua volta, in due “indici-requisiti” (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la modalita’ della condotta e l’esiguita’ del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalita’ dell’azione, gravita’ del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensita’ del dolo o grado della colpa).

Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due “indici-requisiti” della modalita’ della condotta e dell’esiguita’ del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’articolo 133 c.p., comma 1, sussista l'”indice-criterio” della particolare tenuita’ dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualita’ del comportamento. Solo in questo caso si potra’ considerare il fatto di particolare tenuita’ ed escluderne, conseguentemente, la punibilita’.

11. Date tali premesse, va rilevato, procedendo alla preliminare verifica della possibile sussistenza delle condizioni di applicabilita’ dell’articolo 131-bis cod. pen. al caso in esame, che il reato contestato al ricorrente e’ quello previsto e sanzionato dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, commesso il (OMISSIS), data di costituzione del trust, cosicche’, avuto riguardo alla pena prevista dalla menzionata disposizione nella formulazione vigente all’epoca dei fatti (prima dell’intervento modificativo ad opera del Decreto Legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122 la sanzione era quella della reclusione da sei mesi a quattro anni) i limiti di pena indicati dall’articolo 131-bis c.p., comma 1 non risultano superati.

Va quindi accertata la sussistenza delle ulteriori condizioni di legge per l’esclusione della punibilita’.

Nel l’effettua re tale apprezzamento, il giudice di legittimita’ non potra’ che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito tenendo conto, in modo particolare, della eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi gia’ espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuita’ del fatto, riguardando, la non punibilita’, soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di cosi’ modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale.

12. Alla luce di tali considerazioni, rileva il Collegio che, nel provvedimento impugnato, emergono plurimi dati chiaramente indicativi di un apprezzamento sulla gravita’ dei fatti addebitati all’odierno ricorrente che consentono di ritenere non astrattamente configurabili i presupposti per la richiesta applicazione dell’articolo 131-bis cod. pen..

Invero, la Corte territoriale, come si e’ gia’ detto, ha ritenuto pienamente giustificata l’irrogazione di una pena in misura superiore al minimo ed il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la non reiterazione dei benefici di legge, operando quindi una valutazione che esclude a priori ogni successiva valutazione in termini di particolare tenuita’ dell’offesa.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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