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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 14 aprile 2015, n. 15247

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo – Presidente

Dott. FRANCO Amedeo – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS) (posizione stralciata);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 10958/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del 16/04/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito D’Ambrosio, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi proposti nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS);

Uditi i difensori Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), che hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi, con effetto estensivo per la pena anche quanto al ricorrente (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. Gli odierni ricorrenti venivano sottoposti a giudizio per rispondere:

A) (OMISSIS) (la cui posizione, come poi si dira’, e’ stata stralciata), (OMISSIS), (OMISSIS):

Del delitto p. e p. dall’articolo 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 1 bis, e articolo 80, perche’, illegalmente detenevano, presso l’appartamento in cui convivono (OMISSIS) e (OMISSIS), sito in (OMISSIS), al di fuori dalle ipotesi previste dall’articolo 75 della stessa Legge, sostanza stupefacente del tipo hashish per un peso complessivo circa di circa 100 Kg. (grammi 79979,21 lordi + gr. 19987,44 lordi) divisa in blocchi da 0,5 kg cadauno e nr. 2 sacchetti di colore trasparente contenenti confezioni ovoidali di sostanza stupefacente della medesima natura per un peso complessivo di kg 2 circa (gr. 2014,94) di cui cedevano kg 20,00 circa (gr. 19987,44 lordi) suddivisa in blocchi da kg 0.5 cadauno (costituito a sua volta da P11″. 5 panetti) a (OMISSIS). Con la recidiva specifica e reiterata per (OMISSIS); recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale per (OMISSIS), recidiva specifica per (OMISSIS). Fatti commessi in (OMISSIS).

B) (OMISSIS) (non ricorrente, imputazione che si richiama in relazione alla posizione di (OMISSIS)):

Del delitto p. e p. dall’articolo 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 1 bis, perche’ illegalmente deteneva, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 75 della stessa legge, sostanza stupefacente del tipo hashish, per un peso complessivo pari a kg. 20,00 (gr. 19987,44 lordi) circa suddivisa in blocchi da kg. 0,5 cadauno (costituito a sua volta da nr. 5 panetti) che riceveva da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Con la recidiva reiterata ed infraquinquennale per (OMISSIS). In (OMISSIS).

Il GUP del Tribunale di Roma, all’esito di giudizio abbreviato, con sentenza del 22.5.2013 dichiarava (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli idei reati loro rispettivamente ascritti, esclusa per il (OMISSIS) l’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, (in quanto per lui la responsabilita’ veniva limitata ai soli 20 kg. di hashish di cui sopra) e, con la diminuente per la scelta del rito, condannava: (OMISSIS) alla pena di anni 10 di reclusione ed euro 80.000 di multa: (OMISSIS) alla pena di anni 9 di reclusione ed euro 60.000 di multa: (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione ed euro 40.000 di multa ciascuno; tutti gli imputati venivano inoltre condannati alle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai PP.UU. e dell’interdizione legale per la durata delle rispettive pene e, in solido, al pagamento delle spese processuali, nonche’, ciascuno, al pagamento di quelle di custodia cautelare. Ordinava la confisca dei beni mobili ed immobili in sequestro.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 16.4.2014, in riforma della sentenza di primo grado, esclusa per (OMISSIS) la contestata recidiva, determinava la pena per il predetto e per (OMISSIS) in anni cinque, mesi sei, giorni venti di reclusione ed euro 20.000,00 di multa ciascuno e per (OMISSIS) e (OMISSIS) in anni due, mesi quattro di reclusione ed euro 6.000,00 di multa ciascuno; revocava nei confronti del (OMISSIS) e del (OMISSIS) le pene accessorie applicate in primo grado; confermava nel resto.

2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia – oltre a (OMISSIS) la cui posizione e’ stata stralciata – deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

– (OMISSIS):

a. Omessa e contraddittoria motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ex articolo 62 bis. c.p..

Il ricorrente si duole che a fronte delle osservazioni contenute nell’atto di appello, nel quale si evidenziava come egli fosse meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche, per via del ruolo minore rivestito di custode, del buon comportamento processuale, dell’arco di tempo ristretto in cui si era esaurita la condotta criminosa, della correttissima condotta post delictum che lo aveva visto reinserirsi progressivamente nell’attivita’ lavorativa che svolge con straordinaria diligenza e per la dimostrata occasionalita’ del fatto, dovuto ad una momentanea difficolta’ economica per far fronte all’imminente matrimonio, il giudice di appello avrebbe valorizzato solo quegli elementi di cui ha scritto, duplicandone, se non triplicandone, il significato negativo ai fini della pena.

b. Omessa motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), in ordine alla dosimetria della pena.

Ci si duole che la Corte territoriale, nel momento in cui ha adeguato la sanzione all’intervento della Corte Costituzionale, non abbia dato conto di perche’, a differenza del giudice di prime cure, si sia mossa partendo da una pena base prossima al massimo edittale, laddove in precedenza era stata irrogato una pena prossima al minimo.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

In data 18.2.2015 sono stati poi depositati motivi aggiunti con cuti si duole che la Corte territoriale abbia finito per violare il divieto della reformatio in peius, in assenza di appello della parte pubblica, per due ordini di ragioni.

La prima e’ che, nel momento in cui ha applicato l’articolo 63 c.p., comma 4, ha operato un aumento di 2/3 della pena per la contestata recidiva. Cio’ a fronte di un primo giudice che aveva operato un aumento di 1/3 della pena per la contestata circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, ed un ulteriore aumento della meta’ per la recidiva.

In secondo luogo, richiamato e allegato il precedente di merito costituito dall’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione di Bologna del 27.5.2014 che applica un criterio aritmetico – proporzionalistico nella rideterminazione della pena per fatti relativi a “droghe leggere” giudicati sotto la vigenza della Legge Fini-Giovanardi dichiarata illegittima (individuando secondo il ricorrente un meccanismo idoneo a garantire a ciascun condannato una rideterminazione di carattere proporzionale della pena) e il precedente costituito dalla sentenza 15157/2014 della 6 Sezione di questa Corte di Cassazione, chiede che, nel caso in cui non venga accolta la domanda principale, questa Corte gli ricalcoli la pena secondo tale criterio.

– (OMISSIS) censura la sentenza impugnata con un unico motivo:

– articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione al travisamento delle emergenze processuali poste a fondamento della sentenza.

Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe eccessivamente valorizzato la sua presenza sui luoghi dove e’ stato commesso il delitto di cui all’imputazione, laddove invece, la stessa andava diversamente spiegata.

Gia’ il gip, peraltro, non avrebbe mai sciolto il nodo posto dalla difesa circa l’assenza di fatti univoci su cui affermare il concorso nel reato, al di la’ della mera presenza passiva, quanto alla detenzione illecita.

Si contesta, in particolar modo, quanto affermato dalla Corte territoriale alle pagg. 5, 8 e 9 della motivazione per affermare la responsabilita’ del (OMISSIS).

Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va evidenziato, in via preliminare, che all’odierna udienza la posizione processuale del ricorrente (OMISSIS), non opponendosi il P.G., e’ stata separata, con formazione di autonomo fascicolo processuale rinviato a nuovo ruolo, sull’eccezione proposta dal difensore presente, avv. (OMISSIS), in ordine al mancato avviso al codifensore avv. (OMISSIS).

L’esame degli atti e dei verbali di causa, ha consentito, infatti, di verificare che, in ultimo all’udienza del 16.4.2014, l’imputato detenuto (OMISSIS) aveva confermato a verbale che i propri difensori erano gli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), con revoca di ogni altra nomina.

All’avv. (OMISSIS), pertanto, ancorche’ erroneamente non indicato quale difensore del (OMISSIS) nell’intestazione dell’impugnata sentenza, competeva l’avviso per l’udienza dinanzi a questa Corte.

2. Passando ad esaminare, in ordine logico, le proposte censure, va rilevata l’infondatezza di quella proposta nell’interesse del ricorrente (OMISSIS) con la quale si deduce vizio motivazionale sub specie di “travisamento delle emergenze processuali poste a fondamento della condanna”.

Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).

Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicita’ della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794).

Piu’ di recente e’ stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il controllo di legittimita’ sulla motivazione non attiene ne’ alla ricostruzione dei fatti ne’ all’apprezzamento del giudice di merito, ma e’ circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorieta’ della motivazione o di illogicita’ evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542).

Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.

Non c’e’, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilita’ di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E cio’ anche alla luce del vigente testo dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come modificato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46.

Il giudice di legittimita’ non puo’ procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

Il ricorrente non puo’, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto (secondo cui il (OMISSIS) si sarebbe limitato ad accompagnare il (OMISSIS) per recarsi ad effettuare una giocata presso una ricevitoria (OMISSIS)), senza indicare specificamente e in concreto quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicita’ e, in concreto, da cosa tale illogicita’ vada desunta.

Com’e’ stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica “rispetto a se stessa”, cioe’ rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione puo’ risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purche’ specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

Avere introdotto la possibilita’ di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilita’ di dedurre in sede di legittimita’ il cosiddetto “travisamento della prova” che e’ quel vizio in forza del quale il giudice di legittimita’, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto e’ stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In altri termini, vi sara’ stato “travisamento della prova” qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realta’ non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia e’ risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato). Oppure dovra’ essere valutato se c’erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma – occorrera’ ancora ribadirlo – non spetta comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova e’ stato apprezzato dal giudice di merito.

Per esserci stato “travisamento della prova” occorre che sia stata inserita nel processo un’informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia.

In tal caso, pero’, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l’atto che contiene la prova travisata o omessa.

Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisivita’. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimita’ una rivalutazione complessiva delle prove che, come piu’ volte detto, sconfinerebbe nel merito.

3. Se questa, dunque, e’ la prospettiva ermeneutica cui e’ tenuta questa Suprema Corte, le censure che il difensore del ricorrente (OMISSIS) rivolge al provvedimento impugnato si palesano infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma alcuna illogicita’ che ne vulneri la tenuta complessiva.

Il ricorrente non contesta il travisamento di una specifica prova, ma sollecita a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali non consentito in questa sede di legittimita’.

I giudici del merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, dato conto del ruolo rivestito dal (OMISSIS) nell’azione criminosa e, peraltro, con altrettanta logica, hanno preso atto, sin dal primo grado, di poterlo ritenere responsabile solo per la parte riguardante i 20 chilogrammi, escludendo dunque la contestata circostanza aggravante dell’ingente quantita’.

La Corte territoriale ripercorre analiticamente gli esiti dell’operazione di P.G. iniziata la mattina del 15.3.2012 con un servizio di osservazione predisposto nei pressi dell’abitazione del (OMISSIS) e la dinamica che ha poi portato ai sequestri e all’arresto degli odierni ricorrenti.

La descritta dinamica degli accadimenti, per i giudici del gravame del merito, non consente dubbi di sorta in ordine alla penale responsabilita’ anche di (OMISSIS).

Viene ricordato essere pacifico che dal maggior quantitativo detenuto nell’abitazione di via (OMISSIS) sia stato prelevato il quantitativo di 20 kg rinvenuto in possesso del (OMISSIS) (reo confesso, cosi’ come il (OMISSIS), che era il detentore del tutto) e come, del resto le caratteristiche dei due quantitativi, fossero le medesime per suddivisione, confezionamento e percentuale di principio attivo.

Tutta l’operazione di cessione – viene ricordato – ha visto la presenza, oltre che del (OMISSIS), anche del (OMISSIS) e da cio’ logicamente se ne desume in motivazione non poter trattarsi di mera presenza senza elementi concorsuali, atteso che un’operazione di cessione di sostanza dal cospicuo valore commerciale non si effettua al cospetto di istanti estranei alla cessione.

La Corte territoriale, non si limita, pero’, a tale considerazione, pure logica, ma ricorda come estremamente significativa sia stata la successione degli eventi. Dapprima, infatti, il (OMISSIS) si reca in casa del (OMISSIS), per poi allontanarsene da solo riguadagnando l’abitazione di via (OMISSIS). Poco dopo il (OMISSIS) esce da casa sua – ma non da solo – poiche’ lo preleva il (OMISSIS). Insieme i due raggiungono la via (OMISSIS), proprio lo stabile ove e’ stato visto rientrare il (OMISSIS), dove questi abita, dove e’ rinvenuto il maggior quantitativo di droga e dal cui balcone il (OMISSIS) medesimo e’ visto dagli agenti affacciarsi.

Estremamente significativa, secondo i giudici del gravame del merito, e’, dunque, non solo la presenza del (OMISSIS) che aveva avuto il contatto con il (OMISSIS), ma anche quella del (OMISSIS) che fa da scorta al (OMISSIS), prelevandolo, guadagnando insieme con lui l’abitazione di via (OMISSIS).

Ininfluente, sul punto, si palesa la discrasia che pare registrarsi in sentenza circa il fatto che il (OMISSIS) sia stato o meno visto uscire dall’abitazione insieme con il (OMISSIS) e il (OMISSIS) in possesso con i 20 chili di hashish prelevati oppure che, perso di vista da parte degli operanti, sia stato visto davanti al portone della stessa. Che i 20 chili siano stati prelevati dall’abitazione del (OMISSIS) e’, infatti, dato pacifico perche’ dichiarato anche da (OMISSIS) stesso e da (OMISSIS), Ed evidente e’ la presenza ai fatti di (OMISSIS) e (OMISSIS).

Ancora una volta quest’ultimo – si legge nella motivazione del provvedimento impugnato – accompagna a casa il (OMISSIS), con cio’ sottolineandosi non solo lo stretto rapporto intercorrente tra i due ma, anche, il ruolo di assoluta preminenza del (OMISSIS), per poi raggiungere il (OMISSIS) ed essere arrestato con lui.

Raggiunge il coimputato – secondo la Corte territoriale – perche’ all’evidenza e’ partecipe e attore della ricezione dello stupefacente appena avvenuto in ordine alla cui cessione era stato parte attiva poco prima.

Del resto, tranne per la minima ed ininfluente discrasia segnalata, gia’ il giudice di prime cure rilevava la costante presenza del (OMISSIS) quale accompagnatore del (OMISSIS).

Rilevava, infatti, il GUP romano che personale di P.G. in servizio di osservazione presso l’abitazione del (OMISSIS), notava lo stesso affacciarsi dal balcone posto al primo piano dello stabile, sul lato del vicino parco, e circa dieci minuti dopo (OMISSIS), a bordo di ciclomotore T-Max di sua proprieta’ tg. (OMISSIS), raggiungeva l’abitazione del (OMISSIS) in via (OMISSIS), per prendere a bordo lo stesso (OMISSIS), e con questo raggiungere la medesima via (OMISSIS), dove venivano raggiunti anche da altro ciclomotore, un Honda SH 150 tg. (OMISSIS), condotto da (OMISSIS).

I tre, sprovvisti di bagagli, insieme – si legge ancora nella motivazione del primo giudice – si recavano dinanzi al portone di accesso all’immobile ove era in precedenza entrato il (OMISSIS) dove, parcheggiati i veicoli, venivano persi di vista dagli operanti; pochi minuti dopo, pero’, venivano nuovamente notati dagli operanti, dinanzi al civico n. 77, quando il (OMISSIS) portava una borsa di colore scuro che in precedenza non aveva, e che riponeva sul proprio scooter. Quindi i tre, seguiti dalla P.G., si allontanavano cosi’ come erano venuti, il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) a bordo del T-Max tg. (OMISSIS), condotto dal primo, seguiti a brevissima distanza dal (OMISSIS), alla guida dello scooter Honda SH 150 tg. (OMISSIS), e cosi’ raggiungevano in staffetta la via (OMISSIS), dove il (OMISSIS) arrestava la marcia per far scendere il (OMISSIS) mentre il (OMISSIS) proseguiva la marcia in direzione di via (OMISSIS). Qui intervenivano gli agenti operanti, che bloccavano il (OMISSIS), rinvenendo nella borsa di colore scuro sostanza stupefacente del tipo hashish per un peso complessivo di kg. 20,00 suddivisa in blocchi da kg. 0,50 cadauno, a loro volta costituiti da cinque panetti. Alcuni istanti dopo sopraggiungeva anche il (OMISSIS), che veniva anch’egli tratto in arresto, mentre altri operanti procedevano all’arresto del (OMISSIS), ancora intento a percorrere a piedi via (OMISSIS).

Si procedeva, pertanto, a perquisizione all’interno dell’appartamento di via (OMISSIS), dal quale era stato visto affacciarsi il (OMISSIS), ed ivi, alla presenza di questo e della sua convivente (OMISSIS), nella camera da letto della coppia venivano rinvenuti kg. 80 circa di hashish divisi in blocchi da kg. 0,5 ciascuno (ciascuno dei quali a sua volta suddiviso in cinque panetti e due sacchetti trasparenti – contenenti confezioni ovoidali della stessa sostanza per ulteriori kg. 2 circa, sostanze custodite in tre borse.

4. Sia il giudice di prime cure che quello di appello confutano in maniera logica i due principali elementi posti alla loro attenzione dai due imputati (il (OMISSIS) e il (OMISSIS)) che, legittimamente, non hanno fatto la scelta di ammettere le proprie responsabilita’.

Quanto al fatto che durante l’azione criminosa non sia intercorso alcun contatto telefonico tra i correi la Corte territoriale rileva come la circostanza sia vera, ma possa essere letta alla luce della “lunga militanza nel campo dell’illecito commercio ( testimoniato dai numerosi precedenti degli imputati)”, che li ha evidentemente resi accorti, inducendoli a ben guardarsi dall’adoperare i telefoni, preferendo contatti ed avvisi di persona come evidenziato dalla visita che il (OMISSIS) fa al (OMISSIS) per favorirne poi l’andare in via (OMISSIS).

Sia il giudice di primo che quello di secondo grado confutano poi in maniera assolutamente logica – e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimita’- le affermazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS) circa la circostanza che essi si fossero recati in via (OMISSIS) per effettuare una giocata in una ricevitoria (OMISSIS). Viene, infatti, evidenziato che la ricevitoria e’ al n. 44, mentre la casa del (OMISSIS) e’ al n. 77. E loro sono stati visti entrare (o comunque sostare prima e dopo, con un breve intervallo in cui sono stati persi di vista) nello stabile sito al n. 77, nei pressi del quale erano insieme con il (OMISSIS) e con la droga che questi trasportava. Per di piu’ nessuna ricevuta della asserita giocata hanno potuto esibire pur essendo stati arrestati nell’immediatezza senza nemmeno aver potuto far rientro nelle rispettive abitazioni.

Destituito di fondamento – viene poi evidenziato nella motivazione del provvedimento difensivo ad ulteriore confutazione di quanto dichiarato a loro difesa dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) – e’ l’assunto che il (OMISSIS) fu prelevato dal (OMISSIS) perche’ sofferente ad una gamba, in quanto, come rilevato dagli operanti, alle ore 14,45 il (OMISSIS) fu visto far rientro a casa servendosi di uno dei suoi scooter che, dunque, ben poteva guidare.

Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia, il (OMISSIS), dunque, piu’ che denunciare il reale travisamento della prova, chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere e’ inammissibile perche’ trasformerebbe questa Corte di legittimita’ nell’ennesimo giudice del fatto.

5. Anche la doglianza circa l’omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche proposta dal (OMISSIS), appare infondata.

La motivazione della Corte territoriale sul punto, ancorche’ riferita a tutti i coimputati, appare congrua e valorizza, in primis, l’assenza di qualsiasi elemento favorevole ai giudicabili per il riconoscimento delle attenuanti generiche.

Il numero, poi, delle dosi detenute, l’ingente valore commerciale della sostanza, la gravita’ estrema del fatto, i pessimi precedenti inducono la Corte di Appello di Roma a ritenere corretto il diniego delle invocate attenuanti.

Va rilevato in proposito che ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, come piu’ volte ribadito da questa Corte di legittimita’, non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione. (cosi’ questa sez. 3, n. 23055 del 23.4.2013, Banic e altro, rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonche’ al suo negativo comportamento processuale).

6. Quanto ai problemi di calcolo della pena, va affrontato quello relativo alla denunciata reformatio in peius che sarebbe derivata al (OMISSIS) dall’applicazione in secondo grado del corretto principio riconducibile all’articolo 63 c.p., comma 4.

Sul punto ve ben specificato quanto accaduto.

Il GUP del Tribunale di Roma, in sede di quantificazione della pena, aveva compiuto un doppio errore, operando prima un aumento della pena di un terzo per l’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, e poi della meta’ per la contestata recidiva.

Un operare siffatto violava da un lato il principio sancito dall’articolo 63 c.p., comma 4, (secondo cui se concorrono piu’ circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso del medesimo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza piu’ grave; ma il giudice puo’ aumentarla) e dall’altro, in ogni caso, quello di cui all’articolo 99 c.p., comma 4, che, per il tipo di recidiva contestata al (OMISSIS) (recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale), impone un aumento di due terzi.

Orbene, la Corte territoriale ha posto rimedio ad entrambi gli errori, operando un unico aumento per la recidiva di due terzi, con cio’, per una chiara evidenza matematica (un solo aumento di due terzi e’ minore di un aumento di un terzo seguito da un altro della meta’ sulla pena gia’ aumentata), operando una rettifica in melius a favore dell’imputato.

Ne’ si vede in base a quali principi – e soprattutto cosa c’entri con tale richiesta l’invocato divieto della reformatio in peius – il giudice del gravame del merito avrebbe da un lato dovuto porre rimedio d’ufficio all’errato doppio aumento e dall’altro avallare un’entita’ dell’aumento per la recidiva contra legem.

Dirimente e’ la considerazione che, in secondo grado, alla fine l’aumento complessivo e’ stato minore di quello operato in primo grado, con una rivisitazione della pena ex articolo 63 c.p., comma 4, e l’applicazione del criterio ex lege per l’aumento per la recidiva con un risultato piu’ favorevole all’odierno ricorrente.

Tale conclusione, peraltro, si colloca nell’alveo della piu’ recente giurisprudenza che, in materie analoghe (come quella in cui in grado di appello sia esclusa una circostanza aggravante ovvero riconosciuta un’ulteriore circostanza attenuante) ha ritenuto vincolante per il giudice, in punto di divieto di reformatio in peius, esclusivamente il tetto di pena cui era pervenuto il primo giudice (cfr. Sez. un. n. 33752 del 18.4.2013, Papola, rv. 255660; sez. 3, n. 52034 del 6.11.2014, Scarcelli, rv. 261350).

7. Resta da affrontare l’ultimo profilo di doglianza, riguardante il fatto che, innegabile nella sua oggettivita’, che mentre il giudice di prime cure aveva irrogato a (OMISSIS) una pena di anni 9 di reclusione ed euro 60.000 di multa partendo da una pena base (anni 6 e mesi 9 di reclusione ed euro 45.000 di multa) che, rispetto al dettato del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, precedente all’intervento della Corte Costituzionale n. 32/2014, era significativamente vicino al minimo edittale (previsto, indifferentemente, per le droghe c.d. leggere e per quelle c.d. pesanti, in anni sei di reclusione ed euro 26.000 di multa), la Corte territoriale, chiamata a confrontarsi con la “nuova-reviviscente” forbice edittale prevista dalla Legge Iervolino Vassalli per le sole droghe leggere, gli ha irrogato una pena finale di anni 5 e mesi 6 di reclusione ed euro 20.000 di multa, partendo da una pena base (anni 5 di reclusione ed euro 18.000 di multa) vicina al massimo (vista la reviviscente forbice che vede la sanzione andare da 2 a 6 anni per la reclusione e da 5164 a 77468 per la multa).

A sostegno della propria tesi il ricorrente si richiama a due precedenti che, al di la’ della loro evidente non vincolativita’, il Collegio ritiene assolutamente inconferenti con l’odierno decidere.

Il primo, infatti, costituito dall’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione di Bologna del 27.5.2014, attiene ad una fattispecie in cui il giudicante de quo e’ stato chiamato a pronunciarsi, con incidente di esecuzione proposto dal condannato ai sensi degli articoli 666 e 670 c.p.p., e Legge n. 87 del 1953, articolo 30, comma 4, su una pena ormai definitiva, irrogata con sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p. e ss., per un fatto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, riguardante droghe c.d. leggere (hashish e marijuana) sotto la vigenza del Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, conv. con modif. dalla Legge 21 febbraio 2006, n. 49, articolo 1, comma 1, (la c.d. Legge Fini-Giovanardi) prima che intervenisse la sentenza 32/2014 della Corte Costituzionale.

Il G.E. bolognese, dunque, si era trovato a confrontarsi con una condanna passata in giudicato per cui era stato emesso ordine di carcerazione e a cercare una sintesi, tra la necessita’ di dover adeguare la condanna alla sopravvenuta pronuncia costituzionale e quella di tenere conto, anche alla luce della giurisprudenza della C.E.D.U. e di questa stessa Corte di legittimita’, del principio di intangibilita’ del giudicato.

Si tratta, pertanto, di una situazione diversa da quella all’odierno esame, in cui ci troviamo di fronte ad una sentenza che, nel secondo grado del merito, ha visto gia’ la Corte giudicante pronunciarsi alla luce del sistema sanzionatorio in materia di droghe c.d. leggere, piu’ favorevole all’imputato, tornato in vigore dopo la sentenza 32/2014 dei giudici delle leggi.

Esula, peraltro, dall’odierno thema decidendi valutare se la soluzione adottata da quel giudice dell’esecuzione (testualmente la “…rideterminazione della pena che si rapporti all’interno del nuovo trattamento sanzionatorio, collocandosi nella stessa posizione che occupava in precedenza attraverso un criterio aritmetico-proporzionalistico rivalutato nell’ambito dei nuovi parametri edittali…rideterminazione che deve estendersi, in caso di concorrenza di circostanze, anche processuali, alla stessa entita’ frazionata degli aumenti e delle diminuzioni gia’ operati in sede di cognizione”) sia corretta.

Quanto al precedente costituito dalla pronuncia n. 15157/2014 di questa Corte di legittimita’, va, in primis, rilevato che anche in quel caso la situazione presa in esame era leggermente diversa da quella odierna, in quanto in quell’occasione si trattava di pronunciarsi circa l’annullamento di una sentenza di appello anch’essa pronunciata in relazione a droghe c.d. leggere sotto la vigenza della normativa poi dichiarata incostituzionale.

Ebbene, in quel caso, la 6 Sezione di questa Corte, con una pronuncia che il Collegio non condivide e che e’ rimasta nei mesi successivi assolutamente isolata, opino’ nel senso che la sentenza impugnata dovesse essere annullata senza rinvio, potendo la Corte di Cassazione procedere direttamente alla determinazione della pena, ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., lettera l), qualora si debbano nuovamente applicare gli indici di calcolo gia’ definiti in sede di merito, senza procedere ad accertamenti di fatto o ad operazioni di discrezionalita’ valutativa, che rimangono incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimita’ (cosi’ sez. 6, n. 15157 del 20.3.2014, La Rosa, rv. 259253, fattispecie relativa ad una pena irrogata per il delitto di detenzione di marijuana dal giudice di merito in applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, nel testo dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 32 del 2014, e rideterminata dalla Corte ai sensi dell’originario articolo 73, comma 4, oggi nuovamente in vigore, utilizzando gli stessi coefficienti di computo).

Come detto, successivamente, questa Corte di legittimita’, a fronte di pronunce di merito non ancora passate in cosa giudicata, si e’ andata costantemente orientando diversamente, annullando centinaia di sentenze con rinvio ai giudici del gravame del merito limitatamente alla rideterminazione della pena (vedasi, per tutte, questa sez. 3, n. 26340 del 25.3.2014, rv. 260058)

Solo per le sentenze passate gia’ in giudicato, in quel caso di patteggiamento, si e’ registrata una pronuncia conforme a quella sopra citata n. 15157/2014 della sesta sezione, con cui si e’ affermato il principio – come si vedra’ in seguito non avallato dalle SS.UU – della rideterminazione in sede di esecuzione, secondo un criterio oggettivo di tipo aritmetico proporzionale, che, rispettando l’irrevocabilita’ del patto e la volonta’ delle parti, la trasponga all’interno della nuova cornice edittale determinatasi in seguito alla reviviscenza della normativa previgente alla dichiarazione di incostituzionalita’, con la conseguenza che, qualora sia proposto ricorso, alla rideterminazione della pena secondo il suindicato criterio oggettivo potrebbe procedere la Corte di cassazione, operando la stessa percentuale di aumento, rispetto al minimo edittale, che era stata applicata dal giudice della cognizione (cosi’ sez. 1, n. 51844 del 25.11.2014, Riva, rv. 261331).

8. Sono poi recentemente intervenute le Sezioni Unite, all’udienza del 26 febbraio 2015, pronunciandosi su una serie di questioni loro devolute proprio in materia di determinazione della pena irrogata o applicata ex articolo 444 c.p.p. e ss., prima della sentenza 32/2014 della Corte Costituzionale relativamente al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, riguardante droghe c.d. leggere.

Si tratta di pronunce, di cui all’atto della presente decisione e’ noto solo il decisum, non essendo state ancora depositate le relative motivazioni, che hanno optato per la tesi dell’annullamento delle sentenze di secondo grado impugnate per la rideterminazione della pena.

Ebbene, merita di essere valutata, in primis la risposta fornita dalle SS.UU. al quesito (ric. Marcon) se la pena applicata su richiesta delle parti per i delitti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, in relazione alle droghe c.d. leggere, con pronuncia divenuta irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 debba essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione. La risposta fornita e’ stata affermativa, con la precisazione che la pena deve essere rideterminata attraverso la “rinegoziazione” dell’accordo tra le parti, ratificato dal giudice dell’esecuzione, che viene interessato attraverso l’incidente di esecuzione attivato dal condannato o dal pubblico ministero; e che in caso di mancato accordo il giudice dell’esecuzione provvede alla rideterminazione della pena in base ai cri-teri di cui agli articoli 132 e 133 c.p..

Pertanto, pur con tutta la cautela che deriva dalla mancata conoscenza della motivazione non ancora depositata, la pronuncia sembra dare torto, laddove l’articolo 132 c.p., riguarda proprio il potere discrezionale del giudice nell’irrogazione della pena, alla impostazione, oggi richiamata dal ricorrente e fatta propria, del giudice dell’esecuzione di Bologna.

Analogamente, pare evidente che la scelta e’ stata quella di rimettere tale valutazione nelle mani del giudice di merito, ma senza alcun vincolo derivantegli dalla pena precedentemente irrogata se non quello di un divieto di reformatio in peius nei limiti di cui all’articolo 597 co. 3 cod. proc. pen. quanto alla pena complessiva, laddove, nella stessa udienza del 26 febbraio 2015, le SS.UU. hanno dato tutte risposte affermativa ai quesiti:

1. Se l’aumento di pena irrogato a titolo di continuazione per i delitti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, in relazione alle “droghe leggere”, quando gli stessi costituiscono reati-satellite, debba essere oggetto di specifica rivalutazione alla luce della piu’ favorevole cornice edittale applicabile per tali violazioni in conseguenza della reviviscenza della precedente disciplina determinatasi per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014,) (nel procedimento avente quale ricorrente Serbar El Mostafa);

2. Se per i delitti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, in relazione alle droghe c.d. leggere, la pena applicata con sentenza di “patteggiamento” sulla base della normativa dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 32 del 2014 della Corte Costituzionale debba essere rideterminata anche nel caso in cui la stessa rientri nella nuova cornice edittale applicabile e se sia rilevabile d’ufficio, nel giudizio di cassazione, l’illegalita’ della pena conseguente a dichiarazione d’incostituzionalita’ di norme attinenti al trattamento sanzionatorio, anche in caso di inammissibilita’ del ricorso (nel procedimento avente come ricorrente Jazouli).

Anche in tali ultimi due casi si trattava, comunque – va ribadito – di situazioni in cui, come sarebbe stato per la sentenza 15157/2014 se non si fosse opinato per l’annullamento senza rinvio, il giudice del rinvio deve essere chiamato a giudicare applicando per la prima volta i parametri di cui alla reviviscente disciplina della legge Iervolino – Vassalli.

9. Diversamente, come piu’ volte evidenziato, nel caso che ci occupa la Corte di Appello di Roma, ha gia’ rideterminato le pene tenendo conto della sentenza della Corte Costituzionale 32/2014.

Tuttavia il ricorrente si duole che il primo giudice gli abbia applicato una pena vicina al “nuovo-reviviscente” massimo edittale, mentre quello di prime cure gliene aveva applicata una vicina al “vecchio-poi dichiarato incostituzionale” minimo edittale. E chiama in causa il principio del devolutum e, ancora una volta, un’assunta violazione del divieto di reformatio in peius sulla pena, in assenza di ricorso della parte pubblica.

Orbene, a dimostrazione che il principio del devolutum non abbia nulla a che fare con l’odierno decidere vi e’ la considerazione che la Corte territoriale, giustamente, ha ritenuto di dovere adeguare d’ufficio la sanzione irrogata alla disciplina che veniva fuori dopo la sentenza costituzionale, senza che vi fosse stata specifica richiesta sul punto neanche da parte degli imputati. Il che e’ evidente non avendo potuto neanche i difensori, nelle more della proposizione del ricorso, immaginare che, quasi nove anni dopo la novella introdotta nel 2006, la formulazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, di cui alla piu’ volte citata Legge Fini-Giovanardi venisse dichiarata incostituzionale.

Al Collegio pare evidente, allora, che il giudice del merito chiamato ad applicare, come nel caso che ci occupa – direttamente ovvero in sede di rinvio – una nuova pena a fronte di una precedente dichiarata incostituzionale, abbia una piena cognitio per quanto riguarda la quantificazione della pena.

Cio’, evidentemente, con un doppio limite che gli deriva, in questo caso, da un lato dall’obbligo di applicare la normativa che rivive per le droghe c.d. leggere dopo la sentenza 32/2014 della Corte Costituzionale e, dall’altro, quello collegato al divieto della reformatio in peius sulla pena in assenza di impugnazione della parte pubblica, da intendersi nel senso di non poter irrogare una pena superiore nel quantum finale a quella irrogata dal primo giudice.

Peraltro, ritiene il Collegio che quello all’odierno esame sia un caso paradig-matico del corretto operare del giudice del merito.

Ed invero, e’ assolutamente normale che, di fronte ad una sanzione unica e particolarmente grave (da 6 a 20 anni di reclusione e da 26.000 a 260.000 euro di multa), qual era quella prevista indifferentemente per le droghe c.d. pesanti e per quelle c.d. leggere, il giudice del merito, chiamato a quantificare la pena, abbia in primis valutato, com’e’ evidentemente accaduto nel caso che ci occupa, la qualita’ della sostanza detenuta, e poi la quantita’ della stessa. E quindi, che sia partito da una pena base, trattandosi di hashish, vicina a quello che all’epoca era il minimo edittale.

Dal suo canto la Corte territoriale, altrettanto correttamente, e’ stata chiamata ad applicare una pena che, nella sua ridotta forbice edittale, contemplava gia’ che ci si riferisse solo a delle droghe c.d. leggere. E allora, per individuare la pena base da cui partire, a fronte di un dato quantitativo di oltre 100 chili di hashish, ha condivisibilmente e legittimamente individuato una pena vicina al nuovo massimo edittale (che poi corrisponde al vecchio minimo, dichiarato incostituzionale per le sostanze de quo).

Diversamente opinando, se ne dovrebbe trarre il principio, assolutamente contrario ad ogni logica, che il giudice del gravame del merito dovesse essere vincolato alla valutazione operata dal giudice di primo grado quando il dato normativo che aveva di fronte era diverso.

Cio’ lo si desume anche dal decisum delle SS.UU. – indipendentemente dal fatto che non se ne conosca ancora la motivazione – perche’, evidentemente, laddove avessero opinato per una rideterminazione delle pene con criterio aritmetico – proporzionalistico, l’annullamento delle sentenze impugnate nelle procedure Serbar El Mostafa e Jazouli, cosi come aveva deciso la sesta sezione nell’invocata sentenza 15157/2014, sarebbe stato senza rinvio.

10. Al rigetto dei ricorsi consegue, ex lege, la condanna delle parti ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.

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