Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 13 aprile 2015, n. 7352

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni B. – Presidente

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1867/2014 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L. in persona del suo legale rappresentante (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2129/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 11/12/2013, R.G.N. 1402/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/01/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato (OMISSIS); udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La (OMISSIS) srl (nel novembre 2006), convenne in giudizio (OMISSIS). Espose che il contratto di locazione di un capannone ad uso tipografia stipulato con la convenuta nel luglio 1998 era stato disdettato dalla proprietaria alla prima scadenza, manifestando l’intenzione (Legge n. 392 del 1978, articolo 29) di adibire l’immobile ad una propria attivita’ imprenditoriale di autorimessa e all’esercizio dell’attivita’ professionale di avvocato dei figli. Premesso che l’immobile non era stato adibito dalla proprietaria alle attivita’ indicate, chiese (ex articolo 31 della stessa legge) la restituzione del deposito cauzionale (circa euro 7.800) e, ex articolo 31 della legge, il rimborso delle spese di trasloco e gli altri oneri sopportati per il trasferimento alla nuova sede (circa euro 46.000,00), oltre al risarcimento dei danni per il fermo attivita’ (euro 20.000,00).

La proprietaria obietto’ che la cauzione non doveva essere restituita perche’ la conduttrice aveva riconsegnato l’immobile danneggiato (come risultava dal verbale di sopralluogo congiunto del 2 novembre 2004, successivo al rilascio) ed aveva asportato opere che, invece, dovevano considerarsi acquisite dalla locatrice senza diritto ad indennizzo della controparte, ai sensi dell’articolo 9 del contratto; quantifico’ i danni subiti (circa euro 84.000,00), agendo in via riconvenzionale.

Sostenne l’infondatezza delle pretese ex articolo 31 cit., per aver la conduttrice svolto attivita’ illecita, come risultante da diversa sentenza del 2006, e per non aver adibito l’immobile alle attivita’ dichiarate.

Il Tribunale di Acqui Terme rigetto’ le domande della societa’ conduttrice e accolse la domanda riconvenzionale della locatrice; tenuto conto del deposito cauzionale non restituito, condanno’ la conduttrice al pagamento di euro 20.000,00, oltre accessori.

La Corte di appello di Torino, adita in via principale dalla conduttrice e in via incidentale dalla locatrice, dichiaro’ improcedibile l’appello incidentale, volto alla diversa quantificazione del danno riconosciuto alla proprietaria; in accoglimento dell’appello principale, condanno’ la proprietaria alla restituzione della cauzione e ad oltre 38 mila euro in base all’articolo 31 cit.. (sentenza dell’11 dicembre 2013).

2. Avverso la suddetta sentenza, la locatrice propone ricorso per cassazione affidato a undici motivi.

La conduttrice resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Le censure prospettate con il ricorso possono distinguersi in due gruppi:

– il primo gruppo (motivi dal primo al quarto, rubricati nel ricorso sub nn. da 1. a 1.4) concernono quella parte della sentenza che, rispetto all’articolo 9 del contratto, ha ritenuto escluse dalle “opere” acquisirli dalla locatrice le opere di cui si controverte;

– il secondo gruppo (motivi dal sesto all’undicesimo, rubricati nel ricorso sub nn. da 3. a 3.5) concernono quella parte della sentenza che ha accolto la domanda ex articolo 31 cit. a favore della conduttrice.

Inoltre, deve aggiungersi che, con il motivo rubricato nel ricorso con il n. 2 (corrispondente al quinto, secondo la numerazione che tiene conto della ripartizione interna), si prospetta la violazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 11, e degli articoli 1179 e 1851 c.c., sul presupposto che, esistendo il diritto al risarcimento di cui ai primi quattro motivi di ricorso, la conduttrice non aveva diritto alla restituzione della cauzione.

2. I motivi da 1 a 4 (secondo la numerazione che tiene conto della ripartizione interna) concernono quella parte della sentenza che, in accoglimento dell’appello della conduttrice, ha ritenuto infondata la domanda di danni della locatrice; e quindi, l’interpretazione dell’articolo 9 del contratto e le valutazioni su altri danni.

2.1. La Corte di merito ha ritenuto che l’articolo 9 del contratto di locazione, secondo il quale “tutte le opere…eseguite da parte della conduttrice….sono interamente acquisite alla locatrice, senza obbligo di corresponsione di alcun indennizzo” va riferito alle addizioni e manufatti che (come l’impianto elettrico o idraulico) sono ancorati alle strutture murarie e non possono essere rimossi senza arrecare nocumento all’immobile e non a meri accessori installati per un piu’ consono godimento (come nella specie, caldaia, termoconverttitori, plafoniere, paratoie divisorie); mentre, il giudice di primo grado aveva ritenuto che le “opere” regolate dalla citata norma contrattuale, quali beni strumentali, ricomprendessero quelle della specie in discussione.

Di conseguenza, non essendo state acquisite in proprieta’ dalla locatrice senza obbligo di indennizzo a favore della conduttrice, secondo la Corte di merito erano state legittimamente asportate dalla conduttrice e la locatrice non aveva diritto al risarcimento per equivalente per l’asportazione delle stesse.

Quanto agli altri danni richiesti dalla locatrice (quarto motivo), sempre secondo la Corte di merito, dal verbale congiunto redatto successivamente al rilascio (oltre a quanto rientrante nelle “opere” di cui sopra) risultavano voci di modica spesa (vetri rotti, ruggine agli infissi) che la conduttrice aveva asserito (nel ricorso introduttivo) di aver provveduto ad eliminare, con affermazione non confutata dalla controparte, da reputarsi ammessa. Con la conseguenza che, non risultando crediti per danno a favore della locatrice, il deposito cauzionale in suo possesso andava restituito.

3. In estrema sintesi, con il primo motivo, deducendo la violazione degli articoli 1592 e 1593 c.c., si censura la sentenza per non aver ritenuto ricomprese nell’articolo 9 del contratto le opere realizzate in base a una nozione di “opere” che sarebbe originale, secondo la quale vi rientrerebbero solo quelle fisse che non possono essere rimosse senza creare nocumento all’immobile e non quelle della specie, costituenti meri accessori’ agevolmente separabili.

Si sostiene che nel genus di opere rientrano sia i miglioramenti (che non hanno propria individualita’ e non sono separabili senza nocumento), ex articolo 1592, sia le addizioni (che sono accessorie ed hanno normalmente una propria individualita’) ex articolo 1593, e che le addizioni fatte nella specie, qualificate come accessori dal giudice, rientravano in tutte le opere per le quali, nell’esercizio dell’autonomia privata, le parti avevano previsto la ritenzione del locatore senza corresponsione di indennita’. Strettamente collegato e’ il secondo motivo, dove si deduce la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, censurando la sentenza per non aver applicato il criterio della interpretazione letterale (articolo 1362 c.c.), ai sensi del quale assumerebbe rilievo il riferimento a tutte le opere quale genus, e quello della interpretazione complessiva della clausola in argomento, tenendo conto che nello stesso articolo del contratto si fa carico alla conduttrice di tutte le pratiche amministrative, anche per le opere che vorra’ o dovra’ eseguire, e si sottraggono alle opere vietate quelle della “costruzione di servizi igienici all’interno del fabbricato e tutti gli impianti interni ed esterni”.

Pure collegato e’ il terzo motivo, con il quale – sul presupposto della fondatezza delle tesi sostenute nei due precedenti motivi – si denuncia la violazione degli articoli 1218, 1223, 1453, 1455 e 1490 c.c., nel senso che, l’aver sottratto opere che secondo il contratto avrebbero dovuto restare acquisite alla locatrice, comporta un grave inadempimento imputabile al debitore, fonte di risarcimento del danno.

3.1. Il primo e il secondo motivo vanno esaminati congiuntamente per la stretta connessione.

Le censure contenute nei primi due motivi non hanno pregio.

Preliminarmente, va precisato che non vengono in rilievo, per il modo attraverso cui le censure sono prospettate, le violazioni di legge invocate (nel primo), relative alle definizioni normative di miglioramenti e addizioni nel contratto di locazione. Invero, la ricorrente utilizza i parametri normativi per contestare la ricostruzione della interpretazione della clausola contrattuale fatta dalla Corte di merito.

Invece, centrale per decidere e’ la invocata violazione delle regole di ermeneutica contrattuale. Il giudice del merito non ha violato i suddetti criteri, essendo pervenuto all’interpretazione della clausola contrattuale (ritualmente riprodotta e richiamata in ricorso, nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., n. 6) a partire dalla sua “lettera”, per ricavarne l’intenzione delle parti sulla base di una lettura complessiva della stessa clausola contrattuale.

Ed, infatti, la terminologia usata nella clausola in argomento “opere eseguite” richiama opere stabili, quali quelle effettivamente eseguite, pure presenti nella stessa clausola.

Che le parti stessero regolando il regime dei soli miglioramenti strutturali e’ agevolmente ricavabile dalla circostanza che nella stessa clausola sono richiamate opere stabili da farsi dalla conduttrice, previa autorizzazioni da chiedere a suo carico, quali la costruzione dei servizi igienici all’interno de fabbricato, tutti gli impianti interni ed esterni (compreso, quindi l’impianto di riscaldamento nella sua componente strutturale di tubazioni).

Allora, se il contratto prevede che resteranno acquisite alla proprieta’ senza diritto ad indennizzo per la conduttrice le opere da quest’ultima eseguite e nello stesso contesto espressivo della clausola richiama opere stabili, ancorate alle strutture murarie, non viola le regole di ermeneutica contrattuale il giudice che ritiene non comprese in questa previsione la caldaia, i termoconverttitori, le plafoniere, le paratoie divisorie, che mancano del suddetto carattere di stabilita’.

3.2. Al rigetto dei motivi sopra esaminati consegue il rigetto del terzo. Con esso, infatti, sul presupposto della fondatezza dei motivi suddetti, si sostiene l’intervenuto inadempimento imputabile alla conduttrice, fonte di risarcimento del danno.

4. Con il quarto motivo si deduce la violazione degli articoli 2697 c.c., e degli articoli 115 e 116 c.p.c., in riferimento agli altri danni minori che la conduttrice afferma riparati in epoca prossima al rilascio, riparazione che il giudice di merito ritiene non contestata.

La ricorrente locatrice rileva come nella comparsa abbia specificamente contestato l’avvenuta riparazione e richiama una lettera inviata dall’avvocato; deduce che a fronte della contestazione la conduttrice avrebbe dovuto provare di aver effettuato le riparazioni.

Il motivo non ha pregio ed e’ inammissibile.

4.1. Dagli atti, ritualmente richiamati in ricorso, risulta che la contestazione della attuale ricorrente con comparsa fu generica, a prescindere dal fatto che la lettera richiamata si riferisce alle asportazioni di cui la proprietaria si lamentava.

Inoltre, la ricorrente nel prospettare la censura non da alcun conto di altri elementi istruttori – richiamati nel controricorso – dai quali emergerebbe l’avvenuta riparazione (dalle testimonianze ai documenti depositati dalla conduttrice con il ricorso introduttivo).

5. Dal rigetto di tutti i motivi suddetti, consegue l’assorbimento del motivo, rubricato nel ricorso con il n. 2 (corrispondente al quinto, secondo la numerazione che tiene conto della ripartizione interna), con il quale si prospetta la violazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 11, e degli articoli 1179 e 1851 c.c., sul presupposto che, esistendo il diritto al risarcimento di cui ai primi quattro motivi di ricorso, la conduttrice non aveva diritto alla restituzione della cauzione.

6. Il secondo gruppo di motivi (dal sesto all’undicesimo, rubricati sub nn. da 3. a 3.5) concerne quella parte della sentenza che ha accolto la domanda ex articolo 31 cit. della conduttrice. Sono esaminati secondo l’ordine logico.

7. In riferimento ai presupposti previsti dall’articolo 31, il giudice del merito, sulla base di quanto dedotto dalla conduttrice e ritenuto non smentito dalla locatrice che, anzi, aveva parzialmente ammesso, ha rilevato che: – poco piu’ di quattro mesi dopo il decorso di sei mesi richiesti dalla norma, sull’immobile vi era un cartello per la vendita/affitto; – che l’immobile fu visionato da un potenziale acquirente e nel 2006, fu in parte concesso in locazione a terzi.

In particolare, quanto allo svolgimento della professione forense, sempre secondo la Corte di merito, le apparenze documentali (domicilio fiscale, ricevute di pagamento con quell’indirizzo dello svolgimento di tale attivita’ nella sede) non riuscivano a superare i dati fattuali di segno contrario, costituiti da quanto detto in generale e dalla circostanza che la locatrice non aveva provato di aver adattato l’immobile al primo piano (capannone industriale vuoto essendo stati rimossi i pannelli di frazionamento) a tali esigenze; con la conclusione di ritenere mai svolta tale attivita’.

Quanto alla attivita’ di autorimessa al piano terra, oltre alle considerazioni generali sulla base delle quali l’attivita’ – ammesso che fosse stata mai effettivamente svolta – era sicuramente cessata gia’ nel settembre 2005, la Corte di merito ha ritenuto che gli elementi documentali prodotti (iscrizione registri camerali, partita iva, dichiarazioni a fini previdenziali e tributari) non fossero idonei a dimostrare lo svolgimento di tale attivita’ in modo stabile e duraturo, con caratteristiche di continuita’, secondo la ratio della norma che garantisce le esigenze del locatore non soddisfacibili altrimenti.

Ne’, sempre secondo la Corte di merito, la locatrice puo’ invocare le cattive condizioni dell’immobile a giustificazione del mancato svolgimento delle attivita’ programmate, posto che le opere furono legittimamente rimosse sulla base del contratto e i piccoli danneggiamenti furono subito riparati dalla conduttrice.

7.1. Con il decimo e l’undicesimo motivo (Legge n. 392 del 1978, articoli 29 e 31; articoli 1218, 1453 e 1455 c.c., e articolo 115 c.p.c. (3.4. e 3.5.) si impugnano le suddette statuizioni.

Da un lato, sul presupposto dell’accoglimento dei motivi che avrebbero dovuto condurre al riconoscimento che le opere erano state illegittimamente asportate e i danni ulteriori non riparati, si sostiene che il mancato esercizio delle attivita’ per cui era stato chiesto il rilascio dovrebbe essere giustificato, con conseguente disconoscimento della sanzione, per assenza di colpa e dolo in capo alla locatrice, che si era trovata l’immobile non direttamente utilizzabile senza molti investimenti.

Dall’altra parte, ritenendo che nella sentenza vi sia stato il riconoscimento dell’esercizio di un breve periodo, almeno per l’attivita’ di autorimessa, la ricorrente, per quel che sembra di capire dal ricorso, sembra sostenere che tale riconoscimento avrebbe dovuto condurre ad escludere la sanzione per mancanza di dolo e colpa grave. Poi, per l’attivita’ professionale, sembra sostenere che sia stato provato lo svolgimento mediante documentazione. I motivi, per certi versi assorbiti o inammissibili, sono infondati.

7.2. Le censure sono assorbite nella parte in cui presuppongono l’avvenuto accoglimento dei primi quattro motivi di ricorso, che, invece, sono stati rigettati.

Le censure sono inammissibili, nella parte in cui non investono l’argomentazione centrale della sentenza impugnata, secondo la quale la documentazione prodotta dalla locatrice in ordine alle attivita’ costituisce solo una apparenza documentale, smentita dalla ricostruzione dei fatti emergente anche dalla mancata smentita e dalle parziali ammissioni della locatrice.

Soprattutto, le censure sono infondate.

Per l’ipotesi che – nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso – il locatore che abbia ricevuto la riconsegna dell’immobile non lo abbia adibito, entro sei mesi, all’uso in vista del quale ne aveva ottenuto la disponibilita’, la giurisprudenza di questa Corte ha, in piu’ occasioni, ribadito che le sanzioni previste dalla Legge n. 392 del 1978, articolo 31, non si connettono ad un criterio di responsabilita’ oggettiva, o ad una presunzione assoluta di colpa, ma ad una presunzione iuris tantum, come tale suscettibile di prova contraria (Cass. 16 gennaio 1997, n. 391; 18 maggio 2000, n. 6462; 14 dicembre 2004, n. 23296; 19 maggio 2011, n. 11014). Tali sanzioni, secondo la citata giurisprudenza, configurano una forma di responsabilita’ per inadempimento inquadrabile nella generale disciplina degli articoli 1176 e 1218 c.c.; con la conseguenza, che esse non sono applicabili qualora la tardiva destinazione dell’immobile medesimo sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso. E’ altrettanto pacifico che l’onere del superamento di tale presunzione gravi sul locatore, cui spetta dimostrare l’esistenza a suo favore di una giusta causa, meritevole di tutela, che abbia impedito o ritardato l’utilizzo della res locata in modo conforme al motivo assunto per il rilascio dal titolo giudiziale, cui e’ stata data esecuzione.

Nella specie, a fronte della qualificazione come “apparenza documentale” delle risultanze dei documenti suddetti, la ricorrente non ha allegato e provato fatti idonei a superare la presunzione ed, anzi, nella linea difensiva oscilla tra il sostenere che le attivita’ furono avviate e che non si potettero avviare per colpa della conduttrice.

8. Con il settimo e l’ottavo (omesso esame di un fatto controverso, n. 3.1., oltre alla violazione dell’articolo 31 cit.; della Legge n. 426 del 1971, articolo 1, u.c.; del Decreto Legislativo n. 114 del 1998, articoli 7 e 8, n.3.2.1), strettamente collegati, si censura la sentenza per non aver proprio considerato, nonostante fosse stato discusso tra le parti, che l’attivita’ esercitata era illecita – come sarebbe riconosciuto dalla sentenza del 2006, passata in giudicato, che aveva negato, stante lo svolgimento di attivita’ di vendita al minuto senza autorizzazioni, l’indennita’ di avviamento – in tal modo violando le norme che prevedono le autorizzazioni.

8.1. Il motivo non ha pregio.

Se e’ vero che questo profilo non e’ stato esaminato dalla sentenza impugnata, tale omesso esame non e’ decisivo ai fini della decisione.

Invero, come emerge dalla sentenza, passata in giudicato secondo quanto affermato nel controricorso, era stato negato l’avviamento per l’attivita’ di vendita al dettaglio perche’ non autorizzata. Ma, dall’illegittimo esercizio di attivita’ al minuto che ha determinato il rigetto in altro giudizio della domanda per indennita’ di avviamento, certamente non puo’ trarsi in generale il mancato diritto al risarcimento, stante il sicuro esercizio di attivita’ lecita di tipografia e stampa, non contestato nel presente giudizio.

9. Con il sesto motivo (n. 3 del ricorso) si deduce la violazione della Legge n. 329 del 1978, articolo 31, sotto il profilo del tipo di “sanzione” riconosciuta.

Si assume la violazione della norma in argomento per essere stato accordato il rimborso delle spese di trasloco, mentre la legge prevederebbe come rimedi alternativi a favore del conduttore il ripristino del contratto e le spese di trasloco, ovvero il risarcimento dei danno. Nella specie, secondo la ricorrente, non essendo stato nemmeno chiesto il ripristino non potevano essere riconosciute le spese di trasloco.

9.1. Il motivo va rigettato integrando la motivazione in diritto del giudice del merito; potere consentito alla Corte ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c., quando la statuizione del giudice del merito e’ conforme a diritto.

La Corte di merito, dopo aver qualificato la domanda come iatu sensu risarcitoria, ha ritenuto documentati gli esborsi per il trasloco e ne ha riconosciuto la debenza al conduttore, quale diritto accordato dall’articolo 31 cit. in alternativa al risarcimento.

Pur inquadrando il riconoscimento della somma nel risarcimento previsto dall’articolo in argomento e, correttamente riconoscendone il diritto in capo alla conduttrice, la Corte di merito ingenera equivoci sulla natura dell’attribuzione collocandola, sia pure senza specifica argomentazione, nell’ambito della alternativa al risarcimento. Da cio’ l’esigenza di correggere/integrare la motivazione in diritto.

9.2. Per garantire il conduttore, per cosi’ dire espulso, da azioni pretestuose, il legislatore ha previsto la possibilita’ di scegliere tra la reintegrazione nel godimento del bene alle condizioni del contratto (ripristino del rapporto) con l’ulteriore diritto al rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri sopportati (per es. spese per contratti di fornitura) e il risarcimento del danno, del quale ha determinato l’entita’ massima (quarantotto mensilita’ dell’ultimo canone di locazione corrisposto).

Nella previsione legislativa, le spese di trasloco sono tipizzate rispetto all’ipotesi della scelta della reintegrazione nel godimento del bene e partecipano del carattere ripristinatorio in forma specifica del rimedio all’inadempimento. Il loro normale accedere a questa forma di reintegrazione del conduttore leso non comporta che detto rimborso sia inderogabilmente collegato al ripristino del contratto di locazione; non osta, quindi, a che (e spese di trasloco costituiscono una voce di danno patito qualora il conduttore abbia scelto di essere risarcito per equivalente.

E tanto e’ accaduto nella specie, avendo la conduttrice parametrato il danno subito, quindi in presenza di una domanda risarcitoria, alle spese sostenute per il trasloco nella nuova sede.

In definitiva, l’allegazione da parte del danneggiato delle spese sopportate per il trasloco diventa, nell’ambito della domanda di risarcimento del danno, uno dei modi di prova della precisa entita’ del danno subito.

10. Il nono motivo (articoli 2697, 2712 e 2719 c.c.; articoli 115, 414, 416 e 447 bis. c.p.c., n. 3.3.) si riferisce all’utilizzazione dei documenti fiscali prodotti dalla conduttrice, ritenuti dal giudice di merito idonei a provare gli esborsi sopportati per il trasloco (da n. 26 a 34).

La locatrice ricorrente sostiene di aver contestato la produzione di copie e che la successiva produzione di copie autentiche, oltre che tardiva, con relativa decadenza nel processo del lavoro, non era stata completa.

10.1. La censura e’ inammissibile, per novita’ della questione.

La controparte richiama un’ordinanza del giudice di primo grado che, a fronte della contestazione nell’utilizzo di copie, aveva autorizzato la produzione di copie autentiche e dopo la produzione, a scioglimento della riserva, aveva attestato la produzione in copia autentica dei documenti, nonche’ che, all’esito, la controparte, pur contestando genericamente la genuinita’, non aveva provveduto al formale disconoscimento.

Preliminarmente, va precisato che nessuna incidenza, rispetto al profilo di censura in esame, ha la circostanza cha la sentenza di appello ha dichiarato l’improcedibilita’ del ricorso incidentale in appello – presentato sulla misura del quantum dalla attuale ricorrente – atteso che sul punto dei documenti la locatrice risultata vittoriosa in primo grado e non aveva alcun onere di proporre ricorso incidentale.

Ma, a fronte della statuizione del giudice di primo grado, l’attuale ricorrente avrebbe dovuto riproporre la questione in appello e dimostrare, nel ricorso per cassazione, di averla riproposta. Data la natura solo esplicativa delle memorie, del tutto irrilevante resta qualche riferimento al giudizio di appello contenuto nella memoria depositata in prossimita’ dell’udienza.

11. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, sulla base dei parametri vigenti, a favore della societa’ controricorrente.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della societa’ controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.

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