Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 12 marzo 2015, n. 10498

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BRESCIA;
nei confronti di:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 7642/2012 TRIB.SEZ.DIST. di TREVIGLIO, del 26/06/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fulvio Baldi, che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Bergamo sez. distaccata Treviglio con sentenza 26.6.2013 ha assolto, “perche’ il fatto non costituisce reato”, (OMISSIS) dall’imputazione di omesso versamento IVA per un ammontare complessivo di euro 183.275,00 in relazione all’anno di imposta 2008 (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter). Dopo avere ricostruito la vicenda, sorta a seguito di controllo sulla dichiarazione dei redditi della (OMISSIS) srl, il giudice di merito ha osservato che egli non fu mai reale amministratore della (OMISSIS), ma solo un direttore commerciale, e che l’amministrazione era unitaria per tutte e cinque le societa’ che componevano il (OMISSIS).
2. Il Procuratore Generale della Repubblica di Brescia ricorre “per saltum” in cassazione censurando, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b, la decisione per violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, e articolo 40 cpv. c.p.: rileva in particolare che i legali rappresentanti di una societa’ hanno l’obbligo di non compiere atti contrari alla legge e agli interessi della societa’ e dei soci, oltre che di impedire il compimento di atti del genere da parte degli altri soggetti che rivestano cariche all’interno della societa’.
Nel caso di specie, l’imputato, pur rivestendo il ruolo di amministratore, non aveva adempiuto all’obbligo di versare l’IVA dovuta per il 2008 ne’ di controllare la gestione dell’azienda o di effettuare una ricognizione formale della documentazione disponibile e di formulare rilievi in relazione al mancato versamento dell’imposta. Richiama il principio della responsabilita’ dei prestanome a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento ai sensi dell’articolo 40 c.p., comma 2, e articolo “2932” (rectius, articolo 2392 c.c., ndr).
Richiama il principio di diritto secondo cui il prestanome risponde a titolo di dolo generico (per i’ah consapevolezza della possibilita’ di verificazione di eventi tipici dalla condotta omissiva) o anche eventuale perche’, accettando la carica sociale, assume anche i rischi connessi: ritiene pertanto censurabile la sentenza laddove ha escluso la responsabilita’ penale sul presupposto che egli, pur avendo accettato di essere amministratore della societa’, non ha mai curato gli incombenti amministrativi, fiscali e burocratici, gestiti, invece, da altri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato.
Come gia’ affermato da questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 23425 del 28/04/2011 Ud. dep. 10/06/2011 Rv. 250962), l’equiparazione degli amministratori di fatto a quelli formalmente investiti e’ stata affermata sia nella materia civile che in quella penale e tributaria (cfr. nella materia civile Cass. 5 dicembre del 2008 n. 28819; 12 marzo 2008, n. 6719; Sez. un. civile 18 ottobre 2005 n. 2013; in quella penale per tutte Cass. 7203 del 2008, Cass. n. 9097 del 1993 e per le violazioni tributarie cfr. Cass. Sez. quinta civile n. 21757 del 2005; Cass. pen. n. 2485 del 1995).
Si e’ chiarito che vero soggetto qualificato non e’ il prestanome ma colui il quale effettivamente gestisce la societa’ perche’ solo lui e’ in condizione di compiere l’azione dovuta mentre l’estraneo e’ il prestanome.
Ma si e’ altresi’ precisato che a quest’ultimo una corresponsabilita’ puo’ essere imputata solo in base alla posizione di garanzia di cui all’articolo 2392 c.c., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la societa’ e per i terzi. Nelle occasioni in cui questa Corte si e’ occupata di reati, anche omissivi, commessi in nome e per conto della societa’, ha individuato nell’amministratore di fatto il soggetto attivo del reato e nel prestanome il concorrente per non avere impedito l’evento che in base alla norma citata aveva il dovere di impedire. Proprio perche’ il piu’ delle volte il prestanome non ha alcun potere d’ingerenza nella gestione della societa’ per addebitargli il concorso, questa Corte ha fatto ricorso alla figura del dolo eventuale; si e’ sostenuto cioe’ che il prestanome accettando la carica ha anche accettato i rischi connessi a tale carica (cfr. Cass. 26 gennaio, 2006 n. 7208; Cass. 6 aprile 2006 n. 22919, Cass. 26 novembre 1999 Dragomir Rv 215199).
In base al Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, articolo 1, comma 4, la dichiarazione dei soggetti diversi dalle persone fisiche e’ sottoscritta a pena di nullita’ dal rappresentante legale e, in mancanza, da chi ne ha l’amministrazione anche di fatto, o da un rappresentante negoziale. Il rappresentante legale si deve considerare mancante, non solo quando manca la nomina, ma anche in presenza di un prestanome che non ha alcun potere o ingerenza nella gestione della societa’ e, quindi, non e’ in condizione di presentare la dichiarazione perche’ non dispone dei documenti contabili detenuti dall’amministratore di fatto. In tale situazione l’intraneo e’ colui che, sia pure di fatto, ha l’amministrazione della societa’ mentre al prestanome il fatto potrebbe essergli addebitato a titolo di concorso a norma dell’articolo 2392 c.c., e articolo 40 cpv. c.p., a condizione che ricorra l’elemento soggettivo proprio del singolo reato.
Tale principio si riscontra anche in materia di sanzioni amministrative tributarie.
Il Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 11, parifica il legale rappresentante all’amministratore di fatto sancendo formalmente la diretta responsabilita’ per le sanzioni anche degli amministratori di fatto.
Il principio dell’equiparazione dell’amministratore di fatto a quello di diritto e’ stato recepito dal legislatore in occasione della riforma del diritto societario. Dispone l’articolo 2639 c.c., introdotto con il Decreto Legislativo n. 6 del 2003, che per i reati societari previsti dal titolo quindicesimo del libro quinto del codice civile al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge e’ equiparato chi esercita in materia continuativa i poteri previsti dalle legge. La norma, ancorche’ riferita esplicitamente ai reati societari previsti dal codice civile, contiene la codificazione di un principio generale applicabile ad altri settori penali dell’ordinamento e per la sua natura interpretativa e’ applicabile anche ai fatti pregressi (sull’applicabilita’ ai fatti pregressi cfr. in motivazione Cass. n. 7203 del 2008). Tale principio incide non solo sulla configurabilita’ del concorso dell’amministratore di fatto nei reati commissivi, ma anche in quelli omissivi propri, nel senso che autore principale del reato e’ proprio l’amministratore di fatto salva la partecipazione di estranei all’amministrazione secondo le regole del concorso di persone nel reato (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23425/2011 cit.).
Orbene, nel caso di specie, dalla stessa sentenza impugnata risulta che il (OMISSIS), era stato comunque formalmente amministratore di diritto della (OMISSIS) srl dal 2.1.2008 e che “la sua veste giuridica in azienda era solo un escamotage per consentire all’impresa di continuare ad avvalersi della prestazione di un dipendente particolarmente abile ed esperto nel campo delle vendite”.
Non risulta pero’ che egli fosse completamente privo di poteri di ingerenza o della capacita’ di disporre di documentazione, anzi nella sentenza si da atto della verifica del bilancio da lui effettuata, nonche’ del fatto che nel 2008 egli si era dovuto occupare di debitori morosi e del compito, a lui affidato, “di versare i danari sociali in banca”.
Il giudice di merito avrebbe allora dovuto porsi il problema del dolo eventuale dell’amministratore di diritto “prestanome”, mentre invece ha concentrato la sua indagine esclusivamente sul ruolo di direttore commerciale di fatto esercitato e sulla sostanziale estraneita’ del (OMISSIS) alla vita economica dell’impresa, gestita di fatto da altri: un tale percorso argomentativo pero’, si rivela non in linea con gli esposti principi di diritto e pertanto la sentenza deve essere annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia per nuovo esame.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia.

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