cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 12 maggio 2015, n. 9595

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARLEO Giovanni – Presidente

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26732/2011 proposto da:

(OMISSIS) ((OMISSIS)), (OMISSIS) ((OMISSIS)) e (OMISSIS) ((OMISSIS)), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) giuste rispettive procure speciali a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) S.P.A., quale incorporante di (OMISSIS) S.P.A., in persona del Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 271/2011 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 12/05/2011, R.G.N. 302/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

RITENUTO IN FATTO

1. – La (OMISSIS) S.p.A. agi’ in giudizio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al fine di ottenere, ai sensi dell’articolo 2901 c.c., la declaratoria di inefficacia del contratto definitivo di compravendita immobiliare, stipulato con rogito del (OMISSIS), con il quale il (OMISSIS) e la (OMISSIS) (fideiussori della (OMISSIS) s.r.l. per finanziamenti a questa concessi dalla societa’ attrice e successivamente debitori della medesima per euro 99.992,67 in forza di decreto ingiuntivo emesso il 22 giugno 2004) avevano alienato al (OMISSIS), a seguito di preliminare per persona da nominare stipulato il 26 febbraio 2004 con la (OMISSIS), la nuda proprieta’ di un magazzino e di due fabbricati di civile abitazione per un prezzo complessivo (gia’ corrisposto) di euro 65.000,00, con riserva dell’usufrutto generale del primo in favore di (OMISSIS) (padre di (OMISSIS)) e del diritto di abitazione vitalizia dei secondi in favore dei convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS).

1.1. – L’adito Tribunale di Perugia, respinte le richieste istruttorie dei convenuti, con sentenza dell’aprile 2003, dichiarata la carenza di legittimazione passiva di (OMISSIS) (per essersi la stessa limitata alla stipula del preliminare avente efficacia soltanto obbligatoria ed inidoneo a determinare il trasferimento dei beni immobili), in accoglimento della domanda attorea, dichiaro’ l’inefficacia del contratto di compravendita, con condanna degli altri convenuti al pagamento delle spese processuali.

2. – Avverso tale sentenza proponevano impugnazione (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che la Corte di appello di Perugia, previa estromissione del giudizio della (OMISSIS) S.p.A., per esser intervenuta in suo luogo la (OMISSIS) S.p.A., rappresentata dalla (OMISSIS) S.p.A., respingeva con sentenza resa pubblica il 12 maggio 2011.

2.1. – La Corte territoriale, rigettata la richiesta degli appellanti di ammissione di prova testimoniale (in quanto avente ad oggetto circostanze “di per se’ non incompatibili, anche se in ipotese vere, con la situazione accertata in sentenza”), osservava che era “pacifica la qualita’ di debitori della Banca degli alienanti e certo il pregiudizio” a quest’ultima derivante “dalla alienazione di tutto il loro patrimonio immobiliare, considerata la notevole entita’ del credito, anch’essa non contestata”.

2.2. – Quanto al requisito della scientia damni, il giudice di appello, ritenuta “evidente” la consapevolezza degli alienanti di recare pregiudizio alle ragioni del creditore (in quanto garanti dell’esposizione debitoria della societa’ (OMISSIS), avendo quindi venduto tutto il loro patrimonio immobiliare solo pochi giorni dopo la revoca degli affidamenti alla societa’ garantita), reputava che “altrettanto evidente” fosse una tale consapevolezza in capo all’acquirente, giacche’, “a prescindere dalla congruita’ del prezzo, la presenza di usufrutto e di un diritto di abitazione gravante sulla proprieta’ rendeva praticamente impossibile rivendere i beni ad un prezzo apprezzabilmente superiore a quello di acquisto”, la’ dove, peraltro, l’eta’ dei riservatari non era “cosi’ veneranda da indurre ad ipotizzare probabile un loro decesso nel breve periodo”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono con unico atto (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), affidando le sorti dell’impugnazione a due motivi.

Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la (OMISSIS) S.p.A. (quale incorporante della (OMISSIS) S.p.A.).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli articoli 2901, 2932 e 2697 c.c., “per avere l’impugnata sentenza immotivatamente, ingiustamente e contraddittoriamente omesso di valutare: a) che il contratto definitivo oggetto di revocatoria dei primi giudici e’ stato stipulato in esecuzione di precedente contratto preliminare e, dunque, non e’ revocabile; b) l’esistenza della scientia fraudis in capo al terzo contraente, dopo averla esclusa in capo al promissario acquirente sua dante causa”.

La Corte territoriale avrebbe errato nel revocare l’atto di compravendita giacche’ atto dovuto per esser stato stipulato in adempimento di un’obbligazione e cioe’ in esecuzione del precedente contratto preliminare tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS), promittenti venditori, e la (OMISSIS), promissaria acquirente.

Inoltre, in relazione al presupposto soggettivo dell’azione revocatoria, il relativo accertamento avrebbe dovuto essere compiuto in capo alla (OMISSIS), giacche’ da correlarsi al momento in cui “si consuma la libera scelta del terzo” e, dunque, all’atto del contratto preliminare: (OMISSIS) che era stata l’unico soggetto “ad avere avuto contatti sia con i venditori che con l’acquirente”. Tuttavia, a seguito della declaratoria di carenza di legittimazione passiva della stessa (OMISSIS), quale statuizione passata in cosa giudicata in difetto di impugnazione, nessun accertamento era stato compiuto circa la consapevolezza del terzo di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie, quale requisito che non poteva “sussistere di certo in capo al (OMISSIS), subentrato alla (OMISSIS) solamente al momento della stipula del definitivo”. Dunque, rispetto alla (OMISSIS), che aveva stipulato il preliminare e che “aveva ceduto la propria posizione contrattuale al (OMISSIS)” (con il quale era stato stipulato il contratto definitivo), doveva reputarsi “presupposta la buona fede” sicche’, essendo costei l'”unico soggetto in capo al quale l’accertamento” del consilium fraudis “avrebbe dovuto essere compiuto”, la compravendita non poteva essere revocata. Peraltro, neppure nei confronti del (OMISSIS) era stata dimostrata la sussistenza della conoscenza del pregiudizio arrecato al creditore, non potendo le presunzioni operare in una indagine “psicologica” e, comunque, non essendo idonei “ad indagare sulla sfera soggettiva del terzo acquirente” gli elementi valorizzati dal giudice del merito.

1.1. – Il motivo e’ infondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo e’ conforme a diritto, va integrata come segue.

1.2. – In ipotesi di azione revocatoria ordinaria (articolo 2901 c.c.), che abbia ad oggetto come atto dispositivo del patrimonio del debitore una vendita immobiliare attuatasi secondo la scansione contratto preliminare/contratto definitivo, trova applicazione, secondo l’orientamento al quale, ormai stabilmente, fa capo la giurisprudenza di questa Corte, il principio di diritto di seguito evidenziato.

La sussistenza dell’eventus damni rispetto al creditore procedente va valutata rispetto al momento della stipula del contratto definitivo, verificandosi solo in tale momento il compimento di un atto dispositivo del patrimonio del debitore; mentre, l’elemento soggettivo richiesto dall’articolo 2901 c.c., in capo al terzo acquirente (nelle diverse configurazioni rilevanti secondo la previsione legislativa), va valutato rispetto al momento della stipula del preliminare, dovendosi contemperare, per rispettare la ratio dell’azione revocatoria, la garanzia patrimoniale dei creditori con l’affidamento del terzo nello svolgimento della propria autonomia privata (cosi’ da ultimo Cass., 18 agosto 2011, n. 17365; in precedenza, nello stesso senso, Cass., 16 aprile 2008, n. 9970 e Cass., 20 agosto 2009, n. 18528; nella medesima prospettiva, anche Cass., 18 ottobre 1991, n. 11025).

1.3. – Un siffatto orientamento, che distingue, nella dinamica dell’accertamento dei presupposti dell’azione revocatoria esercitata nella specifica fattispecie di alienazione di bene gia’ promesso in vendita, il profilo oggettivo della diminuzione del patrimonio del debitore (il venditore) o del pericolo del suo depauperamento dal profilo soggettivo del consilium fraudis, esibisce convincenti giustificazioni (segnatamente, declinate dalla citata Cass. n. 9970 del 2008, da cui le citazioni che seguono), che il Collegio intende ribadire.

L’ancoraggio dell’accertamento dell’esistenza dell’eventus damni al momento della stipula del contratto definitivo si correla alla stessa natura dell’azione revocatoria, quale intesa, oggettivamente, a rimuovere un effetto pregiudizievole per i creditori derivante dal compimento di un atto dispositivo del patrimonio del debitore: la’ dove il preliminare di vendita “ha una portata dispositiva solo potenziale e futura”, e’ soltanto con il contratto definitivo che si determina la riduzione del patrimonio immobiliare del debitore e che, dunque, si realizza “il concreto pericolo di un effetto lesivo per il ceto creditorio”.

Diversamente, quanto al presupposto soggettivo dell’azione revocatoria, la stessa configurazione di tale rimedio impone di contemperare il profilo oggettivo degli effetti dell’atto pregiudizievole (a carattere oneroso) con l’affidamento dei terzi nella conclusione dell’atto stesso, dovendosi quindi “garantire l’operativita’ della tutela revocatoria solo in quanto essa sia in grado di rispettare la tutela dell’affidamento del terzo nella possibilita’ di obbligarsi con la stipulazione di un contratto cui ha interesse”.

Sicche’, nel disegno codicistico, la tutela del terzo si sostanzia nella ricorrenza di “uno stato soggettivo di buona fede che precipuamente viene identificato nell’assenza dell’elemento del consilium fraudis”. E il “momento rilevante ai fini della valutazione della sussistenza di tale requisito soggettivo e’ quindi necessariamente quello in cui si consuma la libera scelta del terzo”.

Pertanto, in caso di vendita di bene promesso, il requisito soggettivo dell’azione revocatoria non potra’ che essere accertato in riferimento al momento di conclusione del contratto preliminare, giacche’ e’ questo il momento in cui si risolve “la valutazione di priorita’ della tutela da accordare alla conservazione della garanzia patrimoniale per i creditori o alla conservazione della scelta negoziale del terzo”. Terzo che, una volta impegnatosi in buona fede a vendere in forza del contratto preliminare, non puo’ essere costretto, ove acquisti successivamente la consapevolezza della potenzialita’ lesiva dell’atto, “a richiedere la risoluzione del contratto per sottrarsi a tale cooperazione con il debitore nella perpetrazione dell’eventus damni”, giacche’ esso terzo e’ ormai “titolare di un diritto acquisito in buona fede al trasferimento del bene rispetto al quale la tutela dell’integrita’ del patrimonio del debitore diventa necessariamente sub-valente proprio perche’ scopo e funzione dell’azione revocatoria e’ quello di rendere inefficace gli atti perpetrati in danno delle ragioni dei creditori”.

Dunque, “la buona fede al momento della stipulazione del preliminare rende definitivamente estraneo il terzo al consilium fraudis”.

1.4. – La centralita’, sempre in tema di azione revocatoria ordinaria, che riveste l’elemento della liberta’ negoziale – la cui definitiva consumazione, come detto, segna il discrimine tra possibilita’, o meno, di dare rilievo a stati soggettivi che si formino successivamente a detto momento – trova ulteriori conferme nella giurisprudenza di questa Corte.

Si e’ difatti affermato (Casa., 4 luglio 2006, n. 15265) che, “tra gli atti non soggetti a revoca a norma dell’articolo 2901 c.c., comma 3, in quanto compiuti in adempimento di un’obbligazione (cosiddetti atti dovuti), quali i contratti conclusi in esecuzione di un contratto preliminare di vendita, non rientrano gli atti di vendita di immobili locati ad uso non abitativo, per i quali venga esercitato il diritto di prelazione da parte del conduttore. In tal caso il locatore, solo se decide di vendere, liberamente determinandosi in tal senso, e’ obbligato a vendere al conduttore che si avvalga del diritto di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 38, con la conseguenza che, nel concorso delle condizioni previste dall’articolo 2901 c.c., detta vendita e’ revocabile ad istanza del creditore del locatore che abbia alienato l’immobile”.

Cio’ sul presupposto che l’azione revocatoria “e’ diretta a colpire gli atti che il debitore compia superando i limiti della sfera di liberta’ che gli e’ assegnata; non sono, pertanto, suscettibili di revocazione gli atti in relazione ai quali il debitore non ha margini di discrezionalita’ e, cioe’, gli atti che egli e’ tenuto a compiere per adempiere un’obbligazione”.

Del resto, e’ nella stessa ratio dell’articolo 2901 c.c., comma 3 – secondo cui “non e’ soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto” – che la liberta’ negoziale opera da discrimine tra atto revocabile o meno, giacche’ la non revocabilita’ in esso prevista attiene (per non essere astrattamente configurabili gli estremi dell’eventus damni e del consilium fraudis) ai soli atti di adempimento in senso stretto del debito scaduto, “in quanto non forieri di una modificazione patrimoniale volontaria comportante rischi di compromissione delle ragioni di altri creditori”. Con la conseguenza che la costituzione di ipoteca e’ ben revocabile, in quanto “non si configura come atto dovuto, poiche’ la doverosita’ deve essere intesa in senso tecnico-giuridico di vincolo all’adempimento di un’obbligazione gia’ in precedenza assunta e tale non e’ la prestazione di garanzia convenuta ex novo o prestata volontariamente” (Cass., 25 novembre 2002, n. 16570; analogamente, Cass., 16 marzo 2010, n. 6321).

1.5. – I principi innanzi rammentati devono trovare peculiare applicazione nella fattispecie oggetto di controversia, che presenta connotati diversi, e singolari, rispetto ai casi in cui la giurisprudenza sopra richiamata ha avuto modo di pronunciarsi.

Nel caso di specie e’ incontroverso, in forza dell’accertamento compiuto dalla sentenza impugnata, che, tra i promittenti venditori (OMISSIS) e (OMISSIS) e la promissaria acquirente (OMISSIS), e’ stato stipulato un contratto preliminare di compravendita immobiliare “per persona da nominare” e che in sede di stipula del contratto definitivo la (OMISSIS) provvedeva alla electio amici nei confronti del (OMISSIS), il quale, nel medesimo contesto, l’accettava.

In questo senso convergono pacificamente anche le allegazioni delle parti in causa, essendo gli stessi ricorrenti ad insistere nella circostanza che il (OMISSIS) e’ “subentrato alla (OMISSIS) solamente al momento della stipula del definitivo” (p. 9 ricorso) e che tale ultimo contratto “venne realizzato tra i signori (OMISSIS) e (OMISSIS), nella veste di venditori, e il sig. (OMISSIS) nella veste di acquirente, che si incontravano per la prima e unica volta dinanzi al Notaio” (p. 12 ricorso).

1.6. – Come piu’ volte affermato da questa Corte, il “tratto peculiare del contratto per persona da nominare” (articolo 1401 c.c.), in cui la riserva di nomina del terzo determina una parziale indeterminatezza soggettiva del contratto a soggetto alternativo, va ravvisato nel “subentrare nel contratto di un terzo – per effetto della nomina e della sua contestuale accettazione – che, prendendo il posto del contraente originario (lo stipulante), acquista i diritti ed assume gli obblighi correlativi nei rapporti con l’altro contraente (promittente) determinando, inoltre, la contemporanea fuoriuscita dal contratto dello stipulante, con effetto retroattivo, per cui il terzo si considera fin dall’origine unica parte contraente contrapposta al promittente e a questa legata dal rapporto costituito dall’originario stipulante” (Cass., 17 marzo 1995, n. 3115; analogamente, tra le tante, Cass., 10 ottobre 2002, n. 14460; Cass., 30 ottobre 2009, n. 23066; Cass., 21 marzo 2013, n. 7217).

1.7. – Sicche’, nella specie – diversamente dall’ipotesi di alienazione di un bene immobile gia’ promesso in vendita, in cui non vi e’ mutamento delle parti che abbiano stipulato sia il contratto preliminare, che quello definitivo l’esistenza di un contratto preliminare di vendita “per persona da nominare”, che ha visto realizzarsi gli effetti della dichiarazione di nomina (articolo 1404 c.c.) in sede di conclusione del contratto definitivo, non consente, anzitutto, di ritenere “terzo” ai fini dell’azione revocatoria il soggetto (la (OMISSIS)) che ha stipulato il contratto preliminare, giacche’ detto “terzo” va individuato nella persona dell’accettante la dichiarazione di nomina (il (OMISSIS)), che ha acquistato i diritti ed assunto gli obblighi “derivanti dal contratto con effetto dal momento in cui questo fu stipulato” (articolo 1404 cit.), determinando la fuoriuscita dallo stesso contratto dell’originario stipulante il vincolo preliminare.

Nel caso all’esame, “terzo” e’ unicamente l’acquirente (OMISSIS), il quale soltanto, del resto, si e’ avvantaggiato dell’atto di disposizione patrimoniale (alienazione dei beni immobili) dei debitori (OMISSIS) e (OMISSIS), venditori dei beni medesimi.

1.8. – Quanto allo stato soggettivo rilevante ai fini della revoca dell’atto dispositivo pregiudizievole, trova rilievo, nella fattispecie, il regime che il codice civile stabilisce in materia di rappresentanza, con la disciplina recata dall’articolo 1391 c.c..

Un siffatto approdo e’ coerente, infatti, con la stessa giurisprudenza di questa Corte (Cass., 15 dicembre 1987, n. 9301; Cass., 4 ottobre 1983, n. n. 5777) secondo cui, nel contratto per persona da nominare, i rapporti tra il dichiarante e la persona nominata sono regolati dalla disciplina della rappresentanza volontaria e il contraente che si e’ riservata la facolta’ di nomina assume la funzione di rappresentante del terzo nell’arco di tempo che corre dalla conclusione del contratto alla dichiarazione di nomina.

Peraltro, la dottrina che non condivide pienamente una siffatta impostazione, per la sua pervasiva attrazione dell’intero operare dell’istituto del contratto per persona da nominare nell’alveo dei principi della rappresentanza, ammette che a tali principi debba comunque farsi ricorso una volta che la dichiarazione di nomina abbia avuto effetto.

1.9. – Nella prospettiva appena delineata rileva anzitutto dell’articolo 1391 c.c., comma 2, il quale radica sulla persona del rappresentato (e, dunque, del nominato accettante) la rilevanza dello stato di mala fede o di conoscenza (di “determinate circostanze”, come si esprime dello stesso articolo 1391 c.c., comma 1), che impedisce allo stesso di giovarsi dello stato di ignoranza (“di determinate circostanze”) o di buona fede del rappresentante.

La buona fede o l’ignoranza (su “determinate circostanze”) del rappresentato sposta, invece, la verifica sugli stati soggettivi (buona fede, mala fede o ignoranza) del rappresentante, che, in tal caso, prevalgono.

In tale precipua ottica, fatta propria da autorevole dottrina, si colloca la stessa giurisprudenza di questa Corte, allorquando ha affermato che, “nella ipotesi di un negozio concluso a mezzo di rappresentante, e qualora trattasi di rappresentanza volontaria, la malafede del rappresentato prevale a norma dell’articolo 1391 c.c., comma 2, sulla eventuale buona fede del rappresentante, non potendo il rappresentato trarre profitto dalla propria malizia” (Cass., 29 ottobre 1963, n. 2874).

1.10. – Una siffatta conclusione si presta, del resto, a soddisfare l’esigenza – in precedenza evidenziata – di tutela dell’affidamento del terzo nell’ambito dell’azione revocatoria ordinaria di atto dispositivo a titolo oneroso. Esigenza che, nella singolare fattispecie oggetto di scrutinio, orienta la verifica sullo stato soggettivo rilevante ex articolo 2901 c.c., anzitutto sulla persona nominata che ha accettato l’electio amici, e con riferimento al momento in cui l’accettazione e’ avvenuta, perche’ e’ in questo momento che il terzo – ossia il nominato – consuma la propria liberta’ negoziale, in forza del cui esercizio viene poi ad acquistare i diritti e ad assumere gli obblighi contrattuali ex tunc.

Sicche’, e’ in riferimento al nominato, e nel momento dell’accettazione della nomina, che – come detto -, in applicazione del citato articolo 1391 c.c., andra’ verificato che detto “terzo” abbia, o meno, la consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie dall’atto dispositivo del debitore ovvero sia partecipe della sua dolosa preordinazione (a seconda che l’atto a titolo oneroso anzidetto sia o meno anteriore al sorgere del credito: articolo 2901 c.c., comma 1, n. 2).

Ove una tale verifica dia esito negativo, prevarranno allora gli stati soggettivi dello stipulante, sui quali dovra’ spostarsi l’indagine.

E’ evidente, peraltro, che restano comunque immutati gli oneri di allegazione e prova imposti dalla fattispecie legale di cui all’articolo 2901 c.c..

1.11. – Cosi’ integrata la motivazione in diritto della Corte territoriale, risulta in ogni caso correttamente indirizzata l’indagine dalla stessa effettuata in riferimento allo stato soggettivo del (OMISSIS), quale terzo acquirente degli immobili venduti dai (OMISSIS) e (OMISSIS).

Verifica che muove da una premessa che non e’ stata affatto investita da impugnazione in questa sede (dovendosi, pertanto, ritenere ormai non piu’ suscettibile di essere messa in discussione) e che attiene alla anteriorita’ del credito della banca rispetto all’atto di disposizione patrimoniale oggetto dell’azione revocatoria (p. 9 sentenza impugnata, in cui la circostanza e’ data per “pacifica e comunque documentata”). Di qui, pertanto, la valutazione del profilo soggettivo in termini di c.d. scientia damni, ossia di consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio arrecato al creditore, la cui prova puo’ essere fornita tramite presunzioni, l’apprezzamento delle quali e’ devoluto al giudice di merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’ ove congruamente motivato (tra le tante, Cass., 17 agosto 2011, n. 17327; Cass., 5 marzo 2009, n. 5359).

Nella specie, il giudice di appello ha correttamente ed adeguatamente fatto uso della prova presuntiva, in coerenza con il principio di regolarita’ causale al quale tale riscontro deve informarsi, evidenziando a tal fine non solo che veniva alienato da parte dei debitori “tutto il loro patrimonio immobiliare” (p. 9 della sentenza impugnata) – cio’ che, per la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, Cass., 25 luglio 2013, n. 18034), gia’ integra l’esistenza e la consapevolezza in re ipsa sia in capo al debitore, che al terzo acquirente, del pregiudizio patrimoniale arrecato alle ragioni creditorie -, ma anche la presenza di una previsione contrattuale (conosciuta anche dal “nominato” terzo acquirente) di riserva di usufrutto e di diritto di abitazione sulle proprieta’ alienate, alla quale si accompagnava la circostanza che i riservatari avevano una eta’ che non faceva ipotizzare come probabile “un loro decesso nel breve periodo”.

Trattasi, quindi, di motivazione che si sottrae alle censure dei ricorrenti, le quali, del resto, si pongono su un piano di assoluta astrattezza, senza impingere nella concretezza delle ragioni espresse dal giudice del merito, e, dunque, come tali non sono in grado di scalfirne la portata.

2. – Con il secondo mezzo e’ prospettata “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 2901 c.c.. Contraddittorieta’ della ordinanza di rigetto delle richieste istruttorie, difetto di prova circa la scientia fraudis”.

La Corte territoriale avrebbe errato a non rigettare la domanda attorea in assoluto difetto di prova circa i requisiti richiesti dall’articolo 2901 c.c., in punto di “conoscenza del pregiudizio per le ragioni del creditore”, da parte di debitore e terzo, la cui sussistenza avrebbe dovuto esser dimostrata dalla banca attrice.

Inoltre, non sarebbe “condivisibile l’ordinanza di rigetto delle istanze istruttorie” avanzate dagli allora appellanti, giacche’ le prove richieste, ove ammesse, “avrebbero consentito di far luce sull’animis del terzo contraente” e sul fatto che promissario acquirente ed acquirente definitivo erano entrambi estranei “alle motivazioni che avevano spinto i venditori a stipulare l’atto”.

2.1. – Il motivo non puo’ trovare accoglimento.

Quanto alla censura in tema di onere probatorio, e’ sufficiente rinviare alle considerazioni gia’ svolte in sede di scrutinio del motivo che precede, che danno contezza invece del raggiungimento, nel caso di specie, della prova circa la consapevolezza di debitori e terzo sul pregiudizio arrecato alla banca dalla compravendita dei beni immobili dei primi (rispetto ai quali debitori la Corte territoriale evidenzia, sebbene non fosse necessario, anche un quid pluris rispetto alla mera consapevolezza e cioe’ anche la preordinazione dell’atto a “sottrarre il bene alla eventualita’ di un’azione esecutiva”: p. 10 sentenza impugnata). Con la precisazione che le doglianze dei ricorrenti non colgono la ratio decidendi la’ dove insistono sul requisito del dolo o della preordinazione dell’atto al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito, trattandosi nella specie – come gia’ accertato – di azione revocatoria di atto dispositivo a titolo oneroso successivo al sorgere del credito.

In riferimento, poi, alla censura che attiene alla mancata ammissione della prova, essa, prima ancora che infondata, e’ inammissibile, posto che i ricorrenti non hanno indicato specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova stessa, al fine di consentire alla Corte il controllo della decisivita’ dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, il giudice di legittimita’ deve essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non e’ consentito sopperire con indagini integrative (tra le tante, Cass., sez. un., 22 dicembre 2011, n. 28336).

3. – Il ricorso va, dunque, rigettato e i ricorrenti solidalmente condannati, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, al pagamento in favore della societa’ controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della societa’ controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

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