Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 11 febbraio 2015, n. 6205
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da
– (OMISSIS), n. (OMISSIS);
– (OMISSIS), n. (OMISSIS);
avverso l’ordinanza tribunale del riesame di PERUGIA in data 25/03/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G. Romano, che ha chiesto rigettarsi i ricorsi.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da
– (OMISSIS), n. (OMISSIS);
– (OMISSIS), n. (OMISSIS);
avverso l’ordinanza tribunale del riesame di PERUGIA in data 25/03/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G. Romano, che ha chiesto rigettarsi i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 25/03/2014, depositata in data 28/03/2014, il tribunale del riesame di PERUGIA, in accoglimento dell’appello cautelare proposto dal P.M. avverso il provvedimento emesso dal GIP del medesimo tribunale in data 21/02/2014 con cui era stata rigettata la richiesta dell’organo inquirente, disponeva: a) il sequestro preventivo della somma complessiva di euro 636.606,20 giacente sui cc/cc riconducibili direttamente od indirettamente all’indagato (OMISSIS) o, in caso di mancanza di liquidita’ sui medesimi conti correnti, dei beni immobili o mobili registrati riconducibili al medesimo indagato; b) il sequestro preventivo della somma complessiva risultante dalla sottrazione di euro 25.268,76 (gia’ pagati all’Erario) dalla somma di euro 798.740,00 giacente sui cc/cc riconducibili direttamente od indirettamente all’indagato (OMISSIS) o, in caso di mancanza di liquidita’ sui medesimi conti correnti, dei beni immobili o mobili registrati riconducibili al medesimo indagato; giova precisare, per migliore intelligibilita’ dell’impugnazione, che il sequestro e’ stato disposto in quanto i ricorrenti risultano indagati per i reati di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 10 bis e 10 ter, quali amministratori succedutisi nel tempo della (OMISSIS) s.r.l..
2. Hanno proposto separati ricorsi gli indagati a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari cassazionisti, impugnando l’ordinanza predetta, e deducendo complessivamente due motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, in particolare, il (OMISSIS), con l’unico motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B), con riferimento all’articolo 322 ter c.p..
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto non e’ possibile procedere al sequestro per equivalente nei confronti dell’amministratore della societa’, essendo mancata la verifica preventiva della possibilita’ di procedere al sequestro finalizzato alla confisca di denaro o altri beni fungibili o di beni direttamente collegati al profitto del reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica o in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato; poiche’, si osserva in ricorso, ogniqualvolta il profitto del reato non sia uscito dalla disponibilita’ della persona giuridica ben puo’ essere disposto, nei confronti della medesima, il sequestro finalizzato alla confisca diretta dello stesso profitto del reato, apparirebbe evidente, nel caso in esame, che il profitto del reato non sia stato locupletato dal ricorrente, che non avrebbe conseguito alcun profitto personale dalla contestata commissione del reato; il tribunale, dunque, avrebbe omesso di valutare la sussistenza dell’impossibilita’ di procedere al sequestro finalizzato alla confisca diretta nei confronti della societa’, in violazione di quanto disposto dall’articolo 322 ter c.p., che individua detta impossibilita’ quale condizione per disporre la confisca per equivalente.
2.2. Deduce, in particolare, il (OMISSIS), con l’unico motivo di ricorso, il vizio di violazione e/o erronea applicazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e C), con riferimento al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 10 bis e 10 ter, articoli 240 e 322 ter c.p., nonche’ articolo 321 c.p.p..
In sintesi, il ricorrente, nel riproporre identica censura a quella mossa dal coindagato (OMISSIS), ha inoltre sostenuto che il tribunale del riesame si sarebbe sottratto all’obbligo – prima di procedere al sequestro per equivalente nei confronti dell’amministratore – di verificare la possibilita’ di procedere al sequestro preventivo finalizzato alla confisca del credito vantato dalla societa’ dal ricorrente amministrata nei confronti di altra societa’ (la (OMISSIS) s.p.a.).
2. Hanno proposto separati ricorsi gli indagati a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari cassazionisti, impugnando l’ordinanza predetta, e deducendo complessivamente due motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, in particolare, il (OMISSIS), con l’unico motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B), con riferimento all’articolo 322 ter c.p..
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto non e’ possibile procedere al sequestro per equivalente nei confronti dell’amministratore della societa’, essendo mancata la verifica preventiva della possibilita’ di procedere al sequestro finalizzato alla confisca di denaro o altri beni fungibili o di beni direttamente collegati al profitto del reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica o in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato; poiche’, si osserva in ricorso, ogniqualvolta il profitto del reato non sia uscito dalla disponibilita’ della persona giuridica ben puo’ essere disposto, nei confronti della medesima, il sequestro finalizzato alla confisca diretta dello stesso profitto del reato, apparirebbe evidente, nel caso in esame, che il profitto del reato non sia stato locupletato dal ricorrente, che non avrebbe conseguito alcun profitto personale dalla contestata commissione del reato; il tribunale, dunque, avrebbe omesso di valutare la sussistenza dell’impossibilita’ di procedere al sequestro finalizzato alla confisca diretta nei confronti della societa’, in violazione di quanto disposto dall’articolo 322 ter c.p., che individua detta impossibilita’ quale condizione per disporre la confisca per equivalente.
2.2. Deduce, in particolare, il (OMISSIS), con l’unico motivo di ricorso, il vizio di violazione e/o erronea applicazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e C), con riferimento al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 10 bis e 10 ter, articoli 240 e 322 ter c.p., nonche’ articolo 321 c.p.p..
In sintesi, il ricorrente, nel riproporre identica censura a quella mossa dal coindagato (OMISSIS), ha inoltre sostenuto che il tribunale del riesame si sarebbe sottratto all’obbligo – prima di procedere al sequestro per equivalente nei confronti dell’amministratore – di verificare la possibilita’ di procedere al sequestro preventivo finalizzato alla confisca del credito vantato dalla societa’ dal ricorrente amministrata nei confronti di altra societa’ (la (OMISSIS) s.p.a.).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili per le ragioni di seguito esposte.
4. I motivi di impugnazione, come sinteticamente esposto nell’illustrazione degli stessi, attengono tutti alla medesima doglianza, ossia il non essere stata disposta la confisca del profitto derivante dal reato tributario “diretta” sul patrimonio della persona giuridica.
Sul punto occorre svolgere alcune puntualizzazioni.
5. Prima di chiarire le ragioni poste a fondamento della decisione di questa Corte, e’ utile rammentare i caratteri strutturali della confisca.
La confisca c.d. “diretta” (che puo’ essere obbligatoria o facoltativa) e’ una misura di sicurezza di natura ablatoria, che espropria il reo – mediante provvedimento permanente ed irrevocabile – di beni in qualche modo legati alla commissione dell’illecito: si tratta di cose utilizzate per il compimento del reato o che ad esso erano state destinate; si tratta poi del profitto, del prodotto e del prezzo del reato. Il profitto e’ il vantaggio economico realizzato mediante il fenomeno criminoso, direttamente o indirettamente (vale a dire, in questo secondo caso, mediante surrogazione o rivendita del profitto immediatamente ricavato dal reato); il prodotto del reato e’ il bene creato con l’attivita’ criminosa; infine, il prezzo e’ la prestazione data o promessa al reo al fine di motivarlo a compiere l’illecito. Particolare ipotesi costituisce l’articolo 240 c.p., comma 2, n. 2, per il quale forma oggetto di confisca obbligatoria la cosa la cui fabbricazione, detenzione, alienazione, il cui uso o porto costituiscano reato, anche se non e’ stata emessa sentenza definitiva di condanna. La disciplina codicistica e’ fornita principalmente dagli articoli 240 e 322 ter c.p., ma il fenomeno della confisca e’ variegato, in quanto la figura e’ disciplinata altresi’ da norme speciali, tra le quali si annovera – poiche’ qui di interesse – la Legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, che estende la confisca ex articolo 322 ter cit., ad alcuni reati tributari contenuti nel Decreto Legislativo n. 74 del 2000. Si ritiene che la natura giuridica della confisca sia effettivamente quella di “misura di sicurezza”, in quanto fondata sui medesimi presupposti della misura di sicurezza tout court, vale a dire il reato compiuto (o il c.d. “quasi reato”) e la pericolosita’ del reo valutata secondo una prognosi della capacita’ a delinquere ex articolo 133 c.p.. Taluno in dottrina, mettendo in dubbio quanto appena riferito, ritiene che a mancare sia proprio la pericolosita’ del reo, sostituita dalla “pericolosita’ della cosa”. A tale impostazione si obietta da altra dottrina che in realta’ sia proprio il soggetto agente ad essere pericoloso, in quanto la disponibilita’ della res mantiene viva la sua attrattiva per il compimento di ulteriori illeciti. Ecco perche’ si ripudia la concezione della confisca come sanzione sui generis, e si mantiene salda l’opzione ricostruttiva in termini di misura di sicurezza.
Palese dunque il tratto distintivo con la figura della c.d. confisca per equivalente, resa possibile da norme diverse dall’articolo 240 cit. (tra le quali lo stesso articolo 322 ter cit., richiamato dalla Legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143): quando sia accertato che il reato abbia generato un profitto o sia stato provocato dalla dazione/promessa di un prezzo, ma ne’ il profitto ne’ il prezzo siano stati materialmente rintracciati, l’Autorita’ Giudiziaria e’ abilitata a sottoporre a confisca un valore equivalente ad essi, che si trovi nella disponibilita’ del reo. Si ritiene che la confisca per equivalente abbia funzione sanzionatoria, e che dunque operi nel rispetto del principio di irretroattivita’ sfavorevole, a differenza di quanto accade per la confisca diretta, la quale, essendo misura di sicurezza, sottosta al principio ex articoli 25 Cost., comma 3, e articolo 199 c.p., che consentono la retroattivita’ sfavorevole.
V’e’ da precisare che la confisca, diretta o per equivalente, e’ uno strumento che puo’ colpire beni che si trovino nella disponibilita’ del reo, mentre non puo’ innestarsi su cose che appartengano a “persona estranea al reato”.
6. Cosi’ chiariti in astratto i termini della questione, va qui ricordato, con riferimento al motivo di ricorso comune proposto, il pensiero delle Sezioni Unite concernente la confisca “diretta” del profitto, sempre nei riguardi della persona giuridica e per reati tributari compiuti dal legale rappresentante. Il Supremo Consesso (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 – dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258647) ritiene che “e’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica” (pagina 6 della sentenza). Non sono mancate, a tal proposito, le critiche dottrinali di chi evidenzia che nel caso in parola, data la costante inapplicabilita’ del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, la confisca diretta opererebbe irragionevolmente nei confronti di beni che si trovano nella disponibilita’ di un soggetto – la persona giuridica – qualificabile (questa volta effettivamente) come estraneo al reato, e che l’operativita’ del provvedimento ablatorio sarebbe insensatamente giustificato dall’essere la persona giuridica mero “beneficiario del reato”, connotazione – quest’ultima – che non puo’ porsi come presupposto valido per la succitata tipologia di confisca. In altri termini, il concetto di estraneita’ al reato viene, cosi’, sensibilmente ridotto, coincidendo esclusivamente con una – per cosi’ dire – “estraneita’ totale” (rispetto al reato e rispetto a tutto cio’ che da esso deriva) la quale verrebbe reputata insussistente nel caso in cui la persona giuridica “entri in contatto” con le conseguenze economicamente rilevanti dell’illecito. Se cio’ e’ vero, tuttavia, osserva il Collegio come, al fine di poter disporre la confisca “diretta” del profitto (nella specie rappresentato dal mancato pagamento sia di quanto dovuto a titolo di ritenute alla fonte relative agli stipendi pagati ai dipendenti, sia dell’IVA dovuta in base alle dichiarazione annuale per i periodi di imposta di cui all’imputazione cautelare) nei confronti della persona giuridica, e’ pur sempre necessario che risulti la disponibilita’ nelle casse societarie di denaro da aggredire “direttamente”, non potendo ritenersi sussistere un obbligo per la Pubblica Accusa di dover provvedere alla preventiva ricerca anche nel caso in cui risulti ex actis l’incapienza del patrimonio dell’Ente. Ed e’ quanto verificatosi nel caso in esame, atteso che dall’esame del provvedimento impugnato, emergeva pacificamente una situazione di oggettiva illiquidita’, tant’e’ che lo stesso Ministero del Lavoro aveva approvato il programma di crisi aziendale della (OMISSIS) s.r.l. dal novembre 2010 all’ottobre 2011 e che la stessa societa’ aveva ottenuto l’autorizzazione alla C.I.G. nel 2010 e 2012, sino a cessare l’attivita’ alla fine del 2013 con cessione in affitto dell’azienda alla data dell’8 gennaio 2014. Tutti elementi, questi, che rendevano logicamente prima ancora che giuridicamente inutile una preventiva ricerca da parte del P.M. ai fini della confisca “diretta” nei confronti della persona giuridica, prima di procedere al sequestro per equivalente avente ad oggetto i beni dei ricorrenti.
7. Questa Corte, del resto, con la citata sentenza Gubert, evidenzia anche che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e’ legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili; tuttavia, non e’ richiesta la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato, poiche’, durante il tempo necessario per l’espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente. Le Sezioni Unite della Cassazione ammettono quindi il sequestro preventivo, nei confronti di una persona giuridica, finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della stessa, quando tale profitto o tali beni siano nella disponibilita’ della medesima o quando la persona giuridica risulti in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare. In tale ipotesi, secondo le Sezioni Unite, il denaro o il valore trasferito devono infatti ritenersi pertinenti alla disponibilita’ del soggetto che ha commesso il reato, in apparente vantaggio dell’ente ma, nella sostanza, a favore proprio. La decisione richiamata non ritiene, certo, possibile la confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi da suoi organi qualora non sia stato reperito il profitto del reato tributario compiuto dai medesimi organi, o anche nell’ipotesi in cui sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro, o di altri beni fungibili, o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona non estranea al reato. Tuttavia, quando, come nel caso in esame, ove la situazione di fatto della persona giuridica renda oggettivamente inutile tentare il sequestro finalizzato alla confisca “diretta” emergendo ex actis l’indisponibilita’ di risorse in capo alla persona giuridica, la regola fissata dalle Sezioni Unite (ossia la necessita’ di procedere alla confisca diretta prima che possa essere disposta quella per equivalente) non puo’ operare, sicche’ riacquista vigore la regola dettata dall’articolo 322 ter c.p., che consente il sequestro funzionale alla confisca “per equivalente” in caso di impossibilita’ di confisca diretta. Soluzione, questa, che non contrasta con il principio, affermato da questa stessa Sezione, secondo cui nei confronti di una persona giuridica e’ legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla “confisca diretta” del profitto rimasto nella disponibilita’ della stessa, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato ma non anche il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, in quanto precluso dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001 (Sez. 3, n. 39177 del 08/05/2014 – dep. 24/09/2014, P.M. in proc. Civil Vigilanza s.r.l., Rv. 260547); ed invero, l’applicazione di tale principio presuppone pur sempre che una confisca diretta nei confronti dell’Ente sia oggettivamente possibile ove ne risulti la “capienza” patrimoniale e, soprattutto, laddove sia possibile individuare con certezza che di “quel” profitto si tratti (trattandosi di reati tributari concretanti un’evasione per omissione, come nel caso in esame, le somme accantonate per il pagamento delle ritenute certificate e dell’IVA annuale dichiarata). Quando, invece, come nel caso esaminato da questo Collegio, la situazione di illiquidita’ sia conclamata (a tal punto che la societa’ debitrice risulta gia’ cessata), non ricorrono le condizioni per una confisca diretta, con conseguente operativita’ dello strumento sanzionatorio della confisca “per equivalente”.
8. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non ricorrendo ragioni di esonero, anche al pagamento della somma di euro 1000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
4. I motivi di impugnazione, come sinteticamente esposto nell’illustrazione degli stessi, attengono tutti alla medesima doglianza, ossia il non essere stata disposta la confisca del profitto derivante dal reato tributario “diretta” sul patrimonio della persona giuridica.
Sul punto occorre svolgere alcune puntualizzazioni.
5. Prima di chiarire le ragioni poste a fondamento della decisione di questa Corte, e’ utile rammentare i caratteri strutturali della confisca.
La confisca c.d. “diretta” (che puo’ essere obbligatoria o facoltativa) e’ una misura di sicurezza di natura ablatoria, che espropria il reo – mediante provvedimento permanente ed irrevocabile – di beni in qualche modo legati alla commissione dell’illecito: si tratta di cose utilizzate per il compimento del reato o che ad esso erano state destinate; si tratta poi del profitto, del prodotto e del prezzo del reato. Il profitto e’ il vantaggio economico realizzato mediante il fenomeno criminoso, direttamente o indirettamente (vale a dire, in questo secondo caso, mediante surrogazione o rivendita del profitto immediatamente ricavato dal reato); il prodotto del reato e’ il bene creato con l’attivita’ criminosa; infine, il prezzo e’ la prestazione data o promessa al reo al fine di motivarlo a compiere l’illecito. Particolare ipotesi costituisce l’articolo 240 c.p., comma 2, n. 2, per il quale forma oggetto di confisca obbligatoria la cosa la cui fabbricazione, detenzione, alienazione, il cui uso o porto costituiscano reato, anche se non e’ stata emessa sentenza definitiva di condanna. La disciplina codicistica e’ fornita principalmente dagli articoli 240 e 322 ter c.p., ma il fenomeno della confisca e’ variegato, in quanto la figura e’ disciplinata altresi’ da norme speciali, tra le quali si annovera – poiche’ qui di interesse – la Legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, che estende la confisca ex articolo 322 ter cit., ad alcuni reati tributari contenuti nel Decreto Legislativo n. 74 del 2000. Si ritiene che la natura giuridica della confisca sia effettivamente quella di “misura di sicurezza”, in quanto fondata sui medesimi presupposti della misura di sicurezza tout court, vale a dire il reato compiuto (o il c.d. “quasi reato”) e la pericolosita’ del reo valutata secondo una prognosi della capacita’ a delinquere ex articolo 133 c.p.. Taluno in dottrina, mettendo in dubbio quanto appena riferito, ritiene che a mancare sia proprio la pericolosita’ del reo, sostituita dalla “pericolosita’ della cosa”. A tale impostazione si obietta da altra dottrina che in realta’ sia proprio il soggetto agente ad essere pericoloso, in quanto la disponibilita’ della res mantiene viva la sua attrattiva per il compimento di ulteriori illeciti. Ecco perche’ si ripudia la concezione della confisca come sanzione sui generis, e si mantiene salda l’opzione ricostruttiva in termini di misura di sicurezza.
Palese dunque il tratto distintivo con la figura della c.d. confisca per equivalente, resa possibile da norme diverse dall’articolo 240 cit. (tra le quali lo stesso articolo 322 ter cit., richiamato dalla Legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143): quando sia accertato che il reato abbia generato un profitto o sia stato provocato dalla dazione/promessa di un prezzo, ma ne’ il profitto ne’ il prezzo siano stati materialmente rintracciati, l’Autorita’ Giudiziaria e’ abilitata a sottoporre a confisca un valore equivalente ad essi, che si trovi nella disponibilita’ del reo. Si ritiene che la confisca per equivalente abbia funzione sanzionatoria, e che dunque operi nel rispetto del principio di irretroattivita’ sfavorevole, a differenza di quanto accade per la confisca diretta, la quale, essendo misura di sicurezza, sottosta al principio ex articoli 25 Cost., comma 3, e articolo 199 c.p., che consentono la retroattivita’ sfavorevole.
V’e’ da precisare che la confisca, diretta o per equivalente, e’ uno strumento che puo’ colpire beni che si trovino nella disponibilita’ del reo, mentre non puo’ innestarsi su cose che appartengano a “persona estranea al reato”.
6. Cosi’ chiariti in astratto i termini della questione, va qui ricordato, con riferimento al motivo di ricorso comune proposto, il pensiero delle Sezioni Unite concernente la confisca “diretta” del profitto, sempre nei riguardi della persona giuridica e per reati tributari compiuti dal legale rappresentante. Il Supremo Consesso (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 – dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258647) ritiene che “e’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica” (pagina 6 della sentenza). Non sono mancate, a tal proposito, le critiche dottrinali di chi evidenzia che nel caso in parola, data la costante inapplicabilita’ del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, la confisca diretta opererebbe irragionevolmente nei confronti di beni che si trovano nella disponibilita’ di un soggetto – la persona giuridica – qualificabile (questa volta effettivamente) come estraneo al reato, e che l’operativita’ del provvedimento ablatorio sarebbe insensatamente giustificato dall’essere la persona giuridica mero “beneficiario del reato”, connotazione – quest’ultima – che non puo’ porsi come presupposto valido per la succitata tipologia di confisca. In altri termini, il concetto di estraneita’ al reato viene, cosi’, sensibilmente ridotto, coincidendo esclusivamente con una – per cosi’ dire – “estraneita’ totale” (rispetto al reato e rispetto a tutto cio’ che da esso deriva) la quale verrebbe reputata insussistente nel caso in cui la persona giuridica “entri in contatto” con le conseguenze economicamente rilevanti dell’illecito. Se cio’ e’ vero, tuttavia, osserva il Collegio come, al fine di poter disporre la confisca “diretta” del profitto (nella specie rappresentato dal mancato pagamento sia di quanto dovuto a titolo di ritenute alla fonte relative agli stipendi pagati ai dipendenti, sia dell’IVA dovuta in base alle dichiarazione annuale per i periodi di imposta di cui all’imputazione cautelare) nei confronti della persona giuridica, e’ pur sempre necessario che risulti la disponibilita’ nelle casse societarie di denaro da aggredire “direttamente”, non potendo ritenersi sussistere un obbligo per la Pubblica Accusa di dover provvedere alla preventiva ricerca anche nel caso in cui risulti ex actis l’incapienza del patrimonio dell’Ente. Ed e’ quanto verificatosi nel caso in esame, atteso che dall’esame del provvedimento impugnato, emergeva pacificamente una situazione di oggettiva illiquidita’, tant’e’ che lo stesso Ministero del Lavoro aveva approvato il programma di crisi aziendale della (OMISSIS) s.r.l. dal novembre 2010 all’ottobre 2011 e che la stessa societa’ aveva ottenuto l’autorizzazione alla C.I.G. nel 2010 e 2012, sino a cessare l’attivita’ alla fine del 2013 con cessione in affitto dell’azienda alla data dell’8 gennaio 2014. Tutti elementi, questi, che rendevano logicamente prima ancora che giuridicamente inutile una preventiva ricerca da parte del P.M. ai fini della confisca “diretta” nei confronti della persona giuridica, prima di procedere al sequestro per equivalente avente ad oggetto i beni dei ricorrenti.
7. Questa Corte, del resto, con la citata sentenza Gubert, evidenzia anche che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e’ legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili; tuttavia, non e’ richiesta la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato, poiche’, durante il tempo necessario per l’espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente. Le Sezioni Unite della Cassazione ammettono quindi il sequestro preventivo, nei confronti di una persona giuridica, finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della stessa, quando tale profitto o tali beni siano nella disponibilita’ della medesima o quando la persona giuridica risulti in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare. In tale ipotesi, secondo le Sezioni Unite, il denaro o il valore trasferito devono infatti ritenersi pertinenti alla disponibilita’ del soggetto che ha commesso il reato, in apparente vantaggio dell’ente ma, nella sostanza, a favore proprio. La decisione richiamata non ritiene, certo, possibile la confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi da suoi organi qualora non sia stato reperito il profitto del reato tributario compiuto dai medesimi organi, o anche nell’ipotesi in cui sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro, o di altri beni fungibili, o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona non estranea al reato. Tuttavia, quando, come nel caso in esame, ove la situazione di fatto della persona giuridica renda oggettivamente inutile tentare il sequestro finalizzato alla confisca “diretta” emergendo ex actis l’indisponibilita’ di risorse in capo alla persona giuridica, la regola fissata dalle Sezioni Unite (ossia la necessita’ di procedere alla confisca diretta prima che possa essere disposta quella per equivalente) non puo’ operare, sicche’ riacquista vigore la regola dettata dall’articolo 322 ter c.p., che consente il sequestro funzionale alla confisca “per equivalente” in caso di impossibilita’ di confisca diretta. Soluzione, questa, che non contrasta con il principio, affermato da questa stessa Sezione, secondo cui nei confronti di una persona giuridica e’ legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla “confisca diretta” del profitto rimasto nella disponibilita’ della stessa, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato ma non anche il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, in quanto precluso dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001 (Sez. 3, n. 39177 del 08/05/2014 – dep. 24/09/2014, P.M. in proc. Civil Vigilanza s.r.l., Rv. 260547); ed invero, l’applicazione di tale principio presuppone pur sempre che una confisca diretta nei confronti dell’Ente sia oggettivamente possibile ove ne risulti la “capienza” patrimoniale e, soprattutto, laddove sia possibile individuare con certezza che di “quel” profitto si tratti (trattandosi di reati tributari concretanti un’evasione per omissione, come nel caso in esame, le somme accantonate per il pagamento delle ritenute certificate e dell’IVA annuale dichiarata). Quando, invece, come nel caso esaminato da questo Collegio, la situazione di illiquidita’ sia conclamata (a tal punto che la societa’ debitrice risulta gia’ cessata), non ricorrono le condizioni per una confisca diretta, con conseguente operativita’ dello strumento sanzionatorio della confisca “per equivalente”.
8. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non ricorrendo ragioni di esonero, anche al pagamento della somma di euro 1000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
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