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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 1 agosto 2013, n. 33315

Ritenuto in fatto

F.A. e F.G. venivano rinviati a giudizio rispettivamente per i reati di violazione di norme antinfortunistiche ex art. 4 e 391 e 47 co. 2 DPR 547/55 e lesioni colpose aggravate ex art. 113, 590 co. 3 c.p. il primo e per le sole lesioni il secondo. In data (OMISSIS) , infatti, P.I. , assunto il giorno precedente dalla ditta “Costruzioni Meccaniche Flati Alessandro di Flati A. & P. s.n.c.”, nell’eseguire da solo il taglio di lamiere sottili con una cesoia a ghigliottina, dopo aver tolto la protezione frontale ai pressori e alla cesoia del macchinario si veniva a trovane con le mani a contatto con i suddetti dispositivi ed azionando con il pedale la cesoia si procurava gravi lesioni alle falangi di entrambe le mani. A seguito di tale episodio aveva inizio un procedimento penale a carico degli odierni imputatati ai quali si contestava di aver, nelle rispettive qualità di preposto e di legale rappresentante della ditta, omesso la nomina di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione antinfortunistica e di non aver provveduto ad effettuare una specifica valutazione dei rischi comportati dalle lavorazioni dell’azienda, lavorazioni caratterizzate dall’impiego di macchinari pericolosi. Inoltre agli stessi si attribuiva l’ulteriore manchevolezza di non aver controllato l’attuazione ed il rispetto da parte dei lavoratori delle necessarie misure di sicurezza durante lo svolgimento delle lavorazioni con macchinari pericolosi; controllo, questo, necessario specie con riguardo a persone appena assunte come il P. .
All’esito del giudizio il Tribunale di Roma, con sentenza emessa in data 29 gennaio 2008, assolveva F.A. in merito al reato di cui all’art. 47 co. 2 DPR 547/55 e riconosceva la penale responsabilità di entrambi gli imputati per i restanti reati loro ascritti. Condannava entrambi alla pena dell’ammenda di 200 Euro ed il solo F.G. anche alla pena dell’ammenda di 200 Euro per il reato di cui agli artt. 4 e 391 DPR 547/55 con la sospensione condizionale della pena per entrambi e la non menzione per il solo F.A. .
Proposto appello dal difensore degli imputati, la Corte di appello di Roma ha dichiarato il non doversi procedere con riguardo al reato di cui agli artt. 4 e 391 DPR 547/55 per intervenuta prescrizione e ha confermato nel resto l’impugnata sentenza.
Avverso tale sentenza ha proposto appello il difensore degli imputati per i seguenti motivi: 1) Mancanza e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 co. 1 lett. e c.p.p. con riferimento al mancato accoglimento del primo motivo di gravame in merito all’attribuzione della responsabilità per la causazione dell’evento lesivo agli imputati ed alla erronea valutazione del rapporto di causalità sottostante alle condotte colpose contestate ai medesimi.
2) Mancanza o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 co. 1 lett. e c.p.p. con riferimento al mancato accoglimento del secondo motivo di gravame relativo alla qualificazione giuridica del fatto. In particolare la difesa lamenta la mancanza di adeguata motivazione con riguardo alla negata esclusione dell’aggravante circa la gravita delle lesioni.
3) Intervenuta prescrizione del reato di cui agli artt. 113, 590 co. 3 c.p.p..

Ritenuto in diritto

1. Innanzitutto occorre premettere che entrambi i motivi di ricorso pur non essendo manifestamente infondati sono privi di fondatezza ed andrebbero, quindi, rigettati.
1.2 Priva di pregio appare, infatti, la prima censura con cui si lamenta il vizio di motivazione con riguardo all’attribuzione della responsabilità per la causazione dell’evento lesivo agli imputati ed alla erronea valutazione del rapporto di causalità sottostante alle condotte colpose contestate ai medesimi. In particolare, la difesa rileva come la Corte di appello abbia totalmente ed ingiustificatamente disatteso le argomentazioni addotte dalla difesa liquidandole con una succinta motivazione ed insiste sul fatto che il P. aveva spontaneamente rimosso le protezioni dal macchinario e lo aveva fatto durante la pausa pranzo, cioè al di fuori dell’orario lavorativo. A sostegno della propria ricostruzione i ricorrenti invocano un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate dal proprio dipendente durante il processo di lavorazione è esclusa solo ove la condotta del lavoratore risulti del tutto anomala in quanto esorbitante dalle sue mansioni, imprevedibile, incompatibile con il sistema abituale di lavoro ovvero in qualche modo abnorme.
Sul punto, però, la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (vedi Cass. 23292/2011).
Alla luce di tale precisazione si deve concludere che il comportamento tenuto dal P. , seppur altamente imprudente, non può ritenersi abnorme rispetto alle mansioni svolte né del tutto imprevedibili. Dunque esso non esclude la responsabilità dei suoi datori di lavoro per le lesioni da esso riportate.
1.2 Al pari deve ritenersi infondato il secondo motivo di gravame con cui si censura la mancanza di adeguata motivazione con riguardo alla negata esclusione dell’aggravante circa la gravita delle lesioni. In realtà la Corte di appello si sofferma sul punto precisando come, nonostante un sensibile recupero della capacità prensile da parte del P. , i postumi legati alla perdita di buona parte delle prime falangi delle dita di entrambe le mani continuino ad essere di gravità tale da ritenere sussistente l’aggravante de quo.
2. Risulta invece fondato e deve essere accolto il terzo motivo di ricorso con cui si eccepisce la intervenuta prescrizione del reato di lesioni. Quest’ultimo, infatti, è stato accertato in data 9 settembre 2003.

Trattandosi di delitto per il quale la legge prevede la pena della detenzione da uno a tre anni, considerate le sospensioni – dal 23 aprile 2007 al 19 luglio 2007 e dal 8 luglio 2007 al 12 novembre 2007 – il termine finale di prescrizione è maturato in data 2 settembre 2011. Come è stato più volte precisato da questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129 co. 2 c.p.p. soltanto qualora le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, in modo tale che la valutazione richiesta al giudice risulti più vicina al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di ulteriori accertamenti (Cass., Sez. Un., 35490/2009).
Orbene, come si evince dalle considerazioni in precedenza svolte, nel caso di specie non ricorrono le anzidette condizioni. Dunque va senz’altro applicata la causa estintiva in esame con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per essere i reati estinti per prescrizione.

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