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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 26 luglio 2013, n. 18133

Svolgimento del processo

La società Siet s.p.a. in persona del suo liquidatore in carica depositava ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo al Tribunale dì Catania che con decreto 16 luglio 2010 dichiarava aperta la procedura. In data 8 febbraio 2011 il Commissario giudiziale depositava relazione ex art. 172 legge fall., nella quale dava atto dell’incompletezza del libro dei beni ammortizzabili che registrava movimenti intervenuti solo negli anni 2007 e 2008. Disposta la convocazione in camera di consiglio a mente dell’art. 173 legge fall. veniva sentito il professionista attestatore che dichiarava che i beni ammortizzabili erano di valore irrisorio e comunque il loro recupero comportava spesa superiore al valore di realizzo, e dava atto che nella sua relazione il liquidatore della società aveva allegato le singole fatture d’acquisto dei beni in questione, le denunce di furto e danneggiamento e i partitari contabili e prospetti di riepilogo. Su richiesta del PM. in sede il Tribunale fallimentare, con sentenza 14 aprile 2011, revocava il provvedimento d’ammissione alla procedura e dichiarava il fallimento della società a mente dell’art. 173 comma 3 legge fall., commi 1 e 3 sulla base di tre rilievi:
1.- l’omessa allegazione del registro dei beni in oggetto determinava incompletezza delle scritture contabili;
2.- la relazione del professionista non era idonea ad attestare la veridicità dei dati aziendali esposti avendo egli acriticamente recepito l’azzeramento del valore contabile dei beni sulla base della sola considerazione che essi erano ammortizzati e di scarso valore e la spesa per il loro recupero avrebbe superato l’ipotetico realizzo; 3.-la riscontrata carenza rappresentava potenziale artificio idoneo a diminuire il patrimonio sociale. La Siet proponeva reclamo alla Corte d’appello di Catania che, con sentenza n. 1309 depositata il 22 ottobre 2011, ne ha disposto l’accoglimento. Avverso quest’ultima decisione propone ricorso per cassazione il fallimento della società Siet in persona del curatore in base a due mezzi. Resiste la società Siet con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato cui resiste la curatela fallimentare con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Il ricorrente col primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 160, 161, 162 170, 171, 172 e 173 legge fall. e correlato vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo controverso. L’errore ascritto al giudice del reclamo risiederebbe: 1.- 1.- nell’asserita inutilità del
corredo alla domanda d’ammissione al concordato preventivo del libro dei beni ammortizzabili e nella prevalenza attribuita alla relazione del professionista attestatore, che rappresenta mera espressione della parte nei cui confronti assume responsabilità da affidamento derivante da contatto sociale, rispetto a quella del commissario che, di contro, opera in veste di pubblico ufficiale, a presidio della veridicità della documentazione prodotta; 1.-2.- nell’aver ritenuto la verificata pacifica omissione incidente sulla convenienza della proposta concordataria, avendo confuso e quindi sovrapposto il giudizio sul detto requisito e sulla fattibilità del piano al giudizio che attiene al controllo di legalità, non considerando che l’occultamento del registro in oggetto concreta violazione del diritto d’informazione dei creditori, avente attitudine a falsarne il giudizio; 1.-3.- nell’aver fatto malgoverno del quadro normativo citato laddove, illustrando il suo percorso critico con motivazione illogica, la Corte territoriale ha ritenuto l’obbligatorietà del libro prescritta da normativa fiscale e non civilistica, asserendone peraltro la funzione informativa comunque ricavabile aliunde, ed escludendone per l’effetto l’essenzialità senza considerare che l’occultamento di parte dell’attivo rappresenta vizio genetico della proposta concordataria, sostanziandosi nel difetto di veridicità dei dati contabili, insuscettibile di sanatoria pur in presenza del consenso dei creditori. In conclusione, la Corte distrettuale non avrebbe esercitato il prescritto controllo sulla fattibilità giuridica della proposta, che deve essere doverosamente apprezzata sotto il profilo della legalità formale, né sull’idoneità della documentazione ad essa allegata, confondendo suddetta nozione con quella della convenienza del concordato rispetto al fallimento.
2.- Col secondo mezzo il ricorrente propone medesima denuncia. L’”error juris” denunciato investirebbe la statuita irrilevanza della riscontrata omissione, aggravata dall’omessa attestazione da parte del professionista circa la veridicità dell’effettuato azzeramento del valore economico di realizzo dei beni pur a fronte di un rilevante valore contabile, che il giudice del reclamo assume non ostativa al controllo da parte del commissario circa la reale consistenza della posta attiva.
La Corte del merito, con motivazione illogica e contraddittoria, pur ascrivendo l’omesso riscontro delle poste attive di cui al libro anzidetto al profilo, irrilevante, della convenienza della proposta concordataria, ha ritenuto completa l’informazione fornita al ceto creditorio avendo escluso che l’occultamento del libro in discorso e l’atteggiamento della società costituiscano atto in frode, non essendosi concretati in un’attività decettiva, che è peraltro sanzionabile non già se potenziale ma solo se accertata. In conclusione, l’omessa produzione del libro dei beni ammortizzabili avrebbe dovuto essere apprezzata nella prospettiva sanzionatoria prevista dall’art. 173 legge fall, quale atto in frode (Cass. n. 13817 e 131818 del 23 giugno 2011), ignorato sulla base della relazione del professionista, e solo in seguito scoperto e segnalato dal commissario.
La società Siet controricorrente replica al primo motivo deducendone l’infondatezza per aver la Corte correttamente escluso che la verificata omissione avesse avuto incidenza sul giudizio d’ammissibilità della proposta concordataria, ascrivendone la rilevanza al profilo della convenienza della proposta. Esclusa l’omessa valutazione dei fatti, il tessuto motivazionale che sorregge la statuizione in parte qua sarebbe immune dai vizi dedotti. Il giudice di merito, avendo fatto buon governo del nuovo assetto normativo che regola in concordato preventivo, che nell’art. 161 legge fall., non prevede tra i requisiti d’ammissibilità della proposta la regolare tenuta delle scritture contabili, tra le quali neppure peraltro rientra il libro dei beni ammortizzabili, ha rilevato che la ravvisata lacuna era stata colmata mediante produzione di fatture d’acquisto e vendite effettuate dal liquidatore, ed ha ritenuto irrilevante il valore economico di presunto realizzo, pari a zero, incidente sulla fattibilità, rispetto al valore contabile d’iscrizione in bilancio, che correttamente venne indicato dall’attestatore e non venne contestato. Di qui l’infondatezza della denuncia d’inidoneità della relazione del professionista di cui all’art. 161 comma 3 legge fall., ad attestare la veridicità dei dati aziendali per essersi egli limitato a recepire l’azzeramento del valore contabile in questione, e la correttezza, sulla base del cennato distinguo, dell’incidenza attribuita al solo primo valore, l’unico rilevante ai fini in esame. In ordine al secondo motivo il resistente rileva che, dal momento che il valore contabile dei beni venne esposto nella situazione contabile aggiornata depositata dal professionista ai sensi dell’art. 161 e nel momento della determinazione del valore realizzabile si è proceduto all’azzeramento della posta, non vi fu occultamento ma piena disclosure dell’attivo realizzabile nei limiti in cui era possibile. Del resto il commissario segnalò come ipotesi astratta e non accertata in concreto il compimento dell’attività di dismissione dei beni, né verificò atti di depauperamento ovvero di occultamento di attivo.
Affermata in linea preliminare l’ammissibilità del ricorso, contestata infondatamente dal resistente, stante la corretta esposizione dei vizi denunciati, devesi rilevare che i motivi, congiuntamente esaminabili per l’intima connessione logica delle questioni agitate, sono destituiti di fondamento.
Sostiene nella decisione impugnata la Corte territoriale che: 1.- l’omesso deposito da parte della società del libro del beni ammortizzabili, di cui non vi è menzione neppure nella relazione del professionista attestatore che per l’effetto non ne tenne conto, non concreta omissione sanzionata dall’inammissibilità della proposta, come invece ritenuto dal Tribunale fallimentare, siccome alla luce del disposto del novellato art. 161 comma 2 legge fall., la regolare tenuta della contabilità non rappresenta requisito indefettibile per l’ammissione alla procedura e dunque neppure può costituire ragione di revoca. L’omessa acquisizione ovvero l’irregolare tenuta del libro in discorso, che è previsto peraltro dalla normativa fiscale e non da quella civilistica, non preclude la determinazione dell’esistenza, vetustà e valutazione economica dei beni, che è altrimenti verificabile, e non assume rilevanza decisiva nella procedura concordataria, né concreta fatto probatorio della non veridicità delle scritture contabili. La carenza nella relazione del professionista attestatore riscontrata dal primo giudice in parte qua, incide sulla congruità della totale svalutazione economica del dato patrimoniale, che può influenzare la fattibilità del piano, ovvero alterare il giudizio circa la convenienza del concordato che costituiscono requisiti irrilevanti ai sensi dell’art. 173 comma 3. La valutazione di attendibilità della svalutazione economica totale dei beni ammortizzabili operata nella proposta concordataria e confermata dal professionista attiene insomma a controllo di merito e non di legittimità, ed è quindi rimessa al solo ceto creditorio.
Il tessuto argomentativo in cui si articola la decisione, palesemente immune dal vizio di motivazione denunciato, illustra corretta esegesi del quadro normativo di riferimento e la conclusione, parimenti corretta, che la Corte del merito ne ha tratto in relazione alla peculiarità della vicenda in esame. Premessa indefettibile di ogni altra considerazione è che il registro dei beni ammortizzabili in discorso venne prescritto a carico degli esercenti attività d’impresa dall’art. 16 del d.p.r. n. 600/1973 perché vi fossero annotate tutte le immobilizzazioni materiali e immateriali ed al fine di rilevarne le movimentazioni, e quindi, con una prima semplificazione al fine di ridurre alcuni adempimenti contabili per imprenditori e professionisti attuata con il D.P.R. 09/12/1996, n. 695, ne è stata abolita l’obbligatorietà, potendo le annotazioni essere effettuate anche nel libro degli inventari (ex art. 2217, c.c.), per le imprese in contabilità ordinaria e nel registro IVA degli acquisti (ex art. 25, D.P.R. 633/1972), per le imprese in contabilità semplificata, sino ad ampliarne con il D.P.R. 07/12/2001, n. 435 la possibilità di deroga alla sua tenuta a condizione che le relative annotazioni venissero effettuate sul libro giornale. Non più pertanto obbligatorio a partire dalla data del 21 febbraio 1997, il registro non rientra all’evidenza tra le scritture contabili obbligatorie previste dal codice civile nell’art. 2214 c.c… Stante la sua precipua funzione di natura fiscale, essendo finalizzato ad indicare le deduzioni dal reddito d’impresa delle quote d’ammortamento dei beni strumentali (Cfr. Cass. n. 9876/2011), la sua omessa allegazione alla proposta concordataria non spiega ex se incidenza alcuna in chiave né formale né sostanziale. Non influisce, sul piano formale, sulla regolare tenuta delle scritture contabili, che peraltro, giova ricordare, sono state espunte dal catalogo dei documenti prescritti a corredo della domanda di concordato dal disposto dell’art. 161 legge fall., applicabile ratione temporis che ne affida la verifica, a mente del comma 3, alla relazione del professionista attestatore; non rileva sul piano sostanziale, potendo il valore contabile dei beni ammortizzabili desumersi dalle annotazioni contenute nei libri obbligatori citati, e quello di realizzo da ogni altra documentazione messa a disposizione dell’attestatore dall’imprenditore. È dunque priva di fondamento la tesi difensiva del ricorrente che in sostanza desume in via automatica dall’omessa acquisizione del registro in discorso l’assenza del riscontro di veridicità dei dati contabili da parte dell’attestatore ed in logica conseguenza il difetto di tale requisito, e quindi il deficit d’informazione dei creditori concretante vizio genetico della proposta concordataria, ed evoca il potere di controllo del giudice sulla fattibilità giuridica della proposta, senza però dedurre se in corso di procedura venne quanto meno allegata la non veridicità in concreto dei dati contabili attinti dai libri obbligatori, ovvero se risultò la falsità della documentazione comprovante il loro valore di realizzo. Ed invero nella specie, il professionista attestatore, che segnalò tempestivamente nella sua relazione l’omessa consegna del registro in discorso per gli ultimi due anni, secondo quanto emerge dalla scansione della vicenda procedimentale rappresentata negli atti del presente ricorso, ebbe cura di dichiarare il valore contabile dei beni che ivi avrebbero dovuto essere annotati traendolo dal bilancio, e quindi, sulla scorta degli ulteriori elementi che correttamente acquisì aliunde, ne riscontrò e dichiarò l’assenza del valore di realizzo. L’omissione, riscontrata dallo stesso professionista, non concreta pertanto all’evidenza nessuna delle condizioni che legittimano la revoca della procedura ai sensi dell’art. 173 legge fall.. Anzitutto non ha inciso sull’ammissibilità della domanda di concordato perché; come premesso, da quel registro detta istanza non doveva essere corredata ai sensi dell’art. 161 legge fall. e comunque quel registro non rappresentava libro obbligatorio, e per l’effetto neppure ne era previsto il successivo deposito ai sensi dell’art. 170 legge fall.; perché l’attestatore nel dare atto di quella mancanza, attinse correttamente il valore dei beni ammortizzabili dalle scritture contabili, nelle quali era e poteva essere indicato a partire dal 21 febbraio 1997 in cui cessò il carattere obbligatorio del registro in discorso per esigenze di semplificazione, ed attestò la veridicità di tale dato siccome pacificamente ivi regolarmente indicate-perche infine, attesa la regolarità del distinguo operato tra il valore contabile, tratto dai libri obbligatori, e quello di realizzo, eseguì siffatto ultimo calcolo attingendo ai documenti acquisiti, incontestati quanto a regolarità e veridicità. Dovendosi escludere il difetto di veridicità della relazione attesa la sua conformità in parte qua/alle scritture obbligatorie, in cui all’evidenza i valori contabili dei beni ammortizzabili erano confluiti, e dovendosi per l’effetto ritenere la legittimità del piano, i limiti del cui sindacato suggestivamente ma inopportunamente sono dal ricorrente evocati al pari della distinta funzione attribuita all’ufficio del commissario rispetto all’attività svolta dal professionista, la prescritta corretta e veritiera informativa ai creditori risulta regolarmente attuata. Non trova applicazione pertanto applicazione il disposto del cennato art. 173 comma 3 legge fall., ultimo cpv che legittima la revoca dell’ammissione al concordato e la dichiarazione di fallimento in caso di mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni d’ammissibilità del concordato.
Parimenti inapplicabile è la richiamata disposizione in relazione all’ulteriore profilo evocato nel secondo mezzo. Sostiene la Corte del merito che il potenziale artificio derivante dalla valutazione prognostica del totale azzeramento del valore economico dei beni ammortizzabili, ritenuto dal primo giudice idoneo a rappresentare ai creditori una situazione ingannevole, non potrebbe essere sanzionato con la revoca del concordato, dal momento che l’art. 173 comma 1 legge fall., ha riguardo all’accertata e non alla potenziale attività d’occultamento o dissimulazione dell’attivo, che deve essere peraltro inizialmente ignota. Simili evenienze non ricorrono nella specie sia perché l’occultamento dell’attivo non è stato accertato dal commissario ma solo ipotizzato, sia perché l’omissione non è stata scoperta in corso di procedura ma risulta evidenziata nella stessa proposta concordataria. La decisione con puntuale e logica motivazione argomenta il corretto percorso esegetico del disposto normativo riferito, cui il ricorrente contrappone argomenti di critica fondati su costruzione logica meramente astratta, secondo cui l’occultamento del registro rappresenterebbe dato irrefutabile in quanto tratto a mo’ di assiomatico corollario dalla sua omessa acquisizione da cui, ancora in automatica consequenzialità, discenderebbe l’occultamento da parte dell’imprenditore dei beni ammortizzati, siccome indicati dal professionista a valore di realizzo pari a zero. Meramente supposto/’ ma non assistito da specifica allegazione, siffatto percorso critico non trova il necessario sostegno, che la Corte del merito avrebbe ignorato, dal momento che l’attività d’occultamento di attivo da distribuire ai creditori non venne accertata dal commissario, che la prospettò solo in via meramente presuntiva quale ipotesi astratta non concretasi in constatata attività di dismissione dei beni ovvero del loro depauperamento o occultamento, di cui non vi è cenno nella stessa difesa del ricorrente né tanto meno nel decreto di revoca del concordato. La tesi difensiva del ricorrente in conclusione declina in via assiomatica i fatti nell’archetipo dell’atto in frode, non contrapponendo dati concreti ai rilievi correttamente argomentati dalla Corte territoriale(che ha predicato per la configurabilità dell’ipotesi considerata la prova dei fatti sottostanti e la loro successiva scoperta. L’esclusione del valore di realizzo dei beni, che in sostanza concreterebbe l’attività fraudolenta legittimante la revoca ex art. 173 comma 1 legge fall., non accertata dal commissario, non é dalla mera segnalazione dell’omissione desumibile in concreto, in assenza del necessario corredo di ulteriori fatti concretanti la preordinazione a sottrarre parte dell’attivo alle ragioni dei creditori. Per tutte le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato con assorbimento dell’esame del ricorso incidentale condizionato che affida ad un solo mezzo la violazione del disposto dell’art. 7 legge fall., prospettando la carenza di legittimazione dell’ufficio del P.M. a chiedere la revoca della procedura.
Le spese della presente fase di legittimità, a carico del ricorrente soccombente, vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidandole nella misura di Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

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