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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

senetenza n. 18218del 2 luglio 2013

Intestazione

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 23363-2007 proposto da:
C.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
V. S. TOMMASO D’AQUINO 108, presso lo studio dell’avvocato FIDUCCIA
FABIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
e contro
B.C., B.A.M., B.G., B.
E., BI.EM., B.L., B.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 564/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 06/02/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04/06/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
per quanto di ragione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 16-1-1999 B.L., Bi.Em., B.A., B.E. ed A.M. B., fratelli di B.U., e B.C. e B.G., figli di B.S., altro fratello di B.U., convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Roma G.G. assumendo che il (OMISSIS) era deceduta, senza lasciare figli e senza predisporre testamento, la loro rispettivamente sorella e zia B.U., moglie di D. G., il quale era deceduto il (OMISSIS) senza lasciare agli attori un terzo delle somme che all’epoca le appartenevano, come disposto dall’art. 582 c.c..

Gli attori pertanto chiedevano la condanna di G.G., erede del fratello G.D., alla consegna di quanto loro spettante quali eredi della defunta sorella e zia B.U..

Costituitosi il contraddittorio la convenuta chiedeva il rigetto della domanda. Il Tribunale adito con sentenza del 30-11-2002 rigettava la domanda attrice.

B.L., Bi.Em., B.A., B.E., B.A.M., B.C. e B.G. impugnavano tale sentenza; dopo l’interruzione del processo per il decesso di G.G., procedutosi alla riassunzione, resisteva al gravame C.C., marito ed erede della G..

La Corte di Appello di Roma con sentenza dell’8-2-2007, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato l’appellato al pagamento in favore degli appellanti della somma di Euro 13.000,00 oltre interessi dalla domanda.

Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto un ricorso affidato a tre motivi; le parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 784 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver disatteso l’eccezione dell’esponente di mancata citazione in giudizio di tutti i coeredi del defunto D. G. indicati nell’atto di notorietà prodotto fin dal primo grado di giudizio, vertendosi in tema di litisconsorzio necessario; il C. rileva che il giudice di appello ha ritenuto che il litisconsorzio necessario trova applicazione fino alla cessazione dello stato di comunione mediante l’attribuzione agli eredi delle singole quote a loro spettanti, e che nella fattispecie era stata effettuata la divisione dei beni ereditari da parte degli eredi di G.D., cosicchè i coeredi nel presente giudizio non avevano la qualità di litisconsorti necessari.

Il ricorrente sostiene che le controparti non avevano mai dedotto nulla in ordine alla cessazione dello stato di comunione, e che anzi la dichiarazione del teste Ci., secondo cui le somme di denaro ed i titoli erano stati liquidati in favore di tutti i coeredi di G.D. congiuntamente, provava che l’eredità non era mai stata divisa.

La censura è infondata.

La Corte territoriale, premesso che il litisconsorzio necessario trova applicazione nei giudizi aventi ad oggetto la divisione dei beni ereditari fino alla cessazione dello stato di comunione mediante l’attribuzione ai singoli coeredi delle quote loro spettanti (vedi al riguardo Cass.0 21-4-1988 n. 3098), ha affermato che nella specie G.G., sorella del defunto G.D., non era stata la sola ad immettersi nel possesso dei beni del fratello defunto, costituiti dalla complessiva somma di L. 98.327.171 depositata presso il Credito Italiano, oltre agli arredi della casa coniugale, beni tra i quali erano compresi quelli appartenuti ad B.U., moglie di B.D.; ha quindi rilevato che il teste Ci.Um., responsabile dell’ufficio legale del suddetto istituto di credito, aveva precisato che “la somma ed i titoli sono stati liquidati a mani della signora G.G. ed altri sette coeredi”, e che dalla documentazione bancaria prodotta era emerso che G.D., dopo la morte della moglie, aveva estinto tutti i conti correnti che aveva in comune con la stessa;

pertanto il giudice di appello ha concluso che tutti gli eredi di G.D., e non solo G.G., avevano in concreto effettuato la divisione tra loro dei beni del “de cuius” senza iniziare il giudizio di divisione, cosicchè essi non avevano la qualità di litisconsorti necessari, e che nella fattispecie, verificatasi la successione “mortis causa” di più eredi nel lato passivo del rapporto obbligatorio, si era determinato un frazionamento “pro quota ” dell’originario debito di D. G. tra i vari aventi causa, con la conseguenza che il rapporto che ne era derivato non era unico ed inscindibile.

Il convincimento espresso dalla sentenza impugnata è corretto ed immune dai profili di censura sollevati dal ricorrente, in quanto la ritenuta cessazione della comunione ereditaria tra tutti i coeredi di G.D. è frutto di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, con la conseguenza in diritto della insussistenza di un litisconsorzio necessario nella presente controversia, nella quale gli attori nel giudizio di primo grado, quali eredi legittimi di B.U., avevano chiesto la liquidazione della loro quota ereditaria nei confronti di G. G. quale coerede di G.D. (a sua volta erede di B.U.), deducendo quindi in giudizio un diritto di credito nei confronti del “de cuius” che ben poteva essere fatto valere nei confronti di uno soltanto dei suoi eredi in base al principio del pagamento “pro quota “dei debiti ereditari di cui agli artt. 752 e 754 c.c. (vedi Cass. 4-6-2010 n. 13644).

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 582 c.c., assume che la Corte territoriale, nel valutare equitativamente in Euro 4.536,38 il valore del mobilio compreso nell’asse ereditario di B.U., avrebbe dovuto dividere per due detta somma e poi calcolare il terzo della metà ai sensi dell’art. 582 c.c.; comunque neanche detto importo era dovuto, in quanto, come confermato dalle stesse controparti, D. G. aveva consegnato una pelliccia della defunta alla figlia della sorella.

La censura è fondata.

Il giudice di appello, dopo aver valutato in Euro 4.536,38 ai valori attuali il mobilio facente parte dell’asse ereditario di B. U., lo ha aggiunto all’importo di Euro 8.463,62 dovuto a titolo di quota spettante agli appellanti sul denaro originariamente depositato presso il Credito Italiano, senza quindi detrarre dalla suddetta somma la quota della metà di spettanza di D. B., e poi calcolare sull’altra metà un terzo ai sensi dell’art. 582 c.c..

Con il terzo motivo il C., denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, assume che il giudice di appello non ha considerato la mancanza di una prova certa del fatto che l’importo dei conti correnti alla morte di B.U. fosse quello indicato dalle controparti; invero il teste Ci. aveva dichiarato che le somme versate agli eredi di G.D. erano quelle depositate su conti correnti tutti aperti successivamente alla morte di B.U..

La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha rilevato dalla documentazione bancaria prodotta l’entità del conto corrente e del deposito titoli intestati ad B.U. e G.D. alla data del decesso di B.U., indicando quindi esaustivamente le fonti del proprio convincimento in ordine alla determinazione di tale parte dell’asse ereditario; il fatto poi che le somme versate agli eredi di G.D. siano state prelevate dai conti correnti che quest’ultimo aveva aperto successivamente alla morte della moglie è irrilevante nel presente giudizio, il cui oggetto riguarda la liquidazione della quota ereditaria spettante ai B. quali eredi legittimi di B.U..

In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2013.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2013

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