Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 31 agosto 2016, n. 35879

Il Mae può essere emesso dal giudice anche nel caso in cui l’imputato sia stato condannato in Italia alla misura cautelare domiciliare. Unica condizione da rispettare consiste nella verifica da effettuare se il provvedimento trovi una fattispecie analoga nel Paese di destinazione

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 31 agosto 2016, n. 35879

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere
Dott. MANZON Enrico – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi;
nel procedimento nei confronti di:
(OMISSIS), nata in Repubblica Dominicana il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 13 ottobre 2014 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MENGONI Enrico;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 13 ottobre 2014, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi rigettava la richiesta avanzata dal Pubblico Ministero in sede volta all’emissione di un mandato di arresto europeo a carico di (OMISSIS), indagata per concorso in reclutamento e favoreggiamento aggravati della prostituzione, nonche’ esercizio di una casa di meretricio, ed a carico della quale era stata emessa – ma non eseguita – la misura cautelare degli arresti domiciliari. Il G.i.p. rilevava che il Vademecum redatto al riguardo dal Ministero della Giustizia suggerisce particolari cautele nell’emanare un M.A.E. per l’esecuzione della misura domiciliare, atteso che non tutti i Paesi dell’Unione riconoscono a quest’ultima la stessa efficacia della custodia in carcere, tanto da non aver eseguito, in passato, analoghi mandati; rilevato che in tale situazione di dubbio non appare opportuno emettere il M.A.E., rigettava quindi la richiesta.
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi, denunciando l’abnormita’ del provvedimento. Alla luce di un precedente specifico di questa Corte (Sez. 6, n. 21470 del 9/5/2012), peraltro del tutto identico alla vicenda in esame, il provvedimento de quo sarebbe invero abnorme, atteso che la I. 22 aprile 2005, n. 69 (che ha introdotto nell’ordinamento il M.A.E.) non esclude affatto che il mandato di arresto possa esser emanato per l’esecuzione degli arresti domiciliari e, all’articolo 28, introduce una sorta di automaticita’ nell’emissione medesima; cio’, senza dubbio, pur nell’ambito di una discrezionalita’ vincolata, la quale, pero’, non potrebbe esser influenzata dal Vademecum citato nell’ordinanza.
3. Con requisitoria scritta del 13/2/2015, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso. Il provvedimento impugnato non potrebbe definirsi abnorme, atteso che il Vademecum in esame assume rilievo e dignita’ di elemento alla stregua del quale orientare i comportamenti dell’autorita’ giudiziaria nazionale; cio’, alla luce del fatto che non tutti gli ordinamenti stranieri conoscono la misura degli arresti domiciliari, tanto che, in passato, alcune richieste di estradizione volte all’esecuzione di questa sono rimaste ineseguite. Da qui la prassi di non chiedere l’estradizione e di non emettere il MAE su una misura nazionale di arresti domiciliari o, meglio, di avanzare la richiesta soltanto dopo aver assunto precise informazioni dallo Stato di rifugio che, nel caso in esame, neanche si conosce quale sia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso merita accoglimento.
Preliminarmente, deve essere rilevato che la citata L. 22 aprile 2005, n. 69, introduttiva nell’ordinamento del mandato di arresto europeo, non prevede nessun mezzo d’impugnazione avverso il provvedimento del Giudice con il quale sia emesso il mandato stesso, ne’ – per quanto qui rileva – contro quello che rigetti la richiesta di emissione; ferma la mancata previsione espressa di un mezzo d’impugnazione, non e’ tuttavia revocabile in dubbio che il provvedimento reiettivo della richiesta del Pubblico Ministero – analogamente a qualunque altro provvedimento emesso dall’autorita’ giudiziaria – possa essere impugnato per cassazione allorche’ risulti affetto da abnormita’.
4. Cio’ premesso, ma ancora in via preliminare, osserva il Collegio che una lunga e diffusa elaborazione giurisprudenziale ha condotto, negli ultimi due decenni, ad un sempre piu’ definito inquadramento dogmatico della categoria dell’abnormita’, intesa quale vizio che connota in radice un provvedimento, senza pero’ identificarsi con la sua nullita’ o inesistenza giuridica. In particolare, le Sezioni unite di questa Corte, gia’ nel 1997, hanno affermato che e’ affetto da abnormita’ non solo il provvedimento che, per la singolarita’ e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di la’ di ogni ragionevole limite. L’abnormita’ dell’atto processuale – si e’ ulteriormente precisato – puo’ dunque riguardare tanto il profilo strutturale, allorche’ l’atto, per la sua eccentricita’, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilita’ di proseguirlo (tra le altre, Sez. U, n. 17 del 10 dicembre 1997, Di Battista, Rv. 209603; Sez. U, n. 26 del 24 novembre 1999, Magnani, Rv. 215094. Di seguito, ex plurimis, Sez. 2, n. 2484 del 21 ottobre 2014, Tavoloni, Rv. 262275; Sez. 2, n. 29382 del 16/5/2014, Veccia, Rv. 259830; Sez. 3, n. 3739 del 24 novembre 2000, Puppo, Rv. 218666).
Con riguardo, poi, ai rapporti tra Giudice e Pubblico Ministero, la corretta applicazione di questi principi impone di limitare l’ipotesi di abnormita’ strutturale al caso di esercizio da parte del primo di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto), ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioe’ completamente al di fuori dei casi consentiti, perche’ al di la’ di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto); l’abnormita’ funzionale – riscontrabile, come si e’ detto, nel caso di stasi del processo e di impossibilita’ di proseguirlo va allora limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al Pubblico Ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo. Orbene, solo in siffatta ipotesi il Pubblico Ministero puo’ ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarita’ del processo; negli altri casi, egli e’ tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal Giudice (Sez. u, n. 25957 del 26/3/2009, Toni, Rv. 243590).
Orbene, tale abnormita’ sussiste nel caso di specie, per essere stato emesso il provvedimento al di fuori di qualsiasi previsione processuale e, pertanto, risultando del tutto avulso dal sistema.
5. Come gia’ affermato da questa Corte con recentissima pronuncia (Sez. 6, n. 8209 del 12/1/2016, P.M. in proc. Piccinno, Rv. 266113, peraltro sollecitata dal medesimo Procuratore oggi ricorrente), alla quale il Collegio aderisce, secondo quanto previsto dalla L. 22 aprile 2015, n. 69, articolo 28, l’emissione del mandato di arresto europeo da parte dell’autorita’ giudiziaria competente presenta una connotazione di tipo esclusivamente giudiziario, non essendo la relativa valutazione sottoposta ad alcun giudizio di gradimento da parte dell’autorita’ politica, e, lungi dall’esaurirsi in un’attivita’ di mero riscontro certificativo e compilativo, costituisce il risultato dell’esercizio di una prerogativa rimessa al Giudice (Sez. U, n. 2580 del 28 novembre 2013 – dep. 21 gennaio 2014, confl. in proc. Pizzata, Rv. 257433). L’emissione del M.A.E. implica, invero, l’esercizio di una forma di discrezionalita’ vincolata, in quanto il Giudice deve soltanto verificare: a) che esista il provvedimento applicativo della misura cautelare custodiale o l’ordine di esecuzione di una pena detentiva o di una misura di sicurezza, con i limiti di pena meglio precisati dalla legge; b) che sia stata accertata, ovvero sia possibile la presenza del destinatario della misura nel territorio di altro Stato membro dell’Unione Europea; c) l’an debeatur, che presuppone una valutazione degli elementi storico fattuali messi a disposizione dall’Autorita’ Giudiziaria procedente e l’osservanza dei limiti generali di ragionevolezza e proporzionalita’ su cui si fonda l’azione comune dell’Unione Europea nel settore della cooperazione giudiziaria (articolo 5 T.U.E) (Sez. U, n. 2580 del 28 novembre 2013, cit.). Con specifico riguardo al M.A.E. c.d. processuale, relativo alla eseguibilita’ di una misura cautelare quale quella in oggetto, va poi rilevato che la L. cit., articolo 28, comma 1, lettera a), prevede in modo espresso la possibilita’ di emettere il mandato allorche’ si tratti di dare esecuzione all’estero ad un provvedimento applicativo della misura degli arresti domiciliari ex articolo 284 c.p.p.. Tale previsione, del resto, risulta conforme alla decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002 relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati Membri (2002/584/GAI), attuata dal legislatore nazionale proprio con la L. n. 69 del 2005; ed invero, agli articoli 1 e 2 della citata decisione (che disciplinano rispettivamente la definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione ed il campo d’applicazione del mandato d’arresto europeo), e’ previsto che il M.A.E. possa essere emesso, oltre che con riguardo all’esecuzione di una pena, anche in relazione ai provvedimenti con i quali sia stata applicata una misura di sicurezza privativa della liberta’ – cui sono assimilate nel nostro sistema processuale le misure cautelari -, senza nessuna preclusione all’adozione del M.A.E. in caso di provvedimento applicativo degli arresti domiciliari.
Con particolare riguardo al caso di specie, ancora, si e’ poi precisato (Sez. 6, n. 8209 del 2016, cit.) che un limite all’adozione del mandato in oggetto non puo’ essere tratto dalle indicazioni contenute nel Vademecum per l’emissione del mandato d’arresto europeo stilato dal Ministero di Giustizia. Mette conto rilevare che il citato Vademecum, all’articolo 3 (che disciplina I presupposti per l’emissione del M.A.E.), segnatamente al punto 3.5, nel definire i criteri di valutazione sull’an debeatur, detta alcuni criteri generali ai quali dovrebbe attenersi l’operatore pratico e, fra questi, dopo avere previsto che l’arresto e la consegna possono essere richiesti, ad un altro Stato membro, soltanto ai fini dell’effettiva esecuzione del provvedimento detentivo emesso nel procedimento penale, afferma che la stretta correlazione tra lo status detentionis e il mandato d’arresto europeo ne rende problematica l’emissione sulla base della misura degli arresti domiciliari (L. n. 69 del 2005, articolo 28, comma 1, lettera a), in relazione all’articolo 284 c.p.p.), inducendo in questi casi il giudice ad adottare particolari cautele, ed aggiungendo che la valutazione sull’an debeatur non puo’ prescindere dal fatto che l’emissione del M.A.E. e’ soggetta a limiti di ragionevolezza e proporzionalita’ sui quali si fonda l’azione comune dell’Unione europea, nel settore della cooperazione giudiziaria. Nel punto 6 del medesimo Vademecum (che disciplina L’emissione del mandato d’arresto europeo basato sull’ordinanza di custodia cautelare), ai punti 6.1 e 6.2, si legge che, dall’applicazione pratica della L. 22 aprile 2005, n. 69, articolo 28, comma 1, lettera a), , sono derivati due problemi: Il primo riguarda il M.A.E. basato sull’ordinanza che applica gli arresti domiciliari. In questo caso, ragioni di ordine pratico e sistematico suggeriscono di adottare particolari cautele anche in considerazione del fatto che la decisione quadro non prevede la misura degli arresti domiciliari e la maggior parte degli Stati membri non riconosce a tale misura effetti equivalenti alla custodia in carcere. In alcuni casi, si e’ verificato che il M.A.E. emesso dal giudice italiano non e’ stato eseguito in quanto basato sul provvedimento degli arresti domiciliari. In altri casi, invece, l’autorita’ dello Stato membro di esecuzione, dopo l’arresto della persona ricercata, ha applicato nei suoi confronti la misura della custodia in carcere per tutto il corso della procedura passiva, sino alla consegna della persona all’Italia. Cio’ configura un sostanziale aggravamento della misura cautelare emessa nel procedimento penale, al di fuori della procedura di cui all’articolo 299 c.p.p., comma 4.
Ricostruito il contenuto del Vademecum nella parte che qui interessa, occorre, in primo luogo, rilevare come detto documento non sia vincolante per il Giudice, in quanto atto amministrativo privo di valenza normativa, e come tale esso debba, pertanto, essere riguardato alla stregua di una raccomandazione, volta allo scopo di circoscrivere possibili problematiche in fase di emissione e, soprattutto, di esecuzione del M.A.E. emesso dall’A.G. nazionale (c.d. M.A.E. attivo). In secondo luogo, va notato come la stessa lettera del Vademecum segnatamente dei sopra ricordati punti 3.5. e 6.2 -, in effetti, non precluda l’emissione del M.A.E. c.d. processuale in caso di provvedimento applicativo della misura degli arresti domiciliari, limitandosi a sensibilizzare il giudice ad osservare la massima cautela nel caso in cui si tratti di dare esecuzione all’estero ad un provvedimento che non preveda la piu’ afflittiva fra le restrizioni cautelari – cioe’ la custodia in carcere -, ma la misura piu’ gradata degli arresti domiciliari. La ratio della indicazione ministeriale si rinviene nell’esigenza di evitare che, al fine di dare esecuzione al provvedimento applicativo della misura ex articolo 284 c.p.p. emesso dall’A.G. nazionale, lo Stato estero richiesto applichi all’indagato, in attesa della sua materiale consegna, un provvedimento maggiormente afflittivo di quello da eseguire in Italia. Cio’ all’evidente scopo di garantire l’osservanza dei limiti di ragionevolezza e proporzionalita’ sui quali si fonda l’azione comune, dell’Unione europea, nel settore della cooperazione giudiziaria. Ne discende che, in caso di richiesta di M.A.E. attivo volto a dare esecuzione ad un provvedimento applicativo della misura domiciliare, siffatta raccomandazione non puo’ che tradursi nella necessita’ che il Giudice investito dal Pubblico Ministero della correlativa istanza, prima di emettere il mandato d’arresto, provveda preventivamente a verificare se, nello Stato richiesto, sia prevista – fra gli strumenti cautelari – anche la misura domiciliare, cosi’ – si ribadisce – da scongiurare che, al fine di garantire la consegna, quest’ultimo Paese applichi la sola misura custodiale contemplata dal proprio ordinamento, cioe’ quella di maggior rigore e dunque piu’ grave di quella che dovra’ poi essere applicata in Italia.
Orbene, tutto cio’ premesso, rileva il Collegio che questa necessaria verifica e’ mancata nel caso di specie, nel quale il Giudice ha paralizzato l’istanza proposta in ragione di un’asserita situazione di dubbio sull’applicabilita’ ex se del M.A.E. agli arresti domiciliari che, per contro, avrebbe dovuto comunque procedere a risolvere, in forza dei richiamati principi di diritto; una pronuncia reiettiva basata su una incerta interpretazione normativa, quindi, un’inammissibile decisione espressamente prudenziale (Non appare opportuno emettere il M.A.E), peraltro fondata su indicazioni provenienti da un provvedimento non vincolante, tale dunque da porre la decisione al di fuori del sistema processuale.
L’ordinanza, pertanto, deve essere annullata con rinvio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brindisi.

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