Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 30 novembre 2016, n. 50752

Resta esclusa la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali ovvero attraverso una diversa ricostruzione storica dei fatti; o, ancora, deve ritenersi inibito un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita’ delle fonti di prova. Cio’ tanto piu’ ove si tratti, come nella specie, di sindacare la decisione del giudice di appello che, sulla base del medesimo compendio probatorio utilizzato in primo grado, pervenga, difformemente dal primo giudice, ad esito assolutorio.

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 30 novembre 2016, n. 50752

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Firenze;

nel procedimento nei confronti di:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza in data 30/05/2015 della Corte d’appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo la pronuncia di una declaratoria di inammissibilita’ del ricorso;

udito, per la Parte civile (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, con annullamento della sentenza impugnata e rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze;

udito, per l’imputato, l’avv. (OMISSIS), presente anche in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo, preliminarmente, la non ammissione della Parte civile, in quanto risarcita integralmente, e, nel merito, il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) era stato tratto a giudizio abbreviato davanti al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Pistoia per rispondere dei delitti di cui all’articolo 61 c.p., n. 6, articolo 81 cpv. c.p. e articolo 609-quater c.p. per avere, in piu’ occasioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, posto in essere piu’ atti sessuali nei confronti di (OMISSIS), minore di dieci anni, consistiti in penetrazioni anali ovvero in atti masturbatori compiuti dal minore nei suoi confronti, consumati all’interno di un box sito in localita’ (OMISSIS) del comune di (OMISSIS) e nella disponibilita’ dell’imputato, durante i fine settimana o nelle occasioni nelle quali il minore gli era stato affidato in custodia temporanea della madre, in un arco di tempo non meglio determinabile tra l’anno 2008 ed il 2009.

1.1. Con sentenza in data 22/03/2013 del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Pistoia, (OMISSIS) fu ritenuto colpevole dei reati ascrittigli, con esclusione delle sole condotte di penetrazione anale. Per l’effetto, considerate equivalenti la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61 c.p., n. 6 e l’attenuante speciale prevista dall’articolo 609-quater c.p., u.c., il primo giudice condanno’ l’imputato alla pena, diminuita per la scelta del rito, di quattro anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Con lo stesso provvedimento furono, altresi’, applicate a (OMISSIS) le pene accessorie di cui all’articolo 609-nonies c.p., commi 1, nn. 2 e 3, e 3, nonche’ l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di 5 anni, con condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile, liquidate in 3.240,00 Euro oltre CAP ed IVA.

1.3. Secondo quanto esposto dal primo giudice, in data 6/04/2010 (OMISSIS), madre del minore (OMISSIS) (nato il (OMISSIS)) aveva presentato una denuncia-querela nella quale dava atto che il figlio, il quale le era stato affidato dopo la separazione dal marito, le aveva confidato di avere subito numerose condotte di abuso sessuale ad opera di (OMISSIS), loro vicino di casa nel paese di (OMISSIS).

In particolare, la donna aveva raccontato che il 4/04/2010, giorno della Pasqua cattolica, mentre leggevano insieme al figlio (OMISSIS) il libro “Vivere, Amare e capirsi” di (OMISSIS), il bambino aveva chiesto il significato della parola “stupro”, nella quale si erano imbattuti durante la lettura. Dinnanzi alla spiegazione della madre, il bambino aveva chiesto se si fosse stati in presenza di uno stupro qualora ” (OMISSIS) lo avesse toccato, baciato, avesse voluto che lo toccasse”. Alla risposta positiva della madre e alle successive domande di costei, il bambino aveva risposto, “con molta difficolta’”, che (OMISSIS) aveva anche fatto “altri giochi” con lui: per esempio aveva preso il suo membro e lo aveva messo a stretto contatto con quello di (OMISSIS), strofinandolo vicino al suo fino a eiaculare (il bambino aveva fatto riferimento a un liquido bianco); ed ancora lo aveva baciato in bocca, con la lingua, lo aveva costretto ad avere rapporti orali e, dopo averlo fatto appoggiare su dei cuscini, lo aveva penetrato. Queste condotte, secondo il bambino, erano avvenute in parte all’interno di un box di metallo utilizzato per il ricovero degli attrezzi sito in localita’ (OMISSIS), all’interno di un podere di proprieta’ di (OMISSIS) posto in prossimita’ di un fabbricato rurale ristrutturato, utilizzato dalla famiglia (OMISSIS) come seconda casa, in parte ad (OMISSIS) presso l’abitazione dello stesso (OMISSIS), in un locale ove egli riponeva gli attrezzi da lavoro, ubicato al piano terra.

Nel frangente della rivelazione, continuo’ la donna, il bambino piangeva e manifestava un forte senso di colpa per l’accaduto, ripetendo di “sentirsi sporco” e non di non poter raccontare quanto accaduto, riuscendo a continuare la narrazione solo grazie alle rassicurazioni della madre.

Sconvolta dal racconto, la donna aveva preso contatto, il giorno successivo, con il proprio legale ed in seguito alle raccomandazioni di costui, si era poi recata presso la competente Stazione dei Carabinieri, ove aveva risposto ad alcune domande degli investigatori, riferendo di non essersi mai accorta di qualcosa di strano dal punto di vista comportamentale del bambino ne’ di aver mai riscontrato lesioni nel suo corpo; che le maestre di scuola le avevano segnalato che il bambino soffriva di periodici mal di testa e che piangeva per la mancanza del padre; che il minore aveva sostenuto degli accertamenti clinici presso la struttura (OMISSIS), dai quali era emerso che aveva un deficit di attenzione e di concentrazione ed era alla soglia dell’iperattivita’. La donna racconto’, anche, che in genere il bambino non rimaneva mai da solo, se non per il tempo di quale breve commissione e che, a volte, egli si recava a casa di (OMISSIS) per un’oretta, ma mai per intere giornate; oppure a casa di (OMISSIS), il figlio di un vicino, con cui giocava per qualche ora. Infine, la donna riferi’ che il bambino le ha raccontato che ogni volta che tornava dagli “incontri” con (OMISSIS), sentiva il bisogno di lavarsi le mani.

In data 11/10/2010, (OMISSIS) era stato, quindi, sentito a sommarie informazioni dalla polizia giudiziaria, su delega del Pubblico ministero, alla presenza del consulente tecnico, dott. (OMISSIS), neuropsichiatra infantile, presente anche l’avv. (OMISSIS) ed assente, invece, la madre. Il colloquio era stato videoregistrato all’insaputa del bambino, ma previo avviso alla madre e all’avvocato. E nel corso dell’audizione, (OMISSIS) aveva sostanzialmente ribadito le accuse mosse a (OMISSIS), descrivendo le condotte sessuali agite nei suoi confronti anche con l’ausilio di alcuni disegni custoditi dal suo avvocato.

Alla stregua del materiale probatorio acquisito, il Giudice dell’udienza preliminare ritenne dimostrata la responsabilita’ dell’imputato, con esclusione delle sole condotte di penetrazione anale.

Secondo il primo giudice, infatti, le contraddizioni emerse tra il racconto del minore e quelle della madre (la donna aveva riferito che gli atti sessuali erano consistiti anche in penetrazioni anali, mentre il bambino non aveva parlato di rapporti anali) dovevano essere risolte nel senso di attribuire prevalenza alle dichiarazioni di (OMISSIS), non avendo la donna assistito ai fatti e potendo la versione da lei offerta essere condizionata dalla “comprensibile drammaticita’ nel sentire le affermazioni del figlio o alla difficolta’ per la madre di scandagliare ed approfondire, come e’ invece stato fatto nell’esame del minore, in modo esatto tutte le condotte poste in essere dall’imputato”.

Secondo il primo giudice, l’analisi della testimonianza del minore da parte del dott. (OMISSIS), neuropsichiatra infantile, si era inopportunamente spinta fino a vagliarne la credibilita’, rilevandosi altresi’, quanto alla capacita’ a testimoniare, che la problematica psicologica presente nel bambino, inquadrabile nell’ambito dei disturbi da comportamento dirompente, avrebbe potuto giustificare talune imprecisioni nel racconto. E tuttavia, continuo’ il primo giudice, dalla visione del colloquio videoregistrato, doveva rilevarsi una piena capacita’ a testimoniare del minore, sia in relazione all’eta’, sia alla logicita’ e alla organicita’ del racconto.

Sotto altro profilo, la deposizione di (OMISSIS) fu ritenuta pienamente credibile, considerati i “molteplici momenti di vergogna del minore”, ritenuti indicativi della genuinita’ del racconto, la sorta di “spedizione punitiva” effettuata dal ragazzo nei confronti dell’imputato e narrata nell’esame, il fotogramma consegnato dalla madre del giovane alla polizia giudiziaria, proveniente dall’imputato e raffigurante il piccolo (OMISSIS) con sembianze femminili; ed ancora i particolari raccontati del bambino, quali il cattivo odore nelle mani dopo le masturbazioni operate sulla persona dell’imputato.

La credibilita’ del racconto del minore era stata, altresi’, affermata sulla base delle concrete modalita’ con cui esso era stato compiuto, ovvero in occasione della lettura, da parte della madre, del passo di un libro in cui si parlava di stupri. La spontaneita’ della dinamica con la quale il bambino aveva riferito gli abusi fu dal primo giudice considerata come particolarmente significativa ai fini del giudizio sulla attendibilita’ della sua deposizione. Ed altrettanta importanza fu, poi, attribuita, dal Giudice dell’udienza preliminare, ai disegni con cui il minore aveva descritto le condotte agite nei suoi confronti e, segnatamente, quelli nei quali il membro dell’imputato si avvicinava e lo toccava.

A fronte di un “imponente quadro probatorio” a carico dell’imputato, il primo giudice ritenne non decisive le obiezioni difensive, concentratesi prevalentemente sulle contraddizioni del racconto indicate dal dott. (OMISSIS) nella sua relazione, in specie con riferimento alle dichiarazioni rese dalla madre (la quale aveva riferito di aver visto l’imputato con i pantaloni abbassati, laddove il minore aveva invece riferito che cio’ non sarebbe successo). Cosi’ come non significativo fu ritenuto il comportamento scarsamente collaborativo tenuto dalla madre del ragazzo con i Servizi sociali, i quali lo avevano preso in carico in ragione dei segnali di disagio scolastico da lui palesati.

In conclusione, il giudice dell’udienza preliminare ritenne di affermare la responsabilita’ dell’imputato in relazione ai fatti a lui contestati, con esclusione dei soli atti di penetrazione anale, condannandolo alla pena sopra menzionata.

2. Avverso la sentenza di primo grado propose appello l’imputato, lamentando che l’accertamento della responsabilita’ si fosse fondato, pressoche’ esclusivamente, sulle dichiarazioni rese, in sede di indagini preliminari, dalla persona offesa, che oltre ad essere state assunte senza la garanzia del contraddittorio, non avrebbero presentato il necessario grado di attendibilita’ e credibilita’, ponendosi, altresi’, in parziale contrasto con altro materiale probatorio presente in atti.

In particolare, dopo aver posto in luce alcune caratteristiche particolari della memoria del bambino, la difesa ne aveva sottolineato la facile influenzabilita’, che nel caso di specie sarebbe potuta conseguire all’azione suggestiva esercitata sia dalla madre, sia dal legale della famiglia.

Anche l’intervista condotta sul minore dal dott. (OMISSIS), alla presenza dell’Ass. Capo (OMISSIS) e dell’Avv. (OMISSIS), non sarebbe stata realizzata con modalita’ tali da garantire l’autenticita’ del ricordo del minore, atteso che a fronte delle lacune manifestate nel corso del racconto, il dott. (OMISSIS), in piu’ occasioni, avrebbe cercato di suggerire alcune risposte, senza peraltro riuscire nell’intento, con cio’, comunque, inficiando la genuinita’ del ricordo di (OMISSIS). Questi, in diversi momenti, a fronte delle domande suggestive dell’esperto, si sarebbe limitato a rispondere in modo affermativo o negativo a tutte le domande postegli. Analogamente, l’Avv. (OMISSIS) sarebbe ripetutamente intervenuto nella conversazione, anticipando e suggerendo le risposte al bambino, come nel caso del “Listerin” (pag. 9 trascrizione della registrazione).

Secondo l’appellante, proprio dalla “generale confusione e fumosita’” del ricordo e, conseguentemente, nella narrazione di (OMISSIS), sarebbe derivata la decisione del giudice di escludere le condotte di penetrazione anale addebitate all’imputato, peraltro escluse anche dalla relazione medica a firma della dott.ssa (OMISSIS) del Meyer, che non aveva riscontrato esiti cicatriziali ad esse riconducibili.

Quanto, poi, ai disegni del minore, essi sarebbero stati indebitamente valorizzati dal giudice di prime cure, atteso che gli stessi non sarebbero stati effettuati nel corso del colloquio registrato, ne’ davanti al dott. (OMISSIS) o ad altri assistenti sociali, sicche’ il bambino avrebbe potuto averli effettuati su indicazione di qualcuno.

Ancora: il Giudice di primo grado non avrebbe preso in alcuna considerazione alcuni elementi di prova emersi con riferimento alle problematiche psicologiche presentate dal bambino negli anni precedenti, nonche’ alla possibile influenza esercitata dalla madre. Il bambino, infatti, avrebbe manifestato seri disturbi nel comportamento, agiti in particolare nel contesto scolastico, a causa dei quali i Servizi Sociali della A.S.L. n. (OMISSIS) di Pistoia, Distretto (OMISSIS), erano intervenuti a seguito della segnalazione delle insegnanti della scuola elementare da lui frequentata. E la stessa A.S.L. di Pistoia, in una comunicazione ai Carabinieri della Legione Toscana, avrebbe evidenziato i medesimi problemi nel bambino e l’atteggiamento scarsamente collaborativo della madre, la quale avrebbe anche abusato di alcool, tanto da essere stata valutata l’ipotesi di un’eventuale segnalazione alla Procura del Tribunale del minori. Oltre a cio’, il dott. (OMISSIS), direttore dell’U.O. Neuropsichiatria Infantile dell’A.S.L. n. 3 di Pistoia, avrebbe riferito, nella sua relazione, di un ricovero del bambino, compiuto in regime di day hospital nel novembre/dicembre 2009, presso l’IRCCS (OMISSIS), dal quale (OMISSIS) sarebbe stato dimesso con diagnosi di “disturbo da deficit di attenzione e iperattivita’, disturbo di comprensione del testo scritto in soggetto con capacita’ cognitive nella norma” (p. 2 della relazione); ed ancora che (OMISSIS) sarebbe stato riconosciuto come “persona handicappata” ai sensi della L. n. 104 del 1992, usufruendo per questo dell’insegnamento di sostegno. La problematica psicologica, presentata da (OMISSIS), sarebbe stata inquadrata dal dott. (OMISSIS) nell’ambito di disturbi da comportamento dirompente, i quali includerebbero, oltre a difficolta’ di tipo attentivo e all’iperattivita’ motoria, anche lo scarso impegno scolastico e lo scarso senso del dovere nonche’ aspetti di oppositorieta’ e di provocatorieta’.

A cio’ si aggiunga che nella comunicazione in data 14/05/2010 della A.S.L. n. 3 di Pistoia, a firma della dott.ssa (OMISSIS), era stato riferito che secondo quanto emerso da una conversazione con la dott.ssa (OMISSIS) dell’UFSMIA di Pistoia, la madre di (OMISSIS), che si era rivolta al servizio per una presa in carico, aveva raccontato di una denuncia per abuso sessuale presentata ai Carabinieri, rispetto alla quale la (OMISSIS) aveva mostrato un notevole distacco emotivo, pur a fronte di particolari “raccapriccianti” della violenza. Inoltre, la stessa dott.ssa (OMISSIS) aveva riferito che il ragazzino si era mostrato come “piuttosto sessualizzato rispetto alla sua eta’”, anche se la specialista “non aveva rilevato niente rispetto al sospetto abuso”.

Da tali emergenze istruttorie l’appellante argomento’, in primo luogo, che le carenze scolastiche ed i deficit nell’attenzione sarebbero stati in assoluto contrasto “con la conoscenza precisa dei termini utilizzati e delle dinamiche sessuali raccontate nell’intervista”, rispetto ai quali avrebbe “dato un contributo fondamentale l’ambiente familiare”. E cio’ sarebbe stato confermato, in particolare, dall’uso di espressioni sostanzialmente dissonanti rispetto al livello di cultura e istruzione del minore, come quella “molto sgradevole” o la parola “sperma” (che secondo quanto riferito dal dott. (OMISSIS) nella sua relazione, il bambino avrebbe detto di avere appreso dalla mamma ancor prima del suo racconto, salvo poi correggersi, a seguito della successiva richiesta di chiarimenti da parte dello specialista, ed affermare di avere visto dei documentari o di averne sentito parlare a scuola). Per altro verso, il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere irrilevante, ai fini della decisione, il negativo comportamento della madre nei confronti dei servizi sociali.

Il comportamento “dirompente, iperattivo e provocatorio” riscontrato nel minore, poi, non si sarebbe conciliato con “l’atteggiamento assolutamente passivo davanti ai presunti drammatici episodi raccontati dallo stesso (OMISSIS) anche nel colloquio registrato”.

Inoltre, l’appellante ricordo’ che il dott. (OMISSIS), medico curante di (OMISSIS), aveva affermato, nella propria relazione, di aver appreso delle violenze dalla madre, senza tuttavia avere visitato il bambino in relazione ad esse e senza mai avere, in precedenza, riscontrato alcunche’.

Ed ancora: tra il racconto del bambino, reso in occasione della sua audizione, e quello della madre, sarebbero esistite delle contraddizioni, avendo il primo negato che le violenze fossero avvenute anche ad (OMISSIS), come invece aveva sostenuto la madre. Inoltre, (OMISSIS) avrebbe affermato di non essersi mai accorta di comportamenti anomali da parte del figlio, laddove le insegnanti e gli assistenti sociali lo avrebbero descritto come un bambino molto problematico, invitando la madre ad intraprendere appositi percorsi correttivi.

Infine, sarebbe stato inverosimile quanto riferito dalla (OMISSIS) nella denuncia, ovvero che la moglie di (OMISSIS), pur essendo presente nelle abitazioni in cui venivano consumate le violenze ed in concomitanza ad esse, fosse, comunque, completamente all’oscuro delle condotte del marito, tanto piu’ ove si consideri l’elevato numero di episodi di abuso.

Con il secondo motivo, l’appellante lamento’ la mancata concessione delle attenuanti generiche, trattandosi di soggetto incensurato. Ed anche la pena base, pari a 5 anni e 6 mesi di reclusione, fu ritenuta eccessiva.

2.1. Con sentenza emessa in data 30/05/2015 la Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, assolse l’imputato con la formula perche’ il fatto non sussiste.

I giudici di secondo grado, infatti, dopo aver premesso la necessita’ di sottoporre le dichiarazioni del minore (OMISSIS) ad “un’analisi rigorosa”, in quanto rese da un minore e “prescindendo dal contraddittorio”, sostennero che la sua audizione era stata caratterizzata da frequenti domande suggestive e da un contegno, da parte degli intervistatori, non caratterizzato dal necessario distacco nel rapportarsi all’interrogato, anche perche’ la presenza degli adulti (la madre, l’agente di polizia) si era “tradotta in varie intromissioni nel corso delle quali il minore era stato ripetutamente sollecitato, quasi indotto, a ricordare determinati atti”; con cio’ determinandosi un rischio elevato di inquinamento della fonte testimoniale, facilmente suggestionabile.

Inoltre, (OMISSIS) non era stato sottoposto ad una perizia psicologica volta a valutarne la effettiva capacita’ a testimoniare, nel caso di specie “oltremodo utile” considerato che il minore aveva “palesato problematiche dl tipo psicologico, inquadrabili nell’ambito dei disturbi di comportamento dirompente”, che, secondo quanto sottolineato dal dott. (OMISSIS), avrebbero potuto fare “dubitare ulteriormente dell’attendibilita’ del bambino”.

I giudici di appello rilevarono, altresi’, come fossero stati acquisiti dei disegni, attribuiti alla mano di (OMISSIS), senza che pero’ fosse stato dimostrato con certezza se essi fossero stati “redatti proprio dal minore, in quali condizioni e in che contesto spazio temporale”. E l’unico disegno eseguito in presenza del dott. (OMISSIS), fu ritenuto “scarsamente significativo dell’abuso sessuale”, perche’ redatto dopo che il minore era stato gia’ ascoltato, talche’ sarebbe stata “dubbia la spontaneita’” del medesimo.

Ad ulteriore conferma della scarsa attendibilita’ del minore, la Corte rilevo’ come (OMISSIS) non avesse mai parlato degli episodi di abuso, ne’ con i suoi insegnanti, ne’ con i neuropsichiatri e gli psicologi che lo seguivano; ne’ gli operatori che si erano rapportati, ne’ la stessa madre, avevano mai avuto sentore, nel periodo in cui le violenze sarebbero state perpetrate, di accadimenti di tal genere.

Ancora, i giudici di appello rilevarono come (OMISSIS) non presentasse segni di abuso sessuale, ne’ fisici, ne’ psicologici, pur essendo stato riscontrato, in particolare dalla dott.ssa (OMISSIS), “che il bambino era piuttosto sessualizzato rispetto alla sua eta’”.

Infine, le difficolta’ scolastiche incontrate dal minore mal si sarebbero conciliate, secondo la Corte territoriale, con la precisione di alcuni termini utilizzati nell’intervista (quale quello di “sperma”), laddove proprio il carattere fortemente sessualizzato del bimbo avrebbe potuto spiegare il motivo di certi particolari del racconto, come, appunto, la perdita di liquido seminale da parte di (OMISSIS).

Ovviamente, soggiunse la sentenza di secondo grado, dall’inattendibilita’ del minore conseguiva il venir meno della consistenza probatoria della denuncia-querela presentata dalla madre, perche’ proveniente da persona che non aveva assistito ai fatti e che era venuta a conoscenza degli episodi de quibus grazie alla narrazione del minore; cio’ che, concluse la Corte, alimentava il dubbio che la donna potesse avere male interpretato le dichiarazioni a lei rese da (OMISSIS), oppure avesse “filtrato la narrazione dal figlio, attribuendogli magari una valenza di natura sessuale”.

3. Avverso la sentenza di secondo grado, propone ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Firenze, deducendo un unico articolato motivo di censura ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione all’articolo 546 c.p.p., lettera e) del per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione.

La motivazione della sentenza impugnata sarebbe soltanto apparente in quanto basata su un esame “riduttivo e parziale” delle risultanze istruttorie e costituita da affermazioni di carattere generale e di stile, che non avrebbero un effettivo collegamento con gli atti processuali o che, comunque, non attribuirebbero il giusto significato ad alcuni aspetti della vicenda processuale.

Quanto all’audizione del minore, il ricorrente precisa, preliminarmente, che la madre della vittima non era presente, come risulta dal relativo verbale (fol. 35-48 del fascicolo del Pubblico ministero) e che l’agente di polizia era stato delegato ad assumere l’atto dal Pubblico ministero, mentre l’avvocato era presente su richiesta dello stesso bambino (il quale aveva, cosi’, esercitato la facolta’ prevista dall’articolo 609-decies c.p., comma 3).

In secondo luogo, la Corte d’Appello non avrebbe spiegato per quale motivo le domande rivolte al minore dovessero essere considerate come suggestive o comunque tali da nuocere alla sincerita’ delle risposte, considerato che le stesse erano state rivolte al minore quando questi aveva gia’ riferito “particolari assai significativi della vicenda” e che, in ogni caso, nessuna di esse avrebbe suggerito la risposta. In particolare, nessuna valenza condizionante si sarebbe potuta riconoscere alla sollecitazione dell’ufficiale di polizia giudiziaria, che in risposta alle titubanze del minore (il quale aveva detto: “e’ difficile raccontare”), aveva cercato di metterlo a proprio agio, facendogli comprendere che loro erano li’ non per giudicarlo, quanto per capirlo (“te qui non ti devi vergognare perche’ qui si cerca… di aiutare i bambini”, fol. 38).

Parimenti fuorviante, secondo il ricorrente, sarebbe stata l’affermazione secondo cui l’intervista, condotta dal solo dott. (OMISSIS) (giacche’ l’agente di polizia sarebbe intervenuto una sola volta e soltanto per domandare quando fosse successo quello che (OMISSIS) aveva illustrato nel suo disegno), sarebbe stata condotta con modalita’ incalzanti, tanto da condizionare il minore nella risposta, “atteso che le domande si sarebbero susseguite naturalmente per spiegare il contenuto di un disegno” che (OMISSIS) aveva dichiarato di aver eseguito e consegnato dal suo avvocato. Ed anche l’invito a parlare “francamente”, rivolto dal consulente al minore, sarebbe stato soltanto un modo per sollecitarlo a non vergognarsi e a non “usare giri di parole per concludere il racconto”, gia’ illustrato dal bambino con il disegno; cosi’ come l’invito a dire quello che sapeva al fine di riferire fatti rilevanti per il giudice, che sarebbe stato finalizzato unicamente a far comprendere al minore la serieta’ degli atti che egli andava compiendo.

La circostanza che (OMISSIS) non fosse facilmente suggestionabile sarebbe, poi, dimostrata dalla risposta negativa data ad una domanda suggestiva degli intervistatori.

Il racconto, inoltre, presenterebbe dettagli cosi’ peculiari e precisi da non potersi in alcun modo considerare “frutto di fantasia”.

Quanto ai disegni “attribuiti alla mano di (OMISSIS)”, la Corte non avrebbe rilevato che era stato proprio il minore a sollecitare il suo avvocato, che li aveva in consegna, a mostrarli, con il chiaro intento di sottrarsi ad un racconto verbale che tanto lo imbarazzava e che era stato ancora lui ad illustrarli, spiegando dove lui e (OMISSIS) si trovavano, quale fosse la posizione sua e quale quella dell’imputato e sottolineando, altresi’, la parole che vi aveva scritto. Ne’ potrebbero ravvisarsi, negli atti, concreti elementi in base ai quali ipotizzare che i disegni fossero stati opera di altre persone.

Quanto al fatto che nessuno, tra gli insegnanti e gli operatori socio-sanitari, avesse mai sospettato di quanto accadeva al bambino, cio’ sarebbe potuto essere conseguenza di un’attenzione superficiale da parte degli operatori o della difficolta’ di individuare sintomi specifici di abuso sessuale, oltre che di un mancato approfondimento della cause dei disturbi del minore.

Ne’ l’uso del termine “sperma” potrebbe, logicamente, essere ritenuto “sospetto”. Se, per un verso, la Corte aveva manifestato dei dubbi connessi al basso livello di istruzione scolastica del minore, per altro verso non appariva certo inverosimile che egli potesse averlo appreso in altro modo, ad esempio grazie alla madre, nel frangente in cui egli le aveva parlato di “un liquido bianco” (cfr. verbale (OMISSIS) del 6/04/2010, pag. 2, fol. 13, del fascicolo del Pubblico ministero), come del resto riferito dal ragazzo al consulente, anche considerato che, in ogni caso, (OMISSIS) aveva parlato con l’avvocato della madre, il quale ben poteva avergli dato, anch’egli, delle indicazioni terminologiche.

Quanto, poi, alla sessualizzazione del bambino, la stessa sarebbe, in realta’, interpretabile come indice significativo del suo “coinvolgimento in una relazione sessuale precoce ed incongrua”.

In definitiva, la motivazione della sentenza sarebbe stata carente anche sotto ulteriori profili: perche’ non aveva operato alcun raffronto tra le dichiarazioni rese da (OMISSIS) alla polizia giudiziaria ed il racconto, pressoche’ identico, fatto alla madre e da questa riferito; perche’ aveva trascurato di valutare sia il sentimento di vergogna piu’ volte manifestato dal minore durante la deposizione e gia’ espresso durante il colloquio con la madre, cui aveva ripetuto “io mi sento sporco, non te lo posso raccontare, mi sento sporco”, sia l’avversione verso (OMISSIS), destinatario di piccoli gesti di vendetta da parte dello stesso (OMISSIS) e dei suoi amici, sia le sensazioni sgradite per il cattivo odore che egli aveva riferito essere rimasto nelle sue mani dopo aver masturbato l’imputato.

Elementi, quelli appena riportati, che secondo il ricorrente avrebbero dovuto essere valutate come “spie assolutamente significative della veridicita’ di quanto narrato”, non essendo affatto verosimile che egli potesse avere dichiarato il falso in presenza della esternazione da parte di un bambino, in modo tanto genuino e spontaneo, di emozioni e sensazioni di quel tipo.

Ne’ la Corte avrebbe esplorato le possibili cause di una menzogna cosi’ ben congegnata ed articolata, priva di logica e in stridente contrasto con le risultanze processuali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene in primo luogo il Collegio che debba essere rigettata l’eccezione preliminare, con la quale l’imputato ha chiesto che non fosse ammessa la costituzione, nel giudizio di legittimita’, della Parte civile, avuto riguardo all’avvenuto integrale risarcimento del danno da parte dello stesso (OMISSIS).

Infatti, se, per un verso, deve certamente condividersi il rilievo secondo cui “deve escludersi la persistenza dell’interesse della parte civile alla partecipazione al processo penale laddove quest’ultima, in ragione dell’integrale risarcimento del danno intervenuto ormai irrevocabilmente, non possa piu’ esercitare alcuna influenza sull’entita’ del risarcimento stesso” (Sez. 3, n. 42383 del 18/10/2007, dep. 16/11/2007, P.C. e Capalbo, Rv. 238238), per altro verso deve osservarsi come, nel caso di specie, non vi sia alcuna prova, in questa fase del giudizio, dell’avvenuto risarcimento, in toto, del danno patito dalla persona offesa, anche perche’, e la circostanza assume rilievo assorbente, la vicenda penale non si e’ ancora conclusa, sicche’ la Parte civile conserva, nell’ipotesi che occupa, uno specifico interesse all’accertamento, con pronuncia dotata di efficacia di giudicato, che l’imputato ha commesso i fatti che gli vengono attribuiti ai danni di (OMISSIS).

2. Passando al merito delle questioni dedotte, va rammentato che non e’ sindacabile, in sede di legittimita’, salvo il controllo sulla congruita’ e logicita’ della motivazione, la valutazione del giudice di merito in ordine alla rilevanza e attendibilita’ delle fonti di prova o circa la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

Resta, infatti, esclusa, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali ovvero attraverso una diversa ricostruzione storica dei fatti; o, ancora, deve ritenersi inibito un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita’ delle fonti di prova. Cio’ tanto piu’ ove si tratti, come nella specie, di sindacare la decisione del giudice di appello che, sulla base del medesimo compendio probatorio utilizzato in primo grado, pervenga, difformemente dal primo giudice, ad esito assolutorio.

Se, infatti, per la riforma di una decisione assolutoria, non e’ sufficiente una diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilita’ rispetto a quella operata dal primo giudice, ma occorre che la sentenza di appello abbia una forza persuasiva superiore, tale da far cadere ogni ragionevole dubbio, in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto, nel caso inverso, tale diversa valutazione e’ del tutto sufficiente giacche’, se la condanna deve presupporre la certezza della colpevolezza, l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza, ma la mera non certezza della colpevolezza (cfr., Sez. 3, n. 42007 del 27/09/2012, P.G. in proc. NI. ed altro, Rv. 253605; Sez. 6, n. 40159 del 3/11/2011, Galante, Rv. 251066).

3. Deve allo stesso tempo ribadirsi, poi, che alla Corte di cassazione e’ preclusa la possibilita’ non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita’ delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).

4. Nondimeno, nel caso di specie, la sentenza impugnata, lungi dal prestarsi a mere censure riguardanti la possibilita’ di articolare differenti ipotesi ricostruttive, dotate di un maggiore grado di persuasivita’ rispetto a quella fatta propria dalla pronuncia assolutoria, presenta profili di chiara e manifesta illogicita’, di seguito riportati.

In primo luogo, la sentenza gravata si chiude con l’affermazione da un lato della inattendibilita’ del minore, motivata, fondamentalmente, con il carattere approssimativo e “contaminante” dell’audizione effettuata dal dott. (OMISSIS); e, dall’altro lato, con il dubbio, espresso dalla Corte territoriale, che (OMISSIS) potesse avere male interpretato le dichiarazioni a lei rese dal figlio, oppure avesse “filtrato la narrazione dal figlio, attribuendogli magari una valenza di natura sessuale”.

Gia’ sotto questo profilo la sentenza presenta elementi di manifesta illogicita’; intanto, perche’ essa non spiega in che termini la donna possa avere male interpretato le confidenze fattele dal figlio, nelle quali si faceva riferimento a ripetuti episodi di abuso sessuale, realizzato attraverso la pratica di masturbazioni attive da parte del minore, con una puntuale descrizione del momento dell’eiaculazione e delle negative sensazioni olfattive avvertite da (OMISSIS) nel contatto delle mani con lo sperma. Cio’ che rende del tutto illogica l’affermazione secondo cui, a fronte di una ricostruzione dai contorni cosi’ nitidi ed inequivocabili, ella possa avere “filtrato la narrazione dal figlio, attribuendogli magari una valenza di natura sessuale”.

A ben vedere, tale ipotesi ricostruttiva, fondata sul “fraintendimento” da parte di (OMISSIS), appare oggettivamente funzionale, nel complesso dell’apparato motivazionale della sentenza, a dare adeguata risposta alle ragioni di una falsa incolpazione, altrimenti incomprensibile, considerati i buoni rapporti esistenti tra le famiglie dei protagonisti della vicenda. E, tuttavia, come piu’ sopra osservato, tale tesi e’ chiaramente in contrasto, dal punto di vista logico, con il complessivo tenore del racconto, che non sembra davvero lasciare spazio a interpretazioni alternative, considerando che difficilmente lo stesso, per i suoi dettagli cosi’ precisi e per la spontanea esternazione di peculiari sensazioni (si pensi al riferito cattivo odore delle mani dopo che aveva masturbato l’imputato), potrebbe considerarsi come “frutto di fantasia”. Tanto piu’ ove si considerino, diversamente da quanto fatto dalla Corte d’appello, sia il sentimento di vergogna, piu’ volte manifestato dal minore durante la deposizione e gia’ espresso durante il colloquio con la madre, sia l’avversione manifestata nei confronti di (OMISSIS), destinatario di piccoli gesti di vendetta da parte sua e dei suoi amici.

Qualora poi si attribuisse, riduttivamente, la natura di mero obiter all’ipotesi ricostruttiva prima ricordata, destinata a rappresentare non una spiegazione condivisa quanto piuttosto una sorta di “chiusura logica” del ragionamento probatorio dei giudici di appello, allora la Corte territoriale non avrebbe fornito alcuna giustificazione plausibile in relazione ai motivi per i quali (OMISSIS) e la madre abbiano potuto architettare una falsa accusa, peraltro cosi’ ben congegnata.

Quanto, ancora, all’audizione del minore, la sentenza ha censurato, essenzialmente, due distinte questioni: da un lato il fatto che le condizioni “ambientali” dell’interlocuzione predisponessero a forme di condizionamento del soggetto udito, facendosi sul punto riferimento alla inopportuna presenza sia della madre che dell’agente di polizia giudiziaria; dall’altro lato che l’audizione sarebbe stata condotta in modo da non assicurare la genuinita’ della deposizione da parte del minore, sia per l’uso di espressioni atte ad intimidire il giovane (OMISSIS), sia per il ricorso a locuzioni suggestive da parte degli intervistatori.

La prima affermazione, tuttavia, e’ in chiaro contrasto con il verbale delle operazioni relative all’escussione del minore, considerato che (OMISSIS) non era presente al momento dell’audizione (v. il relativo verbale ai fogli 35-48 del fascicolo del pubblico ministero) ed avuto riguardo al fatto che la presenza dell’avv. (OMISSIS), cosi’ come dell’assistente capo (OMISSIS), era del tutto legittima, essendo giustificata, nel primo caso, dalla richiesta fatta dal minore ai sensi dell’articolo 609-decies c.p., comma 3, e, nel secondo caso, dalla delega rilasciata dal Pubblico ministero proprio per l’esecuzione dell’atto investigativo.

Quanto, poi, agli interventi che avrebbero nuociuto alla sincerita’ delle risposte deve osservarsi come sia illogica l’affermazione secondo cui l’invito a parlare “francamente” ovvero a non “usare giri di parole per concludere il racconto” e a “non vergognarsi” o, comunque, a non avere paura in considerazione del ruolo “di tutela” svolto dai presenti, abbiano potuto realizzare forme di indebito condizionamento, atte finanche a determinare falsi ricordi o finanche versioni inventate, trattandosi di sollecitazioni a vincere la naturale ritrosia legata alla scabrosita’ delle questioni oggetto della conversazione ed a superare il processo di vittimizzazione secondaria correlato al senso di colpa che, frequentemente, accompagna i minori vittime di reati sessuali (si vedano, sul punto, le confidenze compiute dal bambino alla madre, secondo cui egli si “sentiva sporco” per quanto era accaduto).

Quanto alle domande asseritamente suggestive la sentenza ha omesso di verificare, o comunque di spiegare, se le stesse fossero state rivolte al minore quando, come specificamente rilevato dal ricorrente, egli aveva gia’ riferito “particolari assai significativi della vicenda”, con cio’ impedendo il controllo sulla logicita’ del relativo passaggio argomentativo.

Sotto altro profilo, giova osservare come l’intera ricostruzione presenti argomentazioni che, in maniera sicuramente suggestiva, intendono disarticolare singoli passaggi del ragionamento giustificativo ma che, nella valutazione finale della Corte territoriale, dovrebbero inficiare la complessiva trama accusatoria.

In realta’, tali argomentazioni si fondano, talvolta, su ricostruzioni assolutamente opinabili ed anzi suscettibili di opposta interpretazione (tale e’, ad esempio, il riferimento alla riscontrata sessualizzazione del bambino, interpretabile, come osservato dal ricorrente, quale indice del suo “coinvolgimento in una relazione sessuale precoce ed incongrua”); e altre volte su ipotesi, appunto, suggestivamente evocative e, tuttavia, non sviluppate in maniera completa e conseguente. E’ il caso dei disegni “attribuiti alla mano di (OMISSIS)”, che non essendo stati eseguiti alla presenza dell’esperto potrebbero essere stati compiuti, secondo la Corte, in maniera non genuina, ovvero su impulso o suggerimento da parte di altri. Tuttavia, i giudici di appello incorrono, ancora una volta, in un evidente vizio logico; atteso che ove si sostenesse la tesi della esecuzione dei disegni in vista della callida costruzione di un assetto accusatorio sfavorevole all’imputato si tornerebbe, necessariamente, nell’ambito di una manovra calunniosa, di cui pero’ non sarebbe stata in alcun modo spiegata la genesi e che anzi parrebbe essere stata esclusa proprio in ragione dei buoni rapporti di vicinato tra le famiglie coinvolte nella vicenda.

5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze, la quale decidera’ anche sulla liquidazione delle spese della Parte civile nel presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge

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