Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 26 maggio 2016, n. 21968

Ai fini dell’aggravante di cui all’art. 80 del d.P.R. n. 309 del 1990, non è sufficiente, ai fini della configurabilità la semplice coscienza e volontà della detenzione dello stupefacente, eventualmente per il tramite di un concorrente, ma è necessaria la dimostrazione della colpevolezza dell’agente quanto allo specifico profilo del quantitativo dello stupefacente

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

SENTENZA 26 maggio 2016, n. 21968

Ritenuto in fatto

– Con sentenza del 6 giugno 2011, il Tribunale di Lecce ha – per quanto qui rileva – condannato l’imputato odierno ricorrente alla pena di 22 anni di reclusione, oltre pene accessorie, per: il reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, con le aggravanti di cui ai commi 1 e 3, per avere diretto un sodalizio criminale composto da più di dieci associati, anche nel periodo in cui si trovava agli arresti domiciliari, allo scopo di acquisire ingenti quantitativi di cocaina, anche direttamente dai paesi di produzione, pianificando gli acquisti, gestendo le risorse finanziarie, ricevendo i corrieri, sopraintendendo all’attività di spaccio (capo 1 dell’imputazione); reati-scopo di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 3, 6, 7, 8, 11, 12 dell’imputazione), in un caso con l’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 5).

Con sentenza del 27 settembre 2013, la Corte d’appello di Lecce ha assolto l’imputato del reato di cui al capo 3 dell’imputazione, ha escluso l’aggravante di cui all’art. 74, comma 3, del d.P.R. n. 309 del 1990 per il capo 1 dell’imputazione e ha conseguentemente ridotto la pena ad anni 21, mesi 3, e giorni 15 di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

– Avverso tale ultima pronuncia l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deducono la violazione degli artt. 268, comma 1, e 271, comma 1, cod. proc. pen., nonché vizi della motivazione, in relazione all’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche svolte nelle indagini preliminari. Si lamenta, in particolare, che non sarebbero stati depositati i verbali di cui al richiamato art. 268, comma 1, così non consentendo alla difesa il controllo sulle attività effettivamente svolte.

2.2. – In secondo luogo, si rilevano l’erronea applicazione dell’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 nonché vizi della motivazione, in relazione al capo 5 dell’imputazione, consistente nella detenzione, in concorso con altri, di 8,400 kg di cocaina. La difesa lamenta che i giudici di appello avrebbero disatteso la censura relativa alla mancanza di prova della consapevolezza in capo all’imputato della quantità di stupefacente in arrivo, scorrettamente ritenendo la natura puramente oggettiva della circostanza aggravante in parola.

2.3. – Si contesta, poi, la motivazione della sentenza impugnata in relazione al reato di cui al capo 6, sul rilievo che la responsabilità penale dell’imputato sarebbe stata desunta dalla presenza di una donna sudamericana in casa sua e dall’invito da lui fatto ad un soggetto presente di prendere la cosa che era in bagno e portarla sul terrazzo. Non si sarebbe valutato che la presenza della donna in Italia non era legata al trasporto di cocaina da parte di questa né che il riferimento a banconote di piccolo taglio non era univocamente riconducibile al viaggio da lei portato a termine, perché uno degli interlocutori aveva in realtà fatto presente che il denaro serviva per il pagamento di un’altra consegna, già avvenuta, ovvero quella di cui al precedente capo 5 dell’imputazione.

2.4. – Con un quarto motivo di doglianza, riferito al capo 7 dell’imputazione, si contesta la motivazione della sentenza in relazione alla ricezione di una partita di cocaina inviata dalla Colombia tramite tale B.. Non si sarebbe considerato che questo soggetto, sottoposto a perquisizione, non era stato trovato in possesso di stupefacente. E si sarebbe travisato il contenuto delle intercettazioni telefoniche in atti, dalle quali – secondo la difesa – non era emerso che l’imputato fosse il destinatario finale e, anzi, non era neanche emerso che lo stupefacente fosse stato effettivamente trasportato.

2.5. – Quanto al capo 8 dell’imputazione, con un quinto motivo di doglianza si contesta la valutazione dei giudici di merito circa gli esiti di un servizio di osservazione che avrebbe visto vari soggetti accompagnarsi fra loro.

2.6. – In sesto luogo, si rilevano vizi della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del reato associativo. Non si sarebbe considerato, che, per tutta la durata dell’indagine, non vi erano stati contatti tra l’imputato e i sudamericani, né che tali fornitori non erano sempre gli stessi, ma venivano reperiti di volta in volta occasionalmente. Vi era un unico rapporto costante intrattenuto dall’imputato, con il coimputato P., ma il primo non era consapevole del fatto che il secondo agisse quale esponente di un gruppo organizzato. La Corte d’appello non avrebbe adeguatamente approfondito l’ulteriore aspetto inerente alla presunta esistenza di una struttura salentina facente capo all’imputato e non avrebbe considerato che l’assoluzione dalle imputazioni di cui ai capi 15, 22, 23, insieme con l’assoluzione di alcuni presunti associati avrebbe dovuto indurre ad escludere che l’imputato operasse spaccio sul territorio con una propria rete di affiliati. Al più l’imputato avrebbe provveduto alla risoluzione di problemi locali dello spaccio; attività inidonea ad integrare il contestato ruolo direttivo nell’ambito dell’ipotizzata associazione.

Considerato in diritto

– Il ricorso è solo parzialmente fondato.

3.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si lamenta che non sarebbero stati depositati i verbali di cui all’art. 268, comma 1, cod. proc. pen. così non consentendo alla difesa il controllo sulle attività effettivamente svolte, con conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni – è infondato.

La censura difensiva riguarda, in realtà, non i verbali delle operazioni di intercettazione, ma i cosiddetti brogliacci di ascolto delle operazioni di intercettazione, nei quali è sommariamente trascritto il contenuto delle comunicazioni intercettate, essendo pacifico che nel caso in esame sono state depositate le bobine originali delle intercettazioni. Ne consegue che nessuna lesione del diritto di difesa è ipotizzabile, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha precisato che l’omesso deposito dei brogliacci, consistenti nella sintesi delle conversazioni eseguita dalla polizia giudiziaria che procede all’intercettazione, non è sanzionato da alcuna nullità, o inutilizzabilità, delle intercettazioni medesime (ex plurimis, sez. 3, 23 marzo 2015, n. 36350, rv. 265630; sez. 6, 26 novembre 2009, n. 49541, rv. 245.656; sez. 4, 21 gennaio 2004, n. 16890, rv. 228040). La sanzione dell’inutilizzabilità opera, infatti, nel diverso caso dell’omessa redazione del verbale, che si distingue dal brogliaccio, perché contiene la sommaria indicazione delle operazioni svolte e non la sintesi delle conversazioni intercettate.

3.2. – Il secondo motivo di doglianza, riferito al capo 5 dell’imputazione – consistente nella detenzione, in concorso con altri, di 8,400 kg di cocaina – è fondato.

Deve preliminarmente affermarsi, in punto di diritto, che la circostanza aggravante dell’ingente quantità di sostanze stupefacenti, di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, può essere riconosciuta solo qualora si accerti, ai sensi dell’art. 59, secondo comma, cod. pen., la colpevolezza del soggetto attivo anche in relazione alla predetta circostanza, dimostrando che la stessa sia da lui conosciuta, ovvero ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore dovuto a colpa (sez. 6, 5 marzo 2014, n. 13087, rv. 258643; con riferimento alla diversa circostanza aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, sez. 2, 8 luglio 2013, n. 44667, rv. 257611; con riferimento, invece, alla circostanza di cui all’art. 80, comma 1, lettera a), dello stesso d.P.R., sez. 6, 9 luglio 2010, n. 41306, rv. 248793, sez. 6, 29 gennaio 2008, n. 20663, rv. 240058). Deve dunque ritenersi superato l’orientamento, espresso da sez. 6, 24 febbraio 1989, n. 8730, rv. 181606, secondo cui sarebbe irrilevante la conoscenza del quantitativo di stupefacente oggetto di detenzione in capo all’agente, essendo sufficiente che tale quantitativo sia oggettivamente ingente.

Venendo al caso in esame, deve rilevarsi che la difesa non contesta la sussistenza oggettiva della circostanza aggravante. La Corte d’appello, richiamando esclusivamente l’ultima delle sentenze sopra citate, ritiene sussistente la circostanza aggravante dell’ingente quantità, sull’assunto che sarebbe irrilevante l’eventuale non conoscenza in capo all’imputato del quantitativo alla cui detenzione ha certamente concorso. Si tratta di un assunto che si pone, però, in contrasto con i principi sopra enunciati: non è infatti sufficiente, ai fini della configurabilità dell’aggravante in parola, la semplice coscienza e volontà della detenzione dello stupefacente, eventualmente per il tramite di un concorrente, ma è necessaria la dimostrazione della colpevolezza dell’agente quanto allo specifico profilo del quantitativo dello stupefacente.

3.3. – Il terzo motivo di doglianza – con cui contesta la motivazione della sentenza impugnata in relazione al reato di cui al capo 6 – è inammissibile, perché diretto ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito della responsabilità penale, per di più sulla base di deduzioni che costituiscono la mera riproposizione di rilievi già esaminati e motivatamente disattesi dalla Corte d’appello.

La difesa lamenta, in particolare, che la responsabilità penale dell’imputato sarebbe stata desunta dalla presenza di una donna sudamericana in casa sua e dall’invito da lui fatto ad un soggetto presente di prendere la cosa che era in bagno (lo stupefacente) e portarla sul terrazzo. La stessa difesa fornisce, poi, una ricostruzione del tutto alternativa e ipotetica dei fatti, secondo cui la presenza della donna in Italia non era legata al trasporto di cocaina da parte sua e il riferimento fatto dai coimputati a banconote di piccolo taglio non era univocamente riconducibile al viaggio da lei portato a termine. Del pari ipotetica risulta l’affermazione difensiva secondo cui uno degli interlocutori aveva in realtà fatto presente che il denaro serviva per il pagamento di un’altra consegna, già avvenuta, ovvero quella di cui al precedente capo 5 dell’imputazione. E, del resto, la sentenza impugnata reca una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove evidenzia che gli assunti della difesa sono smentiti dall’ampio numero di conversazioni intercettate, che danno conto del fatto che la donna si trovava nell’appartamento dell’imputato accompagnata dal coimputato P. perché portava gli oboli contenenti lo stupefacente. Dalle intercettazioni effettuate risulta, inoltre, che la donna era la stessa che era stata successivamente arrestata nella flagranza della detenzione di stupefacente il 20 settembre 2003.

3.4. – Analoghe considerazioni valgono per il quarto motivo di doglianza, riferito al capo 7 dell’imputazione, con cui si contesta la motivazione della sentenza in relazione alla ricezione di una partita di cocaina inviata dalla Colombia tramite tale B.. A fronte di censure che costituiscono la mera riproposizione dei motivi di appello, è sufficiente qui rilevare che la Corte di secondo grado ha evidenziato che il soggetto era effettivamente un corriere che portava dello stupefacente, in quantità inferiore a quella inizialmente concordata, avendo come destinatario finale l’imputato odierno ricorrente, il quale aveva pagato il relativo corrispettivo, come emerge con chiarezza dalle conversazioni tra questo e il coimputato P..

3.5. – Per le stesse ragioni, deve essere ritenuto inammissibile anche il quinto motivo di doglianza, relativo al capo 8 dell’imputazione. A fronte delle generiche contestazioni difensive, è sufficiente qui rilevare che – secondo la corretta valutazione della Corte d’appello – dalle conversazioni intercettate, emerge che la moglie di P. era andato a recuperare un barattolo contenente stupefacente su incarico dell’imputato e che quest’ultimo aveva parlato con lo stesso P. delle modalità del relativo pagamento, restando del tutto ipotetica la ricostruzione difensiva secondo cui lo scambio di denaro avrebbe potuto riferirsi a forniture diverse, passate o future.

3.6. – Inammissibile è anche il sesto motivo di doglianza, con cui si deducono vizi della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del reato associativo.

In risposta alle generiche considerazioni difensive, poi ribadite con il ricorso per cassazione, circa la mancanza di prova di contatti fra l’imputato i soggetti sudamericani e circa la mancanza di consapevolezza del fatto che il P. fosse l’esponente di un gruppo organizzato, la Corte d’appello – in totale continuità con il Tribunale – evidenzia che: a) vi erano assiduità di contatti, costante riferimento allo stupefacente, spostamenti programmati dei corrieri sul territorio nazionale, tecniche di occultamento dello stupefacente, stretta connessione tra consegne e movimentazioni di denaro da parte dell’imputato anche con destinatari diversi, pronta reperibilità di soggetti secondo il ruolo necessario da ciascuno svolto, nell’ambito di uno stabile preordinato assetto organizzativo; b) le operazioni erano dirette all’imputato, insieme a P.; c) vi era una predisposizione di mezzi, ancorché rudimentale, con la permanente consapevolezza degli associati di essere disponibili ad operare per l’attuazione del programma criminoso, non rilevando in contrario il fatto che il traffico illecito di stupefacenti fosse imperniato per di più intorno ai componenti di una stessa famiglia; d) non merita, dunque, seguito la tesi difensiva secondo cui l’imputato era semplicemente un soggetto che si occupava di problemi locali dello spaccio, perché lo stesso è stato colto, in più occasioni, ad impartire direttive, a tenere i rapporti con i corrieri, ad effettuare i pagamenti, ad affrontare le questioni relative ai quantitativi e alla qualità dello stupefacente.

– Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, quanto al capo 5 dell’imputazione, limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante dell’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce, perché proceda a nuovo giudizio sul punto, facendo applicazione del principio di diritto sopra enunciato sub 3.2., ferma restando la sussistenza degli elementi oggettivi della circostanza aggravante. Il ricorso deve essere, nel resto, rigettato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, quanto al capo 5, limitatamente alla configurabilità della circostanza aggravante dell’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce. Rigetta nel resto il ricorso

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