Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 24 ottobre 2016, n. 44578

Il sequestro conservativo di un bene resta valido fino a quando la sentenza di proscioglimento dell’imputato non è più soggetta a impugnazione a meno che non sia offerta un’idonea cauzione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 24 ottobre 2016, n. 44578

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandr – rel. Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Ministero dei beni e delle attivita’ culturali e del turismo (parte civile);

nei confronti:

(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano del 26 gennaio 2015;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Alessandro M. Andronio;

udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Angelillis Ciro, che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice civile, con riferimento al capo a) dell’imputazione e con l’esclusione della posizione di (OMISSIS), nonche’ per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, quanto alla revoca del sequestro conservativo, e per il rigetto nel resto del ricorso;

udito l’avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell’avv. (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. – Con sentenza dell’8 marzo 2012, il Tribunale di Milano ha, per quanto qui rileva, condannato gli imputati alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno e quattro mesi di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa ciascuno, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile, Ministero dei beni e delle attivita’ culturali e del turismo, da determinarsi in separato giudizio, con liquidazione di una provvisionale di Euro 60.000,00, per i reati di cui ai capi A e D dell’imputazione, unificati dal vincolo della continuazione. Al capo A, si contesta agli imputati la violazione dell’articolo 110 c.p., articolo 173, comma 1, lettera b), Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 59, comma 2, lettera a), per avere, in concorso tra loro – (OMISSIS) quale proprietaria, (OMISSIS) quale concorrente nella gestione del patrimonio della moglie (OMISSIS), (OMISSIS) quale rappresentante di una casa d’aste, incaricato della vendita all’asta alienato, con aggiudicazione da parte della casa d’aste del (OMISSIS), un dipinto sottoposto a vincolo dal Ministero per i beni culturali e ambientali con decreto del 3 agosto 1988, notificato il 10 marzo 1998, omettendo di presentare alla sovrintendenza competente, nel termine di 30 giorni, la denuncia della atto di trasferimento. Al capo D, si contesta agli imputati la violazione dell’articolo 110 c.p., articolo 640 c.p., comma 2, n. 1), in relazione al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 59 e segg., per avere, nelle stesse vesti, alienato il dipinto di cui sopra, impedendo allo Stato di esercitare il diritto di prelazione, cagionando allo Stato un danno corrispondente al valore del dipinto, rispetto alla cui acquisizione non poteva essere esercitato il diritto di prelazione, con l’utilizzazione dei seguenti artifici e raggiri: formalizzando all’Ufficio esportazione una richiesta di rilascio di attestato di temporanea importazione del dipinto dall’Inghilterra, laddove il trasferimento in Inghilterra non era mai stato autorizzato; conseguendo la licenza di temporanea importazione; trasportato clandestinamente il dipinto da Milano a Venezia, senza dare notizia alla sovrintendenza; alienando dipinto in data (OMISSIS), senza rappresentare l’esistenza del vincolo sullo stesso e senza effettuare la necessaria denuncia (il 1 agosto 2007).

2. – Con sentenza del 26 gennaio 2015, la Corte d’appello di Milano ha: assolto tutti gli imputati dal reato di cui al capo D, perche’ il fatto non sussiste; assolto (OMISSIS) dal reato di cui al capo A, per non avere commesso il fatto; assolto (OMISSIS)Vedani (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di cui al capo A, perche’ il fatto non costituisce reato; revocato le statuizioni civili e il sequestro conservativo sul dipinto oggetto d’imputazione, disponendone la restituzione all’avente diritto.

3. – Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dei beni e delle attivita’ culturali e del turismo, chiedendone l’annullamento.

3.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deduce l’erronea applicazione dell’articolo 640 c.p. in relazione alla natura dell’atto di disposizione patrimoniale che rappresenta uno degli elementi costitutivi del reato. Si ricorda, in particolare, che l’atto di disposizione ben puo’ consistere in un permesso o assenso, nella mera tolleranza, in un atto materiale o in un atto omissivo, essendo rilevanti soltanto la sua volontarieta’ e la conseguenza dell’ingiusto profitto altrui con proprio danno, determinato dall’errore indotto dalla condotta artificiosa o di raggiro. In tale quadro, la Corte d’appello non avrebbe potuto negare rilevanza all’atto di disposizione patrimoniale, per il solo fatto che lo stesso non si era concretizzato in una condotta positiva.

3.2. – In secondo luogo, si prospetta l’erronea applicazione dell’articolo 640 c.p., in relazione alla natura del danno. Si lamenta, in particolare, che la Corte d’appello avrebbe ritenuto insussistente il danno e il corrispondente profitto, sul rilievo che l’esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato avrebbe avuto comunque come corrispettivo il pagamento del prezzo di vendita del dipinto.

Cosi’ argomentando, pero’, i giudici di secondo grado non avrebbero considerato che il danno e’ rappresentato dal mancato esercizio del diritto di prelazione.

3.3. – In terzo luogo, si denunciano vizi della motivazione, in relazione alla assoluzione dal reato di truffa, sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe trascurato di confutare gli argomenti contenuti nella sentenza di primo grado. In tale sentenza, quanto agli artifici e raggiri utilizzati dagli imputati, si erano valorizzati: la firma illeggibile sul mandato a vendere proveniente da soggetto non legittimato alla vendita; la firma tardiva e impropria sulla richiesta autocertificativa di temporanea importazione; la non giustificata confusione tra i cinque dipinti importati da (OMISSIS) e altri tre dipinti provenienti da Milano; l’omessa indicazione della provenienza del dipinto nel catalogo della casa d’aste. Si era trattato, secondo il Tribunale e secondo la prospettazione del ricorrente, di artifici diretti ad eludere l’obbligo di denuncia del vincolo, intenzionalmente confondendo il quadro vincolato con altri effettivamente in regime di temporanea importazione, di proprieta’ di diversi componenti della medesima famiglia.

3.4. – Si rileva, in quarto luogo, la manifesta illogicita’ della motivazione in riferimento all’assoluzione dal reato di cui al capo A. Si contesta, in particolare, l’assunto della Corte d’appello secondo cui deve essere riconosciuta la buona fede degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), sul presupposto che gli stessi avessero omesso la denuncia alla sovrintendenza, perche’ informati dell’intervento dei carabinieri pochi giorni dopo l’aggiudicazione del quadro all’asta. Non si sarebbe considerato che gli imputati non si erano giustificati con tali argomenti, avendo invece affermato semplicemente di non ricordare che il quadro fosse sottoposto a vincolo. Quanto alla posizione di (OMISSIS), la Corte d’appello avrebbe tralasciato di considerare che questo, pur non essendo il destinatario degli obblighi di denuncia che gravano sull’alienante, aveva avuto un ruolo fondamentale nell’alienazione del dipinto, perche’ era il titolare della casa d’aste che aveva battuto il quadro ed aveva seguito tutta la procedura di vendita, essendo andato anche a Milano ritirare il dipinto; procedura che aveva le evidenti irregolarita’ delineate nella sentenza di primo grado.

3.5. – Con un quinto motivo di doglianza, si deduce la violazione dell’articolo 317 c.p.p., u.c., contestando la disposta revoca del sequestro conservativo sul dipinto oggetto di imputazione, con conseguente sua restituzione all’avente diritto. La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che la disposizione richiamata prevede espressamente che gli effetti del sequestro cessano quando la sentenza di proscioglimento o di non luogo procedere non e’ piu’ soggetta a impugnazione, ma non prima.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. – Il ricorso, proposto ai soli effetti civili, e’ fondato.

4.1. – I primi due motivi di doglianza – che possono essere trattati congiuntamente perche’ si riferiscono entrambi all’interpretazione dell’articolo 640 c.p. con riferimento al caso concreto – sono fondati.

Come correttamente evidenziato dal ricorrente, l’atto di disposizione rilevante ai fini della configurabilita’ del reato di truffa ben puo’ consistere in un permesso o assenso, nella mera tolleranza, in un atto materiale o in un atto omissivo, essendo rilevanti soltanto la sua volontarieta’ e la conseguenza dell’ingiusto profitto altrui con proprio danno, determinato dall’errore indotto dalla condotta artificiosa o di raggiro (Cass., sez. un., 29 settembre 2011, n. 155/2012). Piu’ specificamente – per quanto qui rileva – il danno arrecato alla vittima non deve necessariamente conseguire ad una sua condotta commissiva, potendo, invece, sussistere anche in conseguenza di un comportamento meramente omissivo, nel senso che la vittima, indotta in errore, non compie quelle attivita’ volte a far acquisire al proprio patrimonio una concreta utilita’ economica alla quale ha diritto e che rimane, invece, acquisita al patrimonio altrui (sez. 2, 19 marzo 2014, n. 26788). E cio’ e’ quanto e’ avvenuto nel caso di specie, in cui lo Stato e’ stato indotto ad omettere di esercitare il diritto di prelazione, non avendo avuto conoscenza dell’alienazione del bene culturale. Ne consegue che, ai fini della valutazione della sussistenza del reato, la Corte d’appello non avrebbe potuto negare rilevanza all’atto di disposizione patrimoniale, per il solo fatto che lo stesso non si era concretizzato in una condotta positiva della persona offesa.

In relazione alla natura del danno, la Corte di merito non considera che lo stesso e’ rappresentato, non solo dalle eventuali conseguenze patrimoniali del mancato esercizio del diritto di prelazione – che avrebbero dovuto essere oggetto di disamina e valutazione in sede civile, secondo quanto correttamente rilevato dal Tribunale – ma anche e soprattutto dal pregiudizio morale. Inoltre i giudici di appello non prendono compiutamente posizione – anche solo allo scopo di confutarle sul piano logico – circa le affermazioni, contenute nella sentenza di primo grado, secondo cui vi era un profitto per i venditori, conseguente al maggior prezzo del bene sul libero mercato rispetto al suo valore sul mercato limitato dalla sussistenza del vincolo artistico, non essendo stato provato che nel caso di specie tale vincolo aumentasse il valore del bene anziche’ ridurlo. E sono state escluse, senza alcuna motivazione, le voci di danno legate alle spese per le indagini necessarie all’accertamento dei fatti, pur prese in considerazione dal Tribunale. Quanto alla motivazione della sentenza di secondo grado, deve, del resto ricordarsi che il giudice di appello che riformi la decisione di condanna di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non puo’ limitarsi a prospettare notazioni critiche di dissenso alla pronuncia impugnata, dovendo piuttosto esaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni assunte, mettendo in luce le carenze o le aporie, che ne giustificano l’integrale riforma (ex plurimis, sez. 6, 8 ottobre 2013, n. 46742, rv. 257332; sez. 6, 28 novembre 2013, n. 1253, rv. 258005; sez. 2, 18 novembre 2014, n. 50643, rv. 261327).

4.2. – I principi appena richiamati trovano applicazione anche al terzo motivo di doglianza, che deve essere ritenuto del pari fondato, avendo la Corte d’appello omesso di svolgere un esame critico degli argomenti spesi dal Tribunale a sostegno della ritenuta sussistenza di artifici e raggiri utilizzati dagli imputati. I giudici di secondo grado avrebbero dovuto farsi carico di una puntuale analisi dei fatti emersi dall’istruttoria, con particolare riferimento alla successione delle vicende relative all’irregolarita’ della “temporanea importazione” del dipinto oggetto dell’imputazione e, piu’ in generale, al tentativo di confondere tale dipinto con altri che si trovavano invece regolarmente in regime temporanea importazione. Si evidenziano, sul punto i principali elementi ritenuti rilevanti dal Tribunale e non considerati dalla Corte d’appello: la firma illeggibile sul mandato a vendere proveniente da soggetto non legittimato alla vendita; la firma tardiva e impropria sulla richiesta autocertificativa di temporanea importazione; la non giustificata confusione tra i cinque dipinti importati da (OMISSIS) e altri tre dipinti provenienti da Milano; l’omessa indicazione della provenienza del dipinto nel catalogo della casa d’aste; la non plausibilita’ delle ragioni fornite dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) per giustificare la mancata denuncia della vendita.

4.3. – Analoghe considerazioni valgono anche quanto al quarto motivo di ricorso, con cui si denunciano vizi della motivazione in relazione all’assoluzione degli imputati dal reato di cui al capo A. Deve innanzi tutto evidenziarsi che non e’ necessario qui procedere all’analisi dei profili relativi al regime giuridico dell’alienazione e della c.d. prelazione artistica, perche’ la sentenza impugnata non disconosce le conclusioni raggiunte sul punto dalla sentenza di primo grado, secondo cui l’alienazione del dipinto si era verificata con la sua aggiudicazione all’asta. Fatta questa premessa, deve rilevarsi che risulta manifestamente implausibile, in quanto non ulteriormente argomentata o circostanziata, l’affermazione secondo cui dovrebbe essere riconosciuta la buona fede degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), non essendo evidentemente sufficiente in relazione alle ragioni della omessa la denuncia alla sovrintendenza della vendita del dipinto, la circostanza che gli stessi fossero stati informati dell’intervento dei carabinieri pochi giorni dopo l’aggiudicazione del quadro all’asta. Tale circostanza si pone – del resto – in apparente contraddizione con le giustificazioni effettivamente fornite dagli stessi imputati, come evidenziato nella sentenza di primo grado. Quanto alla posizione di (OMISSIS), la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare che questo, pur non essendo il destinatario degli obblighi di denuncia, che gravano direttamente sui soli alienanti, aveva avuto un ruolo fondamentale nell’alienazione del dipinto, perche’ era il titolare della casa d’aste che aveva battuto il quadro ed aveva seguito tutta la procedura di vendita. E la sentenza di primo grado reca, sul punto, un’ampia motivazione, che non e’ stata presa in considerazione dei giudici di appello neanche a fini di critica.

4.4. – Il quinto motivo di doglianza – con cui si deduce la violazione dell’articolo 317 c.p.p., u.c., contestando la disposta revoca del sequestro conservativo sul dipinto oggetto di imputazione, con conseguente sua restituzione all’avente diritto – e’ anch’esso fondato.

Tale disposizione prevede, infatti, che gli effetti del sequestro cessano quando la sentenza di proscioglimento o di non luogo procedere non e’ piu’ soggetta a impugnazione, ma non prima. E la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte (sez. 5, 17 aprile 2012, n. 40407, rv. 254631; sez. 4, 15 maggio 2013, n. 39171, rv. 256763) afferma che la misura cautelare del sequestro conservativo, prima della definitivita’ della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, e’ suscettibile di revoca solo nel caso in cui venga offerta idonea cauzione e non anche per il venir meno dei presupposti che ne hanno legittimato l’adozione. Del resto non esiste nell’ordinamento processuale una norma che ne autorizzi la revoca, esplicitamente invece prevista per il sequestro preventivo (in senso analogo, sez. 5, 6 ottobre 1995, n. 2196, rv. 203591; sez. 6, 3 luglio 1996, n. 2626, rv. 205936; sez. 6, 25 settembre 1996, n. 2794, rv. 206210; sez. 5, 4 ottobre 2005, n. 45929, rv. 233216; sez. 3, 14 luglio 2010, n. 35396, rv. 248368; sez. 5, 17 aprile 2012, n. 40407, rv. 254631). Le stesse sezioni unite (26 giugno 2002, n. 34623, rv. 222261), seppure con un obiter dictum, hanno confermato tali conclusioni, affermando che il sequestro conservativo, al contrario delle misure cauteiari personali, e’ “misura irrevocabile”, con la conseguenza che la mancata impugnazione del relativo provvedimento impositivo ai sensi dell’articolo 318 c.p.p. ne determina la definitivita’. Ed e’ proprio l’inesistenza di una disposizione che consenta l’attivazione di un procedimento di revoca – su istanza di parte o ex officio – della misura che induce a ritenere non condivisibile l’opposto, piu’ risalente orientamento (sez. 6, 19 maggio 1998, n. 1778, rv. 211715; sez. 6, 25 febbraio 2003, n. 13624, rv. 224496; sez. 2, 10 gennaio 2007, n. 7226, rv. 235965), secondo cui la mancata previsione della revocabilita’ del sequestro conservativo non puo’ significare che, nel caso in cui non siano stati attivati gli ordinari strumenti di gravame, non possa poi richiedersi la caducazione del relativo provvedimento impositivo.

5. – Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata, sia agli effetti civili, sia in relazione alla disposta revoca del sequestro conservativo, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, perche’ proceda a nuovo giudizio, tenendo conto dei principi di diritto sopra enunciati, fornendo adeguata motivazione su tutti i profili rilevanti ai fini della responsabilita’, con liberta’ di esito, e provvedendo anche alla liquidazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e la disposta revoca del sequestro conservativo e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello, al quale rimette anche la liquidazione tra le parti delle spese

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