Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 22 giugno 2016, n. 25821

 In caso di evasione fiscale via libera al sequestro dei beni in relazione all’ipotizzata esistenza di un’associazione a delinquere transnazionale

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 22 giugno 2016, n. 25821

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMORESANO Silvio – Presidente
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessand – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS);
avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 24 aprile 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro M.;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. – Con ordinanza del 24 aprile 2015, il Tribunale di Napoli ha confermato le ordinanze del Gip dello stesso Tribunale, del 10 ottobre, 11 novembre, 13 novembre 2014, con le quali erano state rigettate le istanze di revoca del sequestro per equivalente di immobili, conti correnti, oggetti di valore disposto in via d’urgenza dal Pubblico Ministero il 3 aprile 2014. Il sequestro era stato disposto in relazione all’ipotizzata esistenza di un’associazione a delinquere transnazionale finalizzata alla commissione di truffe aggravate e reati di evasione fiscale.
2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Si rileva, in primo luogo, la violazione dell’articolo 369 c.p.p., che non e’ stata dedotta con i motivi di appello, perche’ il ricorrente aveva appreso solo successivamente di essere indagato e non terzo interessato estraneo ai fatti. Nel caso di specie non sarebbe stato possibile l’esercizio del diritto di difesa, perche’ il sequestro era stato eseguito ai sensi della L. n. 146 del 2006, articolo 11 anziche’ ai sensi dell’articolo 322 ter c.p.; ne’ al ricorrente era stato chiesto se fosse assistito da un difensore di fiducia.
2.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si deduce la violazione della L. n. 146 del 2006, articoli 3, 4 e 11. Si sostiene che nel caso di specie dovrebbe essere esclusa l’applicabilita’ della circostanza aggravante della transnazionalita’ e si osserva che l’articolo 3 richiamato non ha carattere immediatamente precettivo, perche’ si limita a dare una definizione della transnazionalita’, senza prevedere sanzioni. Secondo la ricostruzione difensiva, la norma penale relativa al reato transnazionale e’ rappresentata dal successivo articolo 4, che prevede la relativa aggravante ad effetto speciale. E tale aggravante non sarebbe applicabile nel caso di specie, in cui il gruppo criminale organizzato transnazionale non e’ un’entita’ diversa rispetto all’associazione per delinquere. Mancherebbe, in ogni caso, un adeguato vaglio della consapevolezza che il ricorrente aveva dell’esistenza di rapporti con altri soggetti e della sua partecipazione all’ipotizzato gruppo criminale.
2.3. – In terzo luogo, si prospettano la violazione dell’articolo 321 c.p.p. e articolo 322 ter c.p. in ordine alla qualificazione della disponibilita’ del bene, nonche’ la manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione sul punto. Secondo la prospettazione difensiva, e’ da escludersi che il coindagato (OMISSIS) abbia la disponibilita’ diretta dei beni sequestrati alla societa’ e che tali beni, formalmente intestati alla societa’ stessa, non siano in realta’ nella disponibilita’ di quest’ultima. Ne’ vi sarebbero in atti intercettazioni telefoniche dalle quali desumere rapporti tra (OMISSIS) e l’odierno ricorrente (OMISSIS).
2.4. – Con una quarta censura, si deduce la violazione dell’articolo 322 ter c.p., nella parte in cui esclude la possibilita’ di sottoporre a sequestro preventivo per equivalente i beni delle persone giuridiche. Si ribadisce, sul punto, che la societa’ intestataria dei beni non era uno schermo fittizio.
2.5. – In prossimita’ dell’udienza in camera di consiglio davanti a questa Corte, la difesa ha depositato memoria contenente motivi aggiunti, evidenziando che tra i reati-fine contestati non ve ne e’ nessuno che possa giustificare il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente e ribadendo che la societa’ intestataria dei beni e’ realmente esistente ed operante e non costituisce un mero schermo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. – Il ricorso e’ infondato.
3.1. – Deve preliminarmente rilevarsi che le doglianze sopra riportate sub 2.2., 2.3., 2.4. 2.5. – relative alla motivazione circa la mancanza di prova dei rapporti tra (OMISSIS) e i coindagati (in particolare, (OMISSIS)), nonche’ alla natura non fittizia della societa’ formale intestataria dei beni sequestrati – sono inammissibili ai sensi dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, perche’ sostanzialmente dirette a porre in discussione la motivazione del provvedimento impugnato anziche’ a prospettare violazioni di legge.
E su tali profili, del resto, il Tribunale ha fornito una motivazione pienamente adeguata, alle pagine 10 e seguenti del provvedimento impugnato laddove si evidenziano i ruoli rispettivamente svolti da (OMISSIS) e (OMISSIS), i rapporti tra gli stessi e i numerosi e convergenti elementi in forza dei quali la societa’ (OMISSIS) s.r.l., formale intestataria dei beni sequestrati, doveva essere ritenuta come un mero schermo utilizzato da (OMISSIS) nell’ambito delle attivita’ illecite contestate al suo sodalizio criminoso.
3.2. – Il motivo di ricorso sub 2.1., relativo alla pretesa violazione dell’articolo 369 c.p.p. e’ manifestamente infondato. Infatti, come piu’ volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il sequestro preventivo non deve essere preceduto, a pena di nullita’, dall’informazione di garanzia e dall’informazione sul diritto di difesa previste dagli articoli 369 e 369 bis c.p.p., in quanto si tratta di atto a sorpresa, con la conseguenza che la sua esecuzione, proprio perche’ destinata ad impedire il pericolo di dispersione o di mutamento della consistenza dei beni da apprendere, sarebbe esposta al rischio di vanificazione, se preceduta dei relativi avvisi (ex multis, Sez. 6, 25 giugno 2014, n. 36429, Rv. 260113; Sez. 3, 28 maggio 2014, n. 39303; Sez. 5, 7 maggio 2013, n. 28336; Sez. 2, 17 marzo 2009, n. 13678, Rv. 244253; Sez. 2, 25 maggio 2005, n. 23189, Rv. 232007). E, del resto, il ricorrente non ha puntualmente evidenziato in cosa consisterebbero le ipotizzate violazioni del diritto di difesa che deriverebbero dal fatto che il sequestro era stato eseguito ai sensi della L. n. 146 del 2006, articolo 11 anziche’ ai sensi dell’articolo 322 ter c.p., disposizioni che non assumono rilevanza a tal fine, perche’ si riferiscono alla confisca e non al sequestro preordinato alla confisca, ne’ tantomeno alle modalita’ esecutive di quest’ultimo.
3.2. – Infondato e’ il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta, sostanzialmente, che nel caso di specie non si sarebbe potuto procedere al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, in mancanza del carattere transnazionale dell’ipotizzata associazione a delinquere, non essendo configurabile la circostanza aggravante di cui alla L. n. 156 del 2006, articolo 4.
Quanto a tale profilo, deve premettersi che la normativa di riferimento e’ stata correttamente individuata dal Tribunale nel combinato disposto dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 11 e articolo 3, comma 1, lettera d), che ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalita’ organizzata transnazionale sottoscritta nel corso della Conferenza di Palermo del 12 – 15 dicembre 2000. Il richiamato articolo 11, intitolato Ipotesi speciali di confisca obbligatoria e confisca per equivalente, prevede che, per i reati di cui all’articolo 3 della presente legge, qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilita’ di cui il reo ha la disponibilita’, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo. E il precedente articolo 3, lettera d), richiamato dal suddetto articolo 11, nel definire la nozione di reato transnazionale, considera tale il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, in cui sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, quando, tra l’altro, sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato. Infine, il successivo articolo 4, comma 1, prevede che per i reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita’ criminali in piu’ di uno Stato la pena e’ aumentata da un terzo alla meta’.
Nell’interpretare il complesso di tali disposizioni, le sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che la transnazionalita’ non e’ un elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto, a condizione che sia punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia riferibile ad un gruppo criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale e ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni: a) il reato sia commesso in piu’ di uno Stato; b) il reato sia commesso in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato; c) il reato sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita’ criminali in piu’ di uno Stato; d) il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato (Sez. un., 31 gennaio 2013, n. 18374, Rv. 255038). Al fine della applicazione del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dalla L. n. 146 del 2006, articolo 11, e’ dunque sufficiente che sia contestata e configurabile la condizione di transnazionalita’ del delitto per cui si procede, proprio perche’ la transnazionalita’ non rappresenta un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto che abbia i requisiti indicati dal richiamato articolo 3 (Sez. 5, 31 ottobre 2014, n. 31687/2015; Sez. 3, 15 ottobre 2013, n. 44309). Non e’ necessario, pertanto, che sia contestata e ricorra la circostanza aggravante ad effetto speciale prevista dalla richiamata L. n. 146 del 2006, articolo 4, comma 1, per la cui configurabilita’ occorre che la commissione del reato sia stata determinata o anche solo agevolata, in tutto o in parte, dall’apporto di un gruppo criminale organizzato, distinto da quello cui e’ riferibile il reato, impegnato in attivita’ illecite in piu’ di uno stato (cfr. Cass., Sez. 6, 2.7.2013, n. 31972, Rv. 255887; Cass., Sez. 3, 4.12.2013, 7768, Rv. 258849; Sez. un., 31 gennaio 2013, n. 18374, Rv. 255038), in quanto tale circostanza costituisce solo uno degli eventuali sintomi del carattere transnazionale del delitto, la cui insussistenza non impedisce l’adozione del vincolo reale ove il delitto per cui si procede sia comunque caratterizzato dalla condizione di transnazionalita’, come definita alla luce del precedente articolo 3.
E tali principi sono stati correttamente applicati nel caso di specie, in cui il Tribunale ha evidenziato che sussiste in ogni caso una natura transnazionale dell’associazione ai sensi del richiamato articolo 3; circostanza di fatto che, peraltro, non e’ mai stata contestata dal ricorrente.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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