Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 19 luglio 2016, n. 30497

Per la configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è necessario che il compimento di atti idonei a impedire il soddisfacimento totale o parziale del credito tributario sia accompagnato dal dolo specifico, rappresentato dalla volontà dell’agente di volersi sottrarre al pagamento delle imposte. Di conseguenza, la donazione da parte dell’imputato della nuda proprietà di bene immobile a favore di una persona cara con riserva di usufrutto in favore del donante unitamente alla permanenza di un compendio immobiliare significativo in capo all’imputato stesso non integra i presupposti per l’addebito del reato

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 19 luglio 2016, n. 30497

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – rel. Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/01/2015 della Corte di appello di Trento, sez dist.di Bolzano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SPINACI Sante, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15.1.2015, la Corte di appello di Trento, sez. dist. Di Trento confermava la sentenza del Tribunale di Bolzano che aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11 per sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e lo aveva condannato alla pena di anni uno di reclusione con le pene accessorie conseguenti, con concessione del beneficio della pena sospesa.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), per il tramite dei difensori di fiducia, articolando il motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Il ricorrente deduce difetto e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla insussistenza sia dell’elemento materiale che dell’elemento soggettivo del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
Argomenta che la condotta ritenuta penalmente rilevante e’ consistita nell’aver donato la nuda proprieta’ di un immobile sito in Bressanone ad un soggetto terzo cinque mesi dopo aver ricevuto la notifica di diversi avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate e che la Corte territoriale con motivazione scarna ed illogica ha ravvisato la fraudolenza dell’atto di donazione nella considerazione che il compendio donato e’ “notevolissimo” e che il motivo della improvvisa donazione non risulta ne’ dai documenti ne’ aliunde; contesta, quindi, che l’immobile donato sia di notevolissimo valore e deduce che la finalita’ della donazione sia la tutela di una persona cara; aggiunge, inoltre, che il dolo specifico e’ insussistente in quanto al momento della donazione aveva proposto ricorso avverso gli avvisi di accertamento notificati e non aveva ancora ricevuto cartella da parte dell’Agente di riscossione.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
Con memoria depositata in data 3.5.2016 la difesa del ricorrente ha ribadito le argomentazioni difensive esposte in ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato.
1.1. Va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, non e’ viziata da nullita’ la motivazione laddove il provvedimento faccia espresso richiamo per relationem ad altro provvedimento, ancorche’ non allegato o non trascritto nell’ordinanza da motivare, purche’ conosciuto o agevolmente conoscibile dall’interessato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno enucleato i requisiti necessari affinche’ la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale possa essere considerata legittima, sottolineando che, perche’ possa ritenersi tale, la motivazione: 1) deve fare riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua, adeguata rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) deve fornire la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, deve essere conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quantomeno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facolta’ di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. U del 21/06/2000, n. 17 Primavera, Rv. 216664).
Pertanto, non e’ sufficiente il mero richiamo all’altro provvedimento, ma e’ necessario che il giudice “qualifichi” gli elementi indicati nel provvedimento richiamato per relationem e, dunque, dimostri una non supina ed immotivata adesione al precedente provvedimento, di cui e’ tenuto a lasciare traccia visibile nel provvedimento.
Applicato tale principio all’ipotesi di sentenza emessa a seguito di un giudizio di impugnazione, l’obbligo di motivazione non puo’ ritenersi soddisfatto dal mero richiamo alla sentenza in verifica, essendo il giudice del gravame tenuto a disaminare le censure mosse dal ricorrente e ad esplicitare le ragioni per le quali abbia ritenuto di rigettarle ovvero di farle proprie.
1.2. Nella specie, la condotta contestata all’imputato, quella di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 11, e’ descritta dalla norma come alienazione simulata ovvero come compimento di altri atti fraudolenti.
In particolare la nozione di alienazione simulata deve intendersi come riferita ad ogni trasferimento del diritto di proprieta’ di un bene, sia a titolo oneroso che a titolo gratuito; deve trattarsi, quindi, di un atto simulato, caratterizzato da un contrasto tra la dichiarazione e l’effettiva intenzione di chi fa la dichiarazione: nel negozio simulato le parti, d’accordo tra loro, dichiarano di porre in essere un negozio ma in realta’ non vogliono affatto che si producano gli effetti di questo negozio (simulazione assoluta) ovvero vogliono che si producano gli effetti di un negozio diverso con riferimento al contenuto oppure ai soggetti (simulazione relativa); l’espressione “altri atti fraudolenti” su beni propri o altrui include ogni atto, giuridico o materiale, connotato da frode, idoneo a rendere inefficace la riscossione coattiva, al di la’ della mera ipotesi della simulata alienazione.
La giurisprudenza di questa Corte ha, nel tempo, chiarito che, ai fini della configurabilita’ del reato, si richiede esclusivamente che l’atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del credito tributario, non essendo necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto (Sez. 3, n. 39079 del 9/4/2013, Barei e altro, Rv. 256376; Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970; Sez. 5, n. 7916 del 10/1/2007, Cutillo, Rv. 236053), con la conseguenza che, sotto il profilo psicologico, deve sussistere il dolo specifico, rappresentato dal fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario e, sotto il profilo materiale, deve porsi in essere una condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva, la quale non configura un presupposto della condotta, in quanto e’ prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare (Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970, cit.).
L’oggetto giuridico del reato in esame non e’, pertanto, il diritto di credito dei fisco, bensi’ la garanzia generica data dai beni(dell’obbligato, cosicche’ esso puo’ configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori (Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Rv. 251077).
Si tratta, dunque, di un reato di pericolo, rispetto al quale la condotta penalmente rilevante puo’ essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacita’ patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto od in parte, o comunque rendere piu’ difficile, una eventuale procedura esecutiva (Sez. 3, n. 39079 del 9/4/2013, Barei e altro, Rv. 256376, cit.).
Si e’ ulteriormente rilevato, considerando il tenore del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, che esso contempla, oltre alla alienazione simulata, il generico richiamo ad altri atti la cui connotazione comune e’ data dal loro carattere fraudolento, da intendersi come comportamento che, sebbene formalmente lecito – come peraltro lo e’ l’alienazione di un bene – sia pero’ caratterizzato da una componente di artificio o di inganno (Sez. 3, n. 25677 del 16/5/2012, Caneva e altro, Rv. 252996).
Si e’ ritenuto configurato il reato in esame in ipotesi di cessione simulata dell’avviamento commerciale (Sez. 3, n. 37389 del 16/5/2013, P.M. in proc. Ravera, Rv. 257589), cessione di immobili e quote sociali alla convivente da parte di un commercialista (Sez. 3, n. 39079 del 9/4/2013, Barei e altro, Rv. 256376, cit), pluralita’ di trasferimenti immobiliari (Sez. 3, n. 19524 del 4/4/2013, Antonini, Rv. 255900), costituzione di un fondo patrimoniale ex articolo 167 cod. civ. (Sez. 3, n. 40561 del 4/4/2012, Soldera, Rv. 253400), donazione di immobile alta moglie con cui vige il regime di separazione dei beni (Cass. Sez. 3 n. 36838 del 4.6.2009, non massimata), donazione di un magazzino e della quota di un terzo di un negozio ai figli (Sez. 3 n. 36378 1 3.7.2015, non massimata), donazione di immobili al figlio (Sez. 3 n. 39832 del 10.7.2015, non massimata) messa in atto, da parte degli amministratori, di piu’ operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili (Sez. 3, n. 19595 del 9/2/2011, Vichi, Rv. 250471), vendita simulata mediante stipula di un apparente contratto di “sale and lease back” (Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970, cit.).
La sussistenza del dolo specifico richiesto per la configurabilita’ del reato oggetto di imputazione si rinviene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella volonta’ dell’agente di sottrarsi al pagamento delle imposte che superino la soglia prevista e richiede la dimostrazione della strumentalizzazione della causa tipica negoziale o l’abuso dello strumento giuridico utilizzato (v. Sez. 3, n. 40561 del 4/4/2012, Soldera, Rv. 253400, cit.).
1.3. La Corte territoriale, nonostante la specificita’ dei motivi di appello, ha solo enunciato i principi giurisprudenziali relativi alla astratta configurabilita’ del reato contestato ma non ha adeguatamente argomentato in relazione alle peculiarita’ del caso concreto.
In particolare, la motivazione non ha tenuto conto degli elementi evidenziati dalla difesa (donazione della sola nuda proprieta’ con riserva dell’usufrutto in favore del donante, presenza di altri immobili nel patrimonio del donante) in ordine sia alla ritenuta simulazione della donazione oggetto dell’imputazione ed alla sua idoneita’ a rendere inefficace l’attivita’ recuperatoria della Amministrazione finanziaria che alla sussistenza dell’elemento soggettivo.
Tale omissione motivazionale vizia l’atto decisorio.
Deve, infatti essere ribadito il principio piu’ volte espresso da questa Corte regolatrice, alla stregua dei quali la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado e’ viziata per carenza di motivazione, e si pone dunque fuori dal pur legittimo ambito del ricorso alla motivazione per relationem, se si limita a riprodurre la decisione confermata, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado, e senza argomentare sull’inconsistenza o sulla non pertinenza di detti motivi (Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, Aglieri ed altri, Rv. 233082; Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012 Casulli, Rv. 254102).
Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Trento per nuovo esame sul punto.
P.Q.M.

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