Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 1 agosto 2017, n. 38208

Esclusa l’applicazione dell’articolo 131-bis per l’occultamento e la distruzione di fatture, sia attive che passive.

Sentenza 1 agosto 2017, n. 38208
Data udienza 18 maggio 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – rel. Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 24/02/2014 della Corte di Appello di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Claudio Cerroni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Spinaci Sante, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 febbraio 2014 la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del 25 luglio 2012 del Tribunale di Pesaro, che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni due di reclusione, oltre alla sanzioni accessorie, per il reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10, ha concesso all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena.

2. Avverso il predetto provvedimento l’interessato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione formulando due complessi motivi d’impugnazione.

2.1. Col primo motivo il ricorrente ha dedotto che l’omessa tenuta delle scritture contabili non costituisce reato ma illecito amministrativo.

In particolare, la contestazione era legata alla mancata istituzione dei registri contabili, laddove detta omissione non costituiva reato a differenza dell’occultamento, della dispersione e della distruzione delle scritture. Ne’ vi era la prova dell’avvenuta istituzione dei documenti contabili, laddove comunque, dato il ridottissimo numero di fatture, sussisteva carenza di offensivita’.

2.2. Oltre a cio’, col secondo motivo e’ stata lamentata la violazione del principio del ne bis in idem, stante la doppia incriminazione amministrativa e penale.

3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso e’ inammissibile.

4.1.1. In specie, lo stesso ricorrente ha ammesso di avere emesso fatture ma di non avere istituito i registri contabili.

Al riguardo, se da un lato il provvedimento impugnato ha rilevato, ed in proposito non vi e’ specifica censura, che la Guardia di Finanza aveva accertato che risultavano emesse dall’odierno ricorrente diverse fatture per gli anni in contestazione, per compensi liquidatigli da talune ditte per le sue prestazioni professionali, d’altro canto e’ stato ad es. recentemente affermato che anche l’occultamento o la distruzione di fatture ricevute da terzi (cd. fatture passive) integra il reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10, trattandosi di documenti che, oltre a rappresentare costi sostenuti e a incidere sulla ricostruzione dei redditi del destinatario di essi, sono comunque dimostrativi dell’esistenza di introiti a carico del soggetto emittente (Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, Chiarolla, Rv. 263050). A maggior ragione, quindi, correttamente la Corte territoriale ha ribadito l’affermazione di responsabilita’ in quanto trattasi di fatture attive, reperite presso la clientela del ricorrente ma da quest’ultimo non esibite, a prova evidente dell’esistenza di situazione reddituale destinata, nelle intenzioni del ricorrente, a non emergere.

In tal modo, tanto le risultanze oggettive quanto le stesse dichiarazioni del ricorrente hanno dato conto quantomeno della certa pregressa esistenza di documentazione contabile. Mentre proprio il tenore delle contestazioni operate semmai rappresenta indice che, da qualche parte e con modalita’ sconosciute, l’odierno ricorrente mantenesse una rappresentazione della propria condizione economica, del giro d’affari, della propria movimentazione contabile e, in definitiva, del proprio reddito che ha inteso sottrarre all’imposizione fiscale.

4.1.2. In relazione poi all’invocata carenza di offensivita’ (il ricorso e’ stato proposto anteriormente all’entrata in vigore della novella che ha introdotto la previsione di cui all’articolo 131-bis c.p., ma comunque esso puo’ essere compiutamente valutato anche in relazione a detto profilo alla stregua delle ragioni di cui infra, naturalmente non potendo discorrersi di inesistenza del reato), l’esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto di cui all’articolo 131-bis c.p. non puo’ essere dichiarata in presenza di una sentenza di condanna che – come in specie – abbia ritenuto pienamente giustificati, specificamente motivando, la determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale ed il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, configurandosi, in tal caso, l’esclusione di ogni possibile valutazione successiva in termini di particolare tenuita’ del fatto (Sez. 5, n. 39806 del 24/06/2015, Lembo, Rv. 265317). Quantunque i parametri di valutazione previsti dal comma primo dell’articolo 131-bis c.p. hanno natura e struttura oggettiva (pena edittale, modalita’ e particolare tenuita’ della condotta, esiguita’ del danno), mentre quelli da valutare ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche sono prevalentemente collegati ai profili soggettivi del reo (cfr. Sez. 5, n. 45533 del 22/07/2016, Bianchini, Rv. 268307; v. anche Sez. 4, n. 48758 del 15/07/2016, Giustolisi, Rv. 268258).

4.2. Per quanto poi concerne la pretesa ricorrenza di un’ipotesi di ne bis in idem, rispetto alla fattispecie sanzionata in via amministrativa di cui al Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 9, e’ appena il caso di osservare – in ragione della struttura semplificata del presente provvedimento – che parte ricorrente neppure allega di essere stata sottoposta a procedimento amministrativo ed alla relativa sanzione (cfr. altresi’ Sez. 3, n. 25815 del 21/04/2016, Scagnetti, Rv. 267301).

5. I motivi di censura appaiono cosi’ manifestamente infondati, e pertanto ne va dichiarata l’inammissibilita’.

Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Motivazione semplificata.

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