Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 8 settembre 2016, n. 37256

La possibilità del sequestro diretto presuppone un’individuazione del profitto costituito da somme di denaro o quanto meno indizi della sua esistenza nel patrimonio del soggetto fisico destinatario della misura, non essendo possibile rimettere alla fase esecutiva il momento della individuazione, in considerazione della natura del provvedimento cautelare richiesto

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 8 settembre 2016, n. 37256

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente
Dott. GRILLO Renato – rel. Consigliere
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE;
nei confronti di:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 18/02/2015 del TRIB. LIBERTA’ di SANTA MARIA CAPUA VETERE;
sentita la relazione svolta dal Consigliere RENATO GRILLO;
sentite le conclusioni del PG FULVIO BALDI che ha concluso per il rigetto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18 febbraio 2015 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in funzione di Giudice del Riesame, rigettava l’appello proposto dal Pubblico Ministero presso quel Tribunale avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le Indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 9 ottobre 2014 con la quale era stata rigettata la richiesta di sequestro preventivo per equivalente nei confronti di (OMISSIS) ed in via subordinata nei confronti della societa’ (OMISSIS) s.n.c. in ordine al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2.
2. Avverso il detto provvedimento propone ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, deducendo quattro specifici ed articolati motivi. Con il primo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della norma processuale e sostanziale (articolo 321 c.p., comma 2, e articolo 322 c.p.) in quanto il Tribunale ha escluso la possibilita’ di una richiesta di sequestro per equivalente avanzata in via concorrente rispetto ad una richiesta di sequestro diretto. Con il secondo motivo il ricorrente Pubblico Ministero lamenta l’erronea applicazione della legge penale in punto di errata interpretazione della nozione di profitto in tema di reati tributari, con conseguente erronea applicazione della legge penale (in particolare l’articolo 321 c.p.p., e articolo 322 ter c.p.). Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione dell’articolo 321 c.p.p., e articolo 322 ter c.p., in riferimento ad una errata affermazione della fungibilita’ del denaro ai fini del sequestro diretto ed altrettanto erronea affermazione della necessita’ di una preventiva ricerca del profitto. Con il quarto – ed ultimo motivo, il ricorrente deduce l’assenza assoluta di motivazione in ordine alla natura fittizia della societa’ (OMISSIS) s.n.c. con conseguente erronea applicazione dell’articolo 321 c.p.p., comma 2; articolo 322 ter c.p., articolo 240 c.p., e Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 19 e 53.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non e’ fondato per le ragioni che seguono. Il Tribunale cautelare e’ giunto alla conclusione qui impugnata sul rilievo che, pur in costanza del fumus criminis a carico dell’indagato relativamente al delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, e pur essendo possibile un provvedimento ablativo finalizzato alla confisca diretta del profitto nel caso di reati tributari, mancasse nella specie un qualsivoglia accertamento finalizzato alla individuazione del profitto del reato, tenuto conto che la domanda di sequestro avanzata nei confronti dell’indagato in via principale, sul presupposto della fittizieta’ della societa’, non era integrata da indicazioni in merito alla titolarita’ da parte di tali soggetti di conti correnti bancari, peraltro non individuati.
1.1 Secondo il Tribunale, quindi, l’assenza di qualsivoglia indagine volta alla individuazione del profitto, oltre a dimostrare l’infondatezza delle doglianze del Pubblico Ministero, in ogni caso precludeva la possibilita’ di procedere ad un sequestro per equivalente, stante il carattere sussidiario di esso rispetto al sequestro diretto. Rilevava, peraltro, il Tribunale l’impossibilita’ di una istanza di sequestro per equivalente avanzata in via concorrente rispetto ad una richiesta di sequestro diretto. Ed infine, rilevava una sorta di contraddittorieta’ intrinseca nel ragionamento del Pubblico Ministero appellante in quanto la richiesta di sequestro diretto del profitto ne presupporrebbe l’esistenza, mentre la richiesta per equivalente sembrerebbe negare la stessa possibilita’ di individuare il profitto nel risparmio di spesa.
1.2 Le conclusioni rese dal Tribunale del Riesame che, nell’esaminare la questione sottoposta al suo vaglio, ha seguito la linea giurisprudenziale dettata dalla nota sentenza delle S.U. Gubert del 30 gennaio 2014, a giudizio del Collegio sono condivisibili.
1.3 Quanto al motivo riguardante l’erronea applicazione della norma processuale e sostanziale (articolo 321 c.p., comma 2, e articolo 322 c.p.) per avere il Tribunale escluso la possibilita’ di una richiesta di sequestro per equivalente avanzata in via concorrente rispetto ad una richiesta di sequestro diretto, si tratta di doglienza non fondata: il Tribunale ha infatti fatto buono governo dei principi espressi da questa Corte Suprema in ordine alla sussidiarieta’ del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente rispetto al sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto, fermo restando ovviamente il carattere transitorio della impossibilita’ di procedere al sequestro preventivo diretto che costituisce il presupposto per l’azionamento del sequestro per equivalente (in termini S.U. 30.1.2014 n. 10561, Gubert, Rv. 258648, secondo cui “Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente puo’ essere disposto anche quando l’impossibilita’ del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, purche’ sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata”).
2. Anche la censura relativa alla errata nozione del concetto di profitto non e’ fondata in quanto correttamente il Tribunale ha evidenziato l’assenza assoluta di atti di indagine diretti ad individuare il profitto, accertamenti che ben avrebbero potuto essere effettuati attraverso una ricerca di conti correnti nella disponibilita’ o titolarita’ dei soggetti indicati e un esame della contabilita’ aziendale. Secondo il ricorrente P.M. il profitto in realta’ consisterebbe – come del resto affermato a piu’ riprese dalla S.C. nel risparmio di spesa (Sez. 5 10.112011 n. 1843, Mazzieri, Rv. 253480; Sez. 3 2.12.2011 n. 1199, Galiffo, Rv. 251893); ulteriormente rileva il Pubblico Ministero ricorrente che nel caso in esame tale risparmio di spesa sarebbe stato realizzato dalla societa’ avendo essa tratto vantaggio dalla condotta illecita. Tuttavia sul punto va osservato che del tutto correttamente il Tribunale ha individuato una contraddittorieta’ intrinseca nel ragionamento del Pubblico Ministero in quanto la richiesta di sequestro diretto del profitto presuppone l’esistenza di esso, mentre l’individuazione del profitto costituito dal risparmio di spesa viene posta a base della richiesta di sequestro per equivalente. Il vero e’ che in assenza di accertamento sull’individuazione del profitto e tenuto conto del rapporto di sussidiarieta’ sopra indicato, non era possibile procedere al sequestro diretto del profitto – che astrattamente per i reati tributari e’ ipotizzabile tanto nei confornti del soggetto fisico indagato che nei confronti della persona giuridica, tenendo sempre presente che per farsi luogo al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente occorre verificare l’impossibilita’ di individuare il profitto.
3. Con riferimento al terzo motivo, con il quale il ricorrente Pubblico Ministero lamenta l’erronea affermazione da parte del Tribunale in merito alla fungibilita’ del denaro ai fini del sequestro e l’altrettanta erronea affermazione circa la necessita’ della preventiva ricerca del profitto, si tratta, a giudizio del Collegio, di censura non fondata: a giudizio del ricorrente la preventiva ricerca del profitto costituito dal denaro non sarebbe necessaria in quanto in ogni caso andava disposto il provvedimento cautelare, non solo in forza della sentenza Gubert, ma in forza di altre affermazioni di questa Corte di legittimita’ secondo le quali nella ipotesi di profitto costituito da denaro, attesa la sua fungibilita’ va disposta la confisca del profitto in forma specifica ex articolo 321, comma 1, parte prima dell’articolo 322 ter c.p., e non la confisca per equivalente (cosi’ Sez. 3 25.9.2012 n. 1261, Rv. 254175). Inoltre a differenza di quanto indicato dal Tribunale secondo il P.M. ricorrente l’individuazione specifica del denaro (nel caso in esame resa estremamente problematica per l’intervenuta cessazione della societa’ nel 2010) puo’ ben essere rinviata alla fase esecutiva con conseguente applicazione della legge penale e processuale.
3.1 Tali considerazioni non appaiono persuasive per l’assorbente considerazione che la possibilita’ del sequestro diretto – richiesta – e’ bene ricordarlo – in via principale dal Pubblico Ministero presuppone, come esattamente osservato dal Tribunale una individuazione del profitto costituito da somme di denaro o quanto meno indizi della sua esistenza nel patrimonio del soggetto fisico destinatario della misura, non apparendo possibile rimettere alla fase esecutiva il momento della individuazione in considerazione della natura del provvedimento cautelare richiesto.
4. Quanto, poi, alla asserita mancanza di motivazione sulla fittizieta’ della persona giuridica, ferma restando la mancanza di accertamenti sulla contabilita’ aziendale e sui conti correnti (che rendono impossibile un giudizio reale sulla fittizieta’ della societa’) il Pubblico Ministero ricorrente fa leva su alcuni elementi (la qualificazione giuridica della societa’ – s.n.c.: il ridotto capitale sociale, pari ad Euro 10.000,00 concentrato quasi interamente nelle mani dello (OMISSIS); il ridottissimo numero dei dipendenti (uno); i tempi della dichiarazione dei redditi contenenti elementi passivi fittizi pressoche’ coincidente con la data di scioglimento della societa’ poi posta in liquidazione il 18 gennaio 2010).
4.1 Si tratta, pero’, di valutazioni di merito che precludono un esame in sede di legittimita’ non potendosi in questo caso parlare di assenza di motivazione o di motivazione apparente ma, al piu’ di insufficienza o illogicita’ della motivazione; in realta’ il Tribunale spiegato, in modo oltretutto adeguato, le ragioni per le quali la societa’ in parola non poteva considerarsi fittizia, a causa dell’assenza di adeguati accertamenti di tipo economico-finanziario. Ne consegue l’infondatezza anche dell’ultimo motivo. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
P.Q.M.

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