Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 29 settembre 2016, n. 19264

Chi acquista il bene dalla debitrice dopo il pignoramento e dopo la concessione del bene in locazione non ha diritto ai canoni, dal momento che ha comprato essendo consapevole dei pregiudizi che gravavano sull’immobile.

Anche se la locazione di un bene sottoposto a pignoramento senza l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in violazione dell’art. 560 c.p.c., non comporta l’invalidità del contratto, ma solo la sua inopponibilità ai creditori ed all’assegnatario, il contratto così concluso non appertiene al locatore-proprietario esecutato, ma al locatore – custode e le azioni che da esso scaturiscono – nella specie per il pagamento dei canoni devono essere esercitate, anche in caso di locazione non autorizzata, dal custode. 

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 29 settembre 2016, n. 19264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –
Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18092/2013 proposto da:
O. I. SRL (OMISSIS), in persona del suo Amministratore
Unico e legale rappresentante sig. O.L., elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 39-F, presso lo studio
dell’avvocato EMANUELE CARLONI, che la rappresenta e difende giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
F. E F. SRL in persona dell’Amministratore unico legale
rappresentante pro tempore Sig. T.F., elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 44, presso lo studio
dell’avvocato GIORGIO RUBINI, che la rappresenta e difende giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5305/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 06/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
07/06/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBERGO;
udito l’Avvocato STEFANO ROSSI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE
AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La presente controversia ha ad oggetto la seguente questione giuridica: a chi spetti la percezione dei canoni in caso di contratto di locazione stipulato dal proprietario di beni pignorati dopo il pignoramento e senza l’autorizzazione giudiziale. La O. I. Srl, che ha acquistato il bene dalla debitrice dopo il pignoramento e dopo la concessione del bene in locazione, assume il proprio diritto al corrispettivo della locazione, essendo quest’ultima inopponibile ai creditori (ed all’assegnatario). Contro la sentenza di appello, che ha negato il suo diritto alla percezione del canone, propone ricorso per cassazione O. I. Srl, affidandolo a 4 motivi.
2. La conduttrice F. e F. S.r.l. resiste con controricorso ed eccepisce prima di tutto il difetto di integrità del contraddittorio nei confronti della Procedura esecutiva n. 96754-1997, in persona del custode, che è stata parte nei precedenti gradi di giudizio e nei confronti della quale non è stato notificato il ricorso per Cassazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso eccepisce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, consistenti nel provvedimento pronunciato dal giudice dell’esecuzione il 23 dicembre 2005 (in cui si dava atto che, essendo la locazione non opponibile alla procedura, il custode doveva provvedere a richiedere agli occupanti senza titolo una indennità per illegittima occupazione pari all’importo del canone contrattualmente pattuito con il debitore) e nella dichiarazione resa dal custode all’udienza del 10 aprile 2007 (in cui si ribadiva che il contratto di locazione sottoscritto dalla F. e F. S.r.l. non era opponibile alla procedura e che la F. e F. S.r.l. era tenuta a corrispondere l’indennità di occupazione).
2. Il motivo è inammissibile. In primo luogo non ne viene argomentata in modo sufficientemente specifico la decisività; a tal fine, la ricorrente non si può limitare ad affermare che se la corte avesse preso in esame tali provvedimenti, ne avrebbe tratto la conseguenza del diritto di O. I. Srl di percepire il canone; cfr. pag. 6. Nè si argomenta in ordine alla vincolatività dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione nei confronti del giudice di merito. Tantomeno si illustra la rilevanza delle dichiarazioni del custode in ordine a questioni di diritto, sull’efficacia del contratto e sulla natura del canone, la cui soluzione spetta certamente al giudice e non ai testimoni. In secondo luogo, non si riscontra alcuna indicazione specifica in ordine al fatto che tali documenti siano stati oggetto di specifica discussione in corso di causa; un conto, infatti, è che tali documenti siano stati prodotti nel giudizio, altro che abbiano formato oggetto di specifica discussione tra le parti.
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia falsa applicazione degli articoli 820 e 2912 del codice civile laddove la corte ha trattato alla stregua di frutti civili, di pertinenza della procedura esecutiva, i corrispettivi dovuti dalla F. e F. S.r.l. ad un terzo ( O. I. Srl) in forza di un contratto che, essendo stato stipulato dal debitore esecutato senza autorizzazione del giudice dell’esecuzione, non era idoneo a produrre effetti giuridici nei confronti della massa dei creditori procedenti.
4. Il motivo è infondato; è priva di fondamento la dedotta violazione dell’art. 820 c.c., atteso che non è revocabile in dubbio che il canone di locazione costituisca “frutto” dell’immobile, essendo se mai oggetto di discussione la spettanza, sotto il profilo soggettivo, del diritto alla relativa percezione. Peraltro, tra i frutti e le rendite dell’immobile pignorato, cui il pignoramento si estende ai sensi dell’art. 2912 c.c., rientrano non solo i canoni di locazione, ma anche il risarcimento del danno dovuto dal conduttore (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 267 del 07/01/2011, Rv. 616271), da cui consegue il pieno diritto del custode della procedura ad ottenere il pagamento della indennità di occupazione (poichè, nei suoi confronti, l’occupazione dell’immobile deve considerarsi sine titulo). La questione assume rilevanza perchè è più che evidente che la F. e F. S.r.l. non può essere costretta ad un doppio corrispettivo per l’occupazione dell’immobile; pertanto, o paga l’indennità di occupazione (che ha sì contenuto risarcitorio, ma che comprende in sè anche il corrispettivo del godimento), ovvero paga il canone pattuito. Di certo non può essere obbligata a pagare due volte per lo stesso titolo (inteso come rapporto di godimento del bene). Poichè la mancata autorizzazione alla stipula del contratto di locazione comporta la inopponibilità dello stesso alla procedura ed essendo il pignoramento anteriore alla disposizione del bene da parte del debitore, è fuori discussione il diritto del custode a percepire, con preferenza rispetto alla O. I. Srl (che, peraltro, non può dirsi terza rispetto alla contesa, essendo successore a titolo particolare del debitore pignorato), i frutti derivanti dall’uso dell’immobile, siano essi qualificati come “canone”, ovvero quale “indennità di occupazione”.
5. D’altronde, non si comprende quale sarebbe la necessità di tutelare un soggetto che, avente causa da un debitore esecutato, era pienamente consapevole degli effetti pregiudizievoli gravanti sul bene acquistato.
6. Quanto, infine, alla lamentata violazione dell’art. 2912 c.c., non è chiaro in cosa essa consista, essendo la censura priva della necessaria specificità, tanto più che anche le indennità di tipo risarcitorio vengono considerate quali frutti dell’immobile (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 267 del 07/01/2011, Rv. 616271). In ogni caso, come si è detto, la corresponsione dell’indennità di occupazione libera l’occupante dal pagamento di ogni ulteriore corrispettivo per il godimento del bene.
7. Con un terzo motivo di ricorso si eccepisce violazione dell’art. 559 c.p.c.; il motivo è palesemente inammissibile per mancanza di specificità, non essendo indicata in modo specifico la errata applicazione che sarebbe stata fatta della norma indicata, ma altresì mancando alcuna indicazione sulla sua decisività ai fini della decisione, avendo la stessa parte ricorrente ritenuto che l’art. 559 del codice di rito non abbia alcuna rilevanza sul caso in questione.
8. Infine, con un quarto motivo di ricorso si eccepisce violazione dell’art. 560 c.p.c., che si riferisce alle modalità della custodia e che sarebbe pertanto rilevante nel caso di specie. Tale motivo di ricorso è inammissibile per gli stessi motivi indicati sub 3; in ogni caso, l’eventuale erronea invocazione di una norma di legge a sostegno della decisione configura piuttosto un vizio di motivazione che, peraltro, è irrilevante laddove, come nel caso di specie, vi siano ulteriori ragioni sufficienti a sopportare le conclusioni raggiunte dal giudice di merito. Ragioni che sono state sufficientemente illustrate con riferimento ai motivi 1 e 2 del ricorso.
9. Occorre, infine, ricordare che questa corte ha già avuto modo di pronunciarsi in un’identica questione di fatto, in cui erano parte la O. I. Srl e la Cofip (Sez. 3, Sentenza n. 8695 del 29/04/2015, Rv. 635262), escludendo la “che il titolare del bene pignorato possa, pur dopo il pignoramento, continuare a riscuotere, come tale, i canoni della locazione del bene pignorato; e ciò a prescindere dalla circostanza che la locazione sia o meno opponibile alla procedura. In particolare il potere di amministrazione, conferito al custode dall’art. 65 c.p.c., il divieto di dare in locazione l’immobile pignorato se non con l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione (art. 560 c.p.c.), nonchè l’interesse del creditore procedente, che potrebbe essere seriamente compromesso sia dalla locazione del bene pignorato (donde le cautele apprestate dal cit. art. 560 c.p.c.) sia dall’esercizio (o dal mancato esercizio) da parte del debitore delle azioni che da esse discendono, convergono, tutti, nell’attribuire al solo custode la legittimazione sostanziale a richiedere tanto il pagamento dei canoni, quanto ogni altra azione che scaturisce dai poteri di amministrazione e gestione del bene.

In tale prospettiva questa Corte di legittimità ha già avuto modo di precisare che il proprietario-locatore di un immobile pignorato, che ne sia stato nominato custode, è legittimato a promuovere le azioni scaturenti dal contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile stesso solo nella sua qualità di custode e non in quella di proprietario locatore, essendo il bene a lui sottratto per tutelare le ragioni del terzo creditore; (…) Invero, dopo il pignoramento, pur permanendo l’identità del soggetto, muta il titolo del possesso da parte del proprietario-locatore e debitore, in quanto ogni sua attività costituisce conseguenza del potere ex art. 559 c.p.c., di amministrazione e gestione del bene pignorato, di cui egli continua ad avere il possesso solo in qualità di organo ausiliario del giudice dell’esecuzione. La tesi, sposata dalla decisione impugnata, in ragione del quale tale ordine concettuale non varrebbe nel caso di locazione non autorizzata – oltre a postulare, senza alcun valido fondamento logico – giuridico, nei confronti dell’occupante del bene un doppio titolo di pagamento, per occupazione sine titulo nei confronti della procedura e per canone di locazione nei confronti del proprietario – locatore, debitore pignorato – mostra tutta la sua criticità solo che si considerino le conseguenze paradossali che essa comporta, e in primis quella di incentivare la stipula di locazioni senza autorizzazione del G.E., posto che (in tesi) solo in tal caso il proprietario – locatore potrebbe far propri i canoni di locazione. Soprattutto la decisione impugnata valorizza un dato, quello della valenza inter partes della locazione non autorizzata, che potrebbe rilevare solo in caso di sopravvivenza della locazione a seguito dell’estinzione della procedura, prescindendo totalmente dal considerare che, per effetto dello spossessamento, conseguente al pignoramento e dell’effetto estensivo previsto dall’art. 2912 c.c., il debitore esecutato perde vuoi il diritto di gestire e amministrare (se non in quanto custode) il bene pignorato, vuoi il diritto di far propri i relativi frutti civili.

Va, dunque, qui ribadito che anche se la locazione di un bene sottoposto a pignoramento senza l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in violazione dell’art. 560 c.p.c., non comporta l’invalidità del contratto, ma solo la sua inopponibilità ai creditori ed all’assegnatario (Cass. 13 luglio 1999, n. 7422; Cass., 10 ottobre 1994, n. 8267), il contratto così concluso non pertiene al locatore-proprietario esecutato, ma al locatore – custode e le azioni che da esso scaturiscono – nella specie per il pagamento dei canoni devono essere esercitate, anche in caso di locazione non autorizzata, dal custode (Cass. 14 luglio 2009, n. 16375). Il dato rilevante non è, infatti, quello su cui la Corte di appello ha fondato la sua decisione e, cioè, che, nella specie, il curatore non sia subentrato nel rapporto di locazione – quanto, piuttosto, quello della titolarità dei poteri di gestione e amministrazione dei beni pignorati e, correlativamente, della titolarità delle azioni che discendono da quel potere, che non è correlata ad un titolo convenzionale o unilaterale (la proprietà del bene e/o il contratto di locazione), bensì ad una relazione con il bene pignorato, qualificata come “custodia” in forza dell’investitura del giudice”.
10. L’infondatezza del ricorso consente di superare l’eccezione processuale relativa al difetto di contraddittorio; In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” – desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale (Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490).
11. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso di spese forfettarie ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2016

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