Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 10 novembre 2016, n. 22909

Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita l’iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto; e cio’, sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali piu’ brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia correlando l’entita’ del canone all’incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull’equilibrio economico del sinallagma.

La legittimita’ di tale clausola dev’essere peraltro esclusa la’ dove risulti – dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullita’ della clausola – che le parti abbiano in realta’ perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 32, (nella formulazione originaria ed in quella novellata dalla L. n. 118 del 1985, articolo 1, comma 9 sexies), cosi’ incorrendo nella sanzione di nullita’ prevista dal successivo articolo 79, comma 1, della stessa legge

Per un maggiore consultazione in merito al contratto di locazione cliccare sull’immagine seguente
La locazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 10 novembre 2016, n. 22909

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26740/2014 proposto da:

(OMISSIS) SPA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione, Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SPA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso principale;

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS);

– intimato –

Nonche’ da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS) SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 980/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/2016 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e rigetto del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

i. (OMISSIS) ha convenuto la (OMISSIS) s.p.a. dinanzi al Tribunale di Bologna per sentir convalidare lo sfratto per morosita’ in relazione a un contratto di locazione ad uso diverso di abitazione intercorso tra le parti

Costituitasi, la societa’ intimata, dopo aver sanato integralmente la morosita’ contestatale, ha invocato in via riconvenzionale la condanna del locatore alla restituzione, in proprio favore, delle somme versate in eccesso a titolo di canoni, tenuto conto della nullita’ della previsione contrattuale riferita a un ammontare crescente nel tempo del canone, in violazione della L. n. 392 del 1978, articolo 75, e, in ogni caso, in relazione alle modalita’ di rinnovazione automatica del rapporto.

2. Il Tribunale di Bologna ha rigettato la domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento della societa’ conduttrice e, in accoglimento della domanda riconvenzionale di quest’ultima, ha condannato il locatore alla restituzione delle somme percepite in eccesso a titolo di canoni.

3. Su impugnazione di entrambe le parti, con sentenza in data 4/4/2014, in riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello di Bologna, ritenuta la validita’ della clausola di determinazione del canone di locazione, ha disatteso la domanda riconvenzionale proposta dalla societa’ conduttrice, contestualmente rigettando la domanda di risoluzione proposta dal locatore, in considerazione dell’avvenuta rinuncia del locatore ad avvalersi della clausola risolutiva espressa e del carattere non grave del ritardo nel pagamento dei canoni della parte della conduttrice.

4. Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.p.a. sulla base di sei motivi di impugnazione, illustrati da successiva memoria.

5. (OMISSIS) ha depositato controricorso invocando la dichiarazione d’inammissibilita’ ovvero il rigetto del ricorso principale, contestualmente proponendo ricorso incidentale sulla base di un unico motivo di impugnazione.

6. Ha depositato controricorso a ricorso incidentale la (OMISSIS) s.p.a. concludendo per la dichiarazione di inammissibilita’, ovvero per il rigetto del ricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

7. Con il primo motivo del ricorso principale, la (OMISSIS) s.p.a. censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 79, dell’articolo 8 preleggi, e degli articoli 1374 e 2729 c.c..

Al riguardo, la ricorrente sottolinea come la corte territoriale abbia erroneamente ritenuto di escludere l’invalidita’ della clausola di determinazione del canone sulla base di argomentazioni tautologiche e del tutto congetturali, non avendo le parti provveduto ad alcun riferimento a elementi predeterminati cui vincolare il progressivo aumento del relativo ammontare nel tempo.

8. Con il secondo motivo, la societa’ ricorrente si duole della violazione di legge (in relazione agli articoli 132, 112, 113, 115, 116 e 161 c.p.c., e articolo 111 Cost.) in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, per avere quest’ultima affermato la riconducibilita’ dell’accordo contrattuale raggiunto tra le parti alla previsione di elementi predeterminati al fine di determinare l’entita’ del canone di locazione, senza tuttavia aver individuato in concreto l’identita’ di detti elementi.

9. Con il terzo motivo, la societa’ ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, articoli 28, 29, 32 e 79, nonche’ degli articoli 1367, 1372, 1597 e 2729 c.c..

Sul punto, la societa’ ricorrente evidenzia come la corte territoriale abbia erroneamente escluso, nei casi di rinnovo automatico del rapporto, la persistenza delle medesime condizioni contrattuali originariamente stipulate dalle parti, escludendo arbitrariamente la prevista minore entita’ dei canoni di locazione stabilita per il primo triennio, sulla base di considerazioni interpretative totalmente illogiche, trascurando la decisiva circostanza in forza della quale le parti ebbero a determinare un importo globale del canone di locazione per l’intera durata sessennale del rapporto, sia pur diversamente ripartito nel tempo, come peraltro espressamente riconosciuto anche dalla controparte.

10. Con il quarto motivo, la societa’ ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 113, 115 e 434 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4.

Sul punto, la societa’ ricorrente evidenzia come la corte territoriale abbia illegittimamente introdotto nella motivazione indicata a sostegno del rigetto della domanda riconvenzionale della conduttrice un’argomentazione mai invocata da controparte, con particolare riguardo alla cosiddetta “pratica invalsa” nell’ambito dei rapporti locativi circa le modalita’ di determinazione del canone.

11. Con il quinto motivo, la ricorrente si duole della violazione di legge (in relazione agli articoli 132, 112, 113, 115, 116 e 161 c.p.c., nonche’ dell’articolo in Cost., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4) in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, per avere quest’ultima richiamato a fondamento della propria decisione una pretesa “pratica invalsa” e un imprecisato “orientamento consolidato” nell’ambito dei rapporti locativi, in modo del tutto apodittico e arbitrario, siccome del tutto avulso dai termini concreti della controversia in esame.

12. Con il sesto e ultimo motivo, la societa’ ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso tra le parti, avendo la corte territoriale trascurato di esaminare il fatto storico relativo alla sussistenza o meno, nel caso di specie, di elementi predeterminati idonei a influire sul sinallagma contrattuale e a giustificare la fissazione di canoni differenziati in aumento nel tempo, senza incorrere in alcuna violazione della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 79.

13. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, (OMISSIS) censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli articoli 1322, 1362, 1363 e 1456 c.c., per avere la corte territoriale omesso di pronunciare la risoluzione del contratto di locazione intercorso tra le parti, nonostante all’atto dell’intimazione di sfratto per morosita’ la societa’ conduttrice fosse effettivamente in ritardo nel pagamento di tre mensilita’ di canone, in tal senso trascurando il tenore della clausola risolutiva espressa pattuita tra le parti e conferendo, viceversa, un decisivo rilievo alla tolleranza del locatore, di per se’ inidonea a integrare una tacita rinuncia dello stesso ad avvalersi di detta clausola.

14. Il terzo motivo del ricorso principale e’ inammissibile.

Con riguardo al motivo in esame – espressamente dedotto dalla societa’ ricorrente nella forma della denunzia di violazione di legge -, ritiene il collegio opportuno ribadire – in conformita’ al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimita’ – come, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consista nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171).

Nel caso di specie, al di la’ del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna societa’ ricorrente deve piuttosto individuarsi nella contestata correttezza dell’interpretazione fornita dal giudice d’appello in ordine alla volonta’ delle parti di prevedere – non gia’ un unico e onnicomprensivo canone globale sessennale da ripartire diversamente negli anni – bensi’ un canone iniziale ridotto (al fine di favorire l’avvio in loco dell’impresa della conduttrice) destinato ad attestarsi nella misura definitiva successivamente al primo triennio di rapporto e a permanere nella medesima misura definitiva sin dall’inizio della rinnovazione automatica del rapporto alla prima scadenza e a quelle successive.

Si tratta, come appare manifesto, di argomentazioni critiche con evidenza dirette a censurare, non gia’ un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge (come accade per il classico caso della violazione di legge), bensi’ una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessita’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze documentali di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato nel travisare l’obiettivo (secondo la societa’ ricorrente) contenuto rappresentativo proprio di fonti probatorie dedotte (nella specie, del testo contrattuale concordato tra le parti) al fine di ricostruire l’esatta volonta’ contrattuale delle parti.

Cio’ posto, in ossequio al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, il motivo d’impugnazione cosi’ formulato deve ritenersi inammissibile.

Osserva infatti il collegio come – dovendo il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto risolversi in un giudizio sulla fattispecie astratta contemplata dalla norma di diritto applicabile al caso concreto, e dovendo la relativa denunzia avvenire mediante la specifica indicazione dei punti della sentenza impugnata che si assumono essere in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza e/o dalla dottrina prevalente – deve considerarsi inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si censura come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/10/2005, Rv 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892).

15. Il primo, il secondo, il quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso principale – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – devono ritenersi integralmente privi di fondamento, siccome tutti argomentati sul presupposto di un’errata interpretazione delle norme applicabili al caso di specie, secondo quanto di seguito precisato.

Con riguardo al tema della legittimita’ del patto di predeterminazione differenziata del canone di locazione di immobili urbani ad uso diverso di abitazione, ritiene il collegio opportuno procedere a una rapida ricapitolazione della questione, al fine di comporre in termini univoci, anche sul piano terminologico, gli orientamenti interpretativi della Corte di cassazione, succedutisi nel tempo in forme o termini che appaiono non sempre informati a criteri di reciproca e rigorosa coerenza.

15.1. Secondo un’argomentazione sovente richiamata a proposito del patto di determinazione differenziata nel tempo del canone di una locazione commerciale, la nullita’ di tale patto discenderebbe dal combinato disposto della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 79, dovendo ritenersi che, ove le parti non abbiano vincolato detta determinazione differenziata al ricorso di elementi oggettivi e predeterminati, idonei a influire sull’equilibrio economico degli interessi contrattualmente disposti, tale patto non possa che esprimere una sostanziale volonta’ elusiva del divieto stabilito dall’articolo 32 cit., ai sensi del quale l’aggiornamento periodico del canone di una locazione commerciale non puo’ avere luogo in termini quantitativamente superiori al 75% dell’indice dei prezzi al consumo calcolato dall’Istat per le famiglie di operai e impiegati per ciascuna annualita’ di rapporto.

Tale impostazione sembrerebbe trovare riscontro nel vigore di principi fatti propri da diversi arresti della giurisprudenza di legittimita’, testualmente tramandatisi attraverso la formula secondo la quale: “In relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo in materia di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, la clausola convenzionale, che prevede future maggiorazioni del canone diverse dall’aggiornamento L. n. 392 del 1978, ex articolo 32, per qualificarsi legittima, deve chiaramente riferirsi ad elementi predeterminati, desumibili dal contratto e tali da essere idonei ad influire sull’equilibrio economico del rapporto, in modo autonomo dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta” (Sez. 3, Sentenza n. 19475 del 06/10/2005, Rv. 584778). Una medesima enunciazione del principio di diritto caratterizza pronunce di analogo tenore (Sez. 3, Sentenza n. 1070 del 01/02/2000, Rv. 533312; Sez. 3, Sentenza n. 9227 del 12/07/2000, Rv. 538386; Sez. 3, Sentenza n. 11320 del 21/07/2003, Rv. 565302), e appare talora equivalente (o in larga misura assimilabile) ad altre formulazioni desumibili dalle sentenze rese da Sez. 3, Sentenza n. 2770 del 08/03/1993, Rv. 481314; Sez. 3, Sentenza n. 4474 del 15/04/1993, Rv. 481851; Sez. 3, Sentenza n. 9878 del 22/11/1994, Rv. 488760; Sez. 3, Sentenza n. 5632 del 24/06/1997, Rv. 505418; Sez. 3, Sentenza n. 6695 del 03/08/1987, Rv. 454914; Sez. 3, Sentenza n. 5349 del 05/03/2009, Rv. 606954; Sez. 3, Sentenza n. 19475 del 06/10/2005, Rv. 584778; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10834 del 17/05/2011, Rv. 618213; Sez. 3, Sentenza n. 17061 del 28/07/2014, Rv. 632144.

15.2. In termini che appaiono alludere a una diversa impostazione, altre pronunce argomentano la legittimita’ del patto di determinazione differenziata nel tempo del canone di una locazione commerciale richiamandosi al principio secondo il quale “Il riferimento, contenuto nell’originaria formulazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 32, alla possibilita’ che il canone locativo degli immobili destinati per uso non abitativo sia concordato secondo misure contrattualmente stabilite e, quindi, differenziate nel loro importo, e’ espressione del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo degli immobili destinati ad uso non abitativo, al quale la stessa norma deroga eccezionalmente solo per le clausole di aggiornamento per variazioni del potere di acquisto della moneta, o clausole Istat, con una disposizione che non puo’ essere estesa, per analogia, alle altre clausole contrattuali volte ad incrementare, secondo la comune intenzione delle parti, il valore reale del corrispettivo per diverse e successive frazioni del medesimo rapporto e che debbono, pertanto, ritenersi valide a meno che non sia in concreto accertata la loro funzione elusiva del citato limite posto dall’articolo 32 (Sez. 3, Sentenza n. 8883 del 19/08/1991, Rv. 473538). A tale formulazione appaiono riconducibili, tra le altre, le massime ricavabili da Sez. 3, Sentenza n. 1683 del 26/02/1999, Rv. 523684; Sez. 3, Sentenza n. 6246 del 25/05/1992, Rv. 477371.

15.3. La sostanza della divergenza tra gli orientamenti ricordati (che si riflette, in termini pratici, sul piano della disciplina degli oneri probatori e delle conseguenze processuali del relativo mancato assolvimento) sembra emergere in relazione al ruolo rivestito dal richiamo, operato dalle parti, al ricorso di elementi obiettivi e predeterminati, diversi e autonomi dalla svalutazione monetaria, idonei a influire sull’equilibrio economico del piano contrattuale; da un lato assumendo, detto richiamo (ove naturalmente corrispondente a un effettivo dato di realta’), la veste di una condizione preliminare al cui soddisfacimento parrebbe subordinato il libero dispiegamento della liberta’ contrattuale delle parti; dall’altro limitandosi, il significato di detti elementi, a costituire semplici indici strumentali (di per se’ non esclusivi) per la determinazione obiettiva, al momento della conclusione del contratto, dell’entita’ esatta degli oneri economici corrispettivi connessi al godimento dell’immobile locato.

15.4. Cosi’ posti i termini della questione, nel ricostruire l’evoluzione dinamica della giurisprudenza di legittimita’ sul punto, individuandone le presumibili occasioni d’origine, converra’ osservare come, questa Corte, gia’ in epoca di poco successiva all’approvazione della legge sulle locazioni di immobili urbani (L. n. 392 del 1978), con la sentenza Sez. 3, Sentenza n. 6695 del 03/08/1987 ebbe a puntualizzare, sul piano interpretativo, la necessita’ di non disperdere il significato dei diversi termini (selezionati, dal legislatore del tempo, con preciso rigore) destinati a contrassegnare le differenti ragioni potenzialmente suscettibili di influire, nel corso del rapporto, sull’entita’ monetaria del canone di locazione.

Da questo punto di vista – segnalava gia’ al tempo la riflessione del giudice di legittimita’ -, deve ritenersi radicalmente inammissibile una confusione tra i concetti di “aumento” del canone (di locazione dello stesso immobile secondo contratti succedentesi nel tempo, anche per via di rinnovazione); di “determinazione differenziata” del canone (correlativamente a periodi compresi nella durata del medesimo rapporto contrattuale) e di “aggiornamento” del canone (in dipendenza della perdita del potere di acquisto della moneta verificatasi durante la pendenza del medesimo rapporto contrattuale).

Sotto il profilo storico – invitava a rilevare la Corte di legittimita’ – giova ricordare che la larga diffusione assunta, nella pratica del commercio delle locazioni in tempi di crescente inflazione, dalle clausole di adeguamento dei canoni (cosi’ dette clausole Istat), costrinse il legislatore a occuparsene a salvaguardia del regime di blocco dei canoni stessi, allora vigente (cfr. Decreto Legge 24 luglio 1973, n. 426, articolo 1).

Ma gia’ con riferimento alla legislazione vincolistica, la giurisprudenza di questa Corte non manco’ di segnalare la non confondibilita’ – concettuale e di regolamento normativo – tra clausole di adeguamento Istat e patti di aumento del canone: in quanto “l’aumento’ implica un accrescimento non solo dell’espressione monetaria ma anche del valore reale del corrispettivo, dovuto dal conduttore, mentre l’adeguamento” importa soltanto una variazione della quantita’ monetaria, fermo rimanendo il suo valore effettivo (cfr. tra le altre Cass. n. 6574 e n. 4958 del 1979 e, segnatamente, Cass. n. 2758 del 1976).

Successivamente, introdotta con la L. n. 392 del 1978, la predeterminazione legale del livello massimo del canone di locazione per gli immobili adibiti ad uso abitativo, secondo parametri oggettivi, rimase viva l’esigenza di salvaguardare l’equilibrio economico effettivo tra prestazione e controprestazione a fronte nella sopravvenienza, in pendenza del rapporto a durata vincolata, di elementi influenti su detto equilibrio, e si ebbe cura di distinguere “l’aggiornamento” (articolo 24) da l'”adeguamento” del canone (articolo 25) a seconda che il mutamento avesse inciso sul potere di acquisto della moneta, e cioe’ sul valore reale della prestazione del conduttore, oppure su parametri e coefficienti correttivi ex articoli 13 e 15, e cioe’ sul valore reale della prestazione del locatore.

In materia di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, meno pressante si profila l’esigenza di disciplinare “l’aggiornamento” del canone – vale a dire la validita’ o meno delle c.d. clausole Istat – una volta rimessa all’incontro della libera volonta’ delle parti, secondo le leggi di mercato, la determinazione convenzionale del canone.

Ma sia per amore di simmetria, sia in considerazione dei problemi connaturati alla notevole durata del rapporto locatizio, venne introdotto l’articolo 32 – poi sostituito dalla L. n. 118 del 1985, articolo 1, comma 9 sexies, di portata assai piu’ liberale.

Quale che fosse il grado della sua pratica realizzabilita’, la finalita’ perseguita dalla citata norma, nell’originaria e nella novellata formulazione, sembra potersi individuare in quella di dissuadere i contraenti da una spesso arbitraria previsione a lungo termine circa la flessione del potere di acquisto della moneta nell’arco dell’intera durata del rapporto, neutralizzandone in partenza gli effetti futuri attraverso una lievitazione del livello del corrispettivo preteso per concedere il godimento dell’immobile (ma cosi’ anticipando all’attualita’ l’incidenza negativa sul costo medio della vita di un evento temuto quale l’inflazione nel futuro); dissuasione suggerita concedendo alle parti di convenire (contestualmente alla stipulazione del contratto o successivamente) la variazione del canone secondo una percentuale ancorata all’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

Si resta comunque e sempre nel campo del vero e proprio “aggiornamento” del canone che, con costante precisione terminologica, il legislatore utilizza per individuare il fenomeno del mantenimento (almeno tendenziale) del valore reale della prestazione del conduttore – incidente sull’equilibrio del sinallagma nonostante la variabilita’ della sua espressione monetaria in dipendenza della flessione nel tempo del potere di acquisto della lira.

Questa revisione riequilibratrice, e i limiti della sua operativita’, nulla hanno a vedere con il diverso campo dell’incondizionata facolta’ per le parti, secondo la loro libera valutazione espressa al momento della stipulazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo, di assicurare al locatore un corrispettivo maggiore, in termini di valore reale e non nominalistica, rispetto a quello goduto in occasione di un precedente rapporto contrattuale (e cioe’ un aumento del canone in senso proprio); oppure di assicurare al locatore un corrispettivo crescente – sempre in termini di valore reale – durante l’arco di svolgimento dello stesso rapporto, sia prevedendo il pagamento di rate quantitativamente differenziate, sia prevedendo il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali piu’ brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, in difetto dell’incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull’equilibrio economico del sinallagma (ipotesi di canone differenziato).

E’ invero di agevole intuizione che il valore locativo dello stesso immobile urbano adibito ad uso commerciale possa – data la non breve e non riducibile durata legale minima del rapporto locatizio – subire variazione in dipendenza dello sviluppo urbano, della dotazione di maggiori servizi nella zona, della concentrazione di immobili destinabili ad uso concorrenziale, o di altri infiniti fattori estrinseci.

Di essi non puo’ essere interdetto ai contraenti di tenere il debito conto ai fini dell’accordo sul corrispettivo, nel senso di rendere compartecipe il locatore dell’incremento nel tempo della redditivita’ da posizione dell’immobile locato, attraverso meccanismi o formule di accrescimento del valore reale del canone ancorati a parametri certi e determinati (non escluso quello rappresentato dal volume degli affari del commerciante conduttore).

Controindicazioni a quanto ora affermato non possono essere desunte dall’articolo 32; e cio’, non tanto perche’ nel testo originario di quella norma la previsione che il canone fosse dovuto secondo “misure” (al plurale) contrattualmente stabilite lasciasse sottintendere che le misure stesse fossero anche differenziate nel loro importo; quanto e soprattutto perche’ il principio generale e immanente della libera determinazione convenzionale del canone locatizio (per immobili destinati ad uso non abitativo) soffre, attraverso quella disposizione, di una deroga eccezionale limitatamente alla valenza delle clausole di aggiornamento per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta, o clausole Istat, la quale mai potrebbe essere estesa, per via di interpretazione analogica, al di fuori del predetto settore e con riferimento ad altre clausole contrattuali volte a incrementare – giusta la comune intenzione delle parti – il valore reale del corrispettivo per diverse e successive frazioni di durata del medesimo rapporto.

Precisato cio’, non puo’ peraltro essere elusa la considerazione che, ragionando in termini di realismo economico, un accrescimento del valore effettivo del corrispettivo mai potrebbe essere conseguito dal locatore se non previa depurazione dal suo importo monetario di una quota corrispondente alla compensazione del decremento, nel tempo, del potere di acquisto della moneta.

Si pone pertanto, in sede di interpretazione del contratto, il problema di stabilire se mediante la formula adottata a determinazioni di canoni differenziati e crescenti per frazioni di tempo, le parti abbiano in realta’ perseguito lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti negativi della svalutazione monetaria (con eventuale surrettizia elusione, sanzionabile ai sensi dell’articolo 79, dei limiti quantitativi posti dall’articolo 32, in esame) oppure abbiano di comune accordo inteso riconoscere al locatore, in misura dinamica, una maggiore fruttuosita’ in termini reali del ceduto godimento dell’immobile.

Ma trattasi di problema di accertamento della volonta’ delle parti contraenti e dello scopo comune verso cui esse dirigono, affidato al potere discrezionale del giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimita’ se non sotto il profilo dell’inadeguatezza della motivazione o della violazione delle regole di ermeneutica.

15.5. Questo essendo il piano della lineare argomentazione della Corte di cassazione (Sez. 3, Sentenza n. 6695 del 03/08/1987, cit.), la sentenza de qua trovo’ una corrispettiva segnalazione nella massimazione, da parte dell’Ufficio competente, del seguente principio di diritto (Rv. 454914): “Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, ancorandola ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale, del tutto indipendenti dalle variazioni annue del potere di acquisto della lira (nella specie, con riguardo alla locazione di un immobile ad uso di sala cinematografica, al costo unitario del biglietto d’ingresso ed al numero dei biglietti venduti annualmente), salvo che risulti – a seguito di un accertamento di fatto devoluto esclusivamente al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimita’ ove congruamente motivato – che le parti abbiano in realta’ perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 32, (nella formulazione originaria ed in quella novellata dalla L. n. 118 del 1985, articolo 1, comma 9 sexies) ed incorrendo cosi’ nella sanzione di nullita’ prevista dal successivo articolo 79, primo comma, della stessa legge”.

15.6. Converra’ segnalare come il riferimento, risultante dalla massima appena trascritta, al c.d. ancoramento della pattuizione del canone ad “elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale, del tutto indipendenti dalle variazioni annue del potere di acquisto della lira” sembrerebbe indurre (come, in effetti, ha talora indotto) una lettura del principio sancito dalla Corte nel senso che, in tanto la liberta’ di determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo potra’ esprimersi nella previsione di un canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, in quanto le parti abbiano cura di ancorare la misura del canone “ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale, del tutto indipendenti dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta” (salvo poi che non risulti che le parti “abbiano in realta’ perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 32).

In breve, assecondando questa (errata) lettura della massima, si arriverebbe alla conclusione secondo cui le parti di un contratto di locazione a uso diverso da abitazione, la’ dove vogliano liberamente determinare l’entita’ del canone in misure differenziate e crescenti per frazioni di tempo, avrebbero l’onere (anche in termini probatori) di allegare necessariamente l’avvenuto ancoramento degli aumenti del canone ai richiamati “elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale, del tutto indipendenti dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta”.

Tale preliminare condizionamento dell’autonomia contrattuale, tuttavia, non appare desumibile da nessuno dei passaggi argomentativi della sentenza richiamata, avendo la Corte viceversa affermato la piena e incondizionata liberta’ delle parti di assicurare al locatore un corrispettivo crescente – sempre in termini di valore reale – durante l’arco di svolgimento dello stesso rapporto, sia prevedendo il pagamento di rate quantitativamente differenziate, sia prevedendo il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali piu’ brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia prevedendo l’ancoraggio del canone a elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei contraenti, sull’equilibrio economico del sinallagma (ipotesi di canone differenziato).

In breve, secondo la Corte, la’ dove non emergano elementi o fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull’equilibrio economico del sinallagma, tali da consentire l’ancoramento automatico ad essi della misura dell’aumento del canone al fine di mantenere costante l’equilibrio economico del sinallagma voluto dai contraenti (come peraltro accaduto nella fattispecie concretamente affrontata dalla Corte, la’ dove le parti avevano vincolato, la misura del canone di locazione di una sala cinematografica, al costo unitario del biglietto d’ingresso e al numero dei biglietti venduti annualmente), le parti conservano in ogni caso la liberta’ di assicurare al locatore un corrispettivo crescente – sempre in termini di valore reale – durante l’arco di svolgimento dello stesso rapporto, sia prevedendo il pagamento di rate quantitativamente differenziate, sia prevedendo il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali piu’ brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; e cio’, salvo che le stesse parti non abbiano in realta’ perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 32.

Dunque, diversamente da quanto potrebbe equivocarsi dalla lettura della massima riportata (Rv. 454914), la Corte – lungi dall’imporre ai contraenti l’onere preliminare (anche in termini probatori) di allegare necessariamente l’avvenuto ancoramento degli aumenti del canone ai richiamati “elementi predeterminati e idonei” ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale, del tutto indipendenti dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta – ha piuttosto riaffermato il contrario principio della piena e incondizionata liberta’ delle parti di assicurare al locatore un corrispettivo crescente sempre in termini di valore reale – durante l’arco di svolgimento dello stesso rapporto (cio’ che costituisce la regola); e cio’, salvo che le stesse parti non abbiano in realta’ perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria (cio’ che costituisce l’eccezione): in tal caso, costituisce onere del conduttore (che invoca l’eventuale nullita’ del patto per violazione del combinato disposto della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 75) allegare gli elementi, eventualmente desumibili dal testo del contratto o da elementi extratestuali, idonei a rivelare l’effettivo intento delle parti di eludere il divieto di cui agli articoli 32 e 75 citt..

In difetto di una simile allegazione – o della prova dell’intento elusivo delle parti – il patto di determinazione differenziata del canone per frazioni di tempo successive deve ritenersi comunque valido.

15.7. E’ appena il caso di rilevare come nessuna incidenza spiega, ai fini della risoluzione della questione in esame, l’analisi delle pronunce in forza delle quali “In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da abitazione, ogni pattuizione avente ad oggetto, non gia’ l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi della L. n. 392 del 1978, articolo 32, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex articolo 79, comma 1, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone piu’ elevato rispetto a quello previsto dalla norma, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunziare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti. Il diritto del conduttore a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto (corrispondente a quello pattuito, maggiorato degli aumenti c.d. Istat, se previsti) sorge nel momento della conclusione del contratto, persiste durante l’intero corso del rapporto e puo’ essere fatto valere, in virtu’ di espressa disposizione di legge, dopo la riconsegna dell’immobile, entro il termine di decadenza di sei mesi (Sez. 3, Sentenza n. 2932 del 07/02/2008, Rv. 601329, cit., cui corrispondono Sez. 3, Sentenza n. 24433 del 19/11/2009, Rv. 610334; Sez. 3, Sentenza n. 13826 del 09/06/2010, Rv. 613271, ma anche Sez. 3, Sentenza n. 2902 del 09/02/2007, Rv. 595536; Sez. 3, Sentenza n. 2961 del 07/02/2013, Rv. 625373; Sez. 3, Sentenza n. 8410 del 11/04/2006, Rv. 591347).

In relazione a tali pronunce, converra’ infatti tener conto della circostanza per cui i principi di diritto formulati risultano tratti da decisioni emesse in relazione a fattispecie concrete in cui si e’ trattato di “aumenti di canoni in senso proprio” (ossia di aumenti di canoni di locazione dello stesso immobile, in corso di rapporto, secondo contratti succedentesi nel tempo, anche per via di rinnovazione), e non gia’ di iniziali “predeterminazioni differenziate” del canone (correlativamente a periodi compresi nella durata del medesimo rapporto contrattuale).

In particolare, Sez. 3, Sentenza n. 2932 del 07/02/2008, Rv. 601329 – largamente richiamata in altri arresti successivi – evoca espressamente in motivazione il punto concernente l’avvenuto superamento della questione relativa alla liceita’ del patto di maggiorazione del canone convenuto – non gia’ inizialmente, una volta per tutte (secondo l’ipotesi della predeterminazione differenziata per frazioni tempo), bensi’ – nel corso del rapporto (secondo l’ipotesi dell’aumento in senso proprio): aumento in senso proprio ritenuto legittimo da Sez. 3, Sentenza n. 11402 del 19/11/1993 (Rv. 484377) e in seguito illegittimo da Sez. 3, Sentenza n. 10286 del 27/07/2001 (Rv. 548558) che (consapevole del contrasto) incidentalmente sostiene la Irrinunciabilita” del “diritto di non corrispondere aumenti non dovuti” nel corso del rapporto, come si desumerebbe dal principio della reclamabilita’ di quanto indebitamente corrisposto solo successivamente alla riconsegna dell’immobile.

Cio’ posto, trattandosi di fattispecie estranee a quella qui in esame (relativa, occorre ripetere, alla sola ipotesi della “predeterminazione differenziata” del canone per frazioni di tempo nell’arco del medesimo rapporto), le stesse appaiono tali da non incidere in alcun modo sul discorso che si conduce.

15.8. Questo collegio – nel ritenere che il riferimento (talora contenuto in talune decisioni della Corte di cassazione) al significato “condizionante” (in senso, per cosi’ dire, “sospensivo” del pieno esercizio della liberta’ contrattuale) dei c.d. “elementi predeterminati e idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale, del tutto indipendenti dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta” sia da ascrivere a un’incongrua e impropria trasmissione della corretta e lineare ratio interpretativa originariamente fatta propria da Sez. 3, Sentenza n. 6695 del 03/08/1987 (come in precedenza descritta) all’insegnamento di tale ultimo arresto intende tornare a riferirsi, si’ come lettura piu’ corretta e coerente del testo legislativo oggetto d’esame; intendendo altresi’ allo stesso insegnamento assicurare continuita’, attraverso l’affermazione dei seguenti principi di diritto:

“Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita l’iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto; e cio’, sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali piu’ brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia correlando l’entita’ del canone all’incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull’equilibrio economico del sinallagma.

La legittimita’ di tale clausola dev’essere peraltro esclusa la’ dove risulti – dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullita’ della clausola – che le parti abbiano in realta’ perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 32, (nella formulazione originaria ed in quella novellata dalla L. n. 118 del 1985, articolo 1, comma 9 sexies), cosi’ incorrendo nella sanzione di nullita’ prevista dal successivo articolo 79, comma 1, della stessa legge”.

15.9. Nel caso di specie, avendo la corte territoriale testualmente escluso il ricorso di alcuna volonta’ delle parti destinata a eludere i limiti normativamente imposti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 32, (in ogni caso ne’ allegata, ne’ comprovata dall’odierna societa’ ricorrente), dev’essere altresi’ escluso il ricorso di alcuna violazione o falsa applicazione di norme di diritto da parte della stessa (tanto sul punto relativo alla validita’ del patto di “predeterminazione differenziata” del canone per frazioni di tempo nell’arco del medesimo rapporto, quanto in relazione alla corretta distribuzione degli oneri di allegazione probatoria tra le parti in conflitto circa eventuali finalita’ elusive delle stesse), cosi’ come il ricorso di alcun rilevante omesso esame di fatti decisivi controversi, con il conseguente rilievo della radicale infondatezza di ciascuno dei motivi d’impugnazione oggetto dell’odierna analisi.

16. L’unico motivo del ricorso incidentale e’ inammissibile.

Osserva il collegio come, attraverso l’argomentazione critica articolata dal ricorrente incidentale, quest’ultimo si sia inammissibilmente spinto a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimita’, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, precluso a questo giudice di legittimita’.

Deve qui, infatti, ribadirsi il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita’, non gia’ il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709).

Nella specie, la Corte d’appello di Bologna ha espressamente sottolineato come il complesso degli elementi di prova acquisiti nel corso del giudizio avesse evidenziato il ricorso dei presupposti per il riconoscimento di una manifesta tolleranza del locatore rispetto ai molteplici ritardi in cui la societa’ conduttrice era gia’ ripetutamente incorsa nel corso del rapporto nel pagamento dei canoni di locazione: tolleranza di fatto ritenuta, dai giudici d’appello, idonea a giustificare la rinuncia del locatore ad avvalersi della clausola risolutiva espressa originariamente convenuta tra le parti, al punto da ingenerare l’obiettivo corrispondente convincimento della societa’ debitrice, con la conseguente necessita’ di procedere alla valutazione nel merito dell’importanza dell’inadempimento della societa’ debitrice (ai sensi dell’articolo 1455 c.c.): importanza nella specie recisamente esclusa dalla corte territoriale, sulla base delle argomentazioni di merito diffusamente esposte nella motivazione della sentenza impugnata.

Si tratta di considerazioni che il giudice d’appello ha elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di coerenza logico-formale dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dalla ricorrente; censure, peraltro, inammissibilmente inclini a dissentire rispetto all’interpretazione nel merito del rapporto intercorso tra le parti e non gia’ all’eventuale erronea ricognizione del significato delle norme di legge – e dunque delle fattispecie astratte – asseritamente violate.

17. Le argomentazioni che precedono impongono la pronuncia del rigetto del ricorso principale e la dichiarazione d’inammissibilita’ del ricorso incidentale.

La reciproca soccombenza delle parti giustifica l’integrale compensazione tra le stesse delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita’.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell’stesso articolo 13, articolo 1 bis

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *