Corte di Cassazione, sezione III civile, ordinanza 31 luglio 2017, n. 18954

La responsabilita’ per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’articolo 2043 c.c., e non dalle regole di cui all’articolo 2052 c.c.; non e’ quindi possibile riconoscere una siffatta responsabilita’ semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello piu’ specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, occorrendo la puntuale allegazione e la prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, e della riconducibilita’ dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalita’ omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria (ad esempio perche’ vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e cio’ nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura).

 

Ordinanza 31 luglio 2017, n. 18954
Data udienza 23 maggio 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 27011 dell’anno 2014, proposto da:

COMUNE DI (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco in carica, legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

AZIENDA SANITARIA LOCALE – A.S.L. (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore Generale, legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso, giusta procura allegata al controricorso, dall’avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrente –

e

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));

(OMISSIS) S.p.A. (P.I.: (OMISSIS)), in persona legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Lecce n. 2842/2014, depositata in data 9 luglio 2014, e notificata in data 28 luglio 2014;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 23 maggio 2017 dal consigliere Augusto Tatangelo.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ha agito in giudizio nei confronti del Comune di (OMISSIS) e della ASL di (OMISSIS) per ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla propria autovettura in occasione di un incidente avvenuto in data 13 settembre 2009, a suo dire causato da un cane randagio che aveva improvvisamente attraversato la strada. Il comune ha chiamato in causa la propria assicuratrice della responsabilita’ civile, (OMISSIS) S.p.A..

La domanda e’ stata rigettata dal Giudice di Pace di (OMISSIS). Il Tribunale di Lecce in riforma della decisione di primo grado, riconosciuta la esclusiva responsabilita’ del comune, lo ha condannato a risarcire all’attore il danno, liquidato in Euro 1.156,07, mentre ha rigettato (oltre alla domanda dell’attore nei confronti della ASL) la domanda di manleva avanzata dal comune stesso nei confronti della sua assicuratrice.

Ricorre il comune di (OMISSIS), sulla base di sei motivi.

Resiste con controricorso la ASL di (OMISSIS).

Non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede gli altri intimati.

Il ricorso e’ stato trattato in camera di consiglio, in applicazione dell’articolo 375 c.p.c., e articolo 380 bis c.p.c., comma 1.

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione dell’articolo 2 Codice della Strada. Omessa valutazione su punti decisivi della controversia. Difetto di legittimazione passiva del Comune di (OMISSIS)”.

Il motivo e’ inammissibile.

Esso non coglie la ratio decidendi della pronunzia impugnata, che e’ fondata sulla responsabilita’ per colpa omissiva dell’ente preposto al controllo del fenomeno del randagismo sul territorio (ai sensi dell’articolo 2043 c.c.) e non su quella oggettiva derivante dalla proprieta’ della strada (ai sensi dell’articolo 2051 c.c.).

Nella sentenza impugnata e’ inoltre espressamente affermato che la strada provinciale dove era avvenuto l’incidente rientrava senza dubbio “nella competenza del comune di (OMISSIS)”, sia in base alla “visura depositata da parte appellante” che “non consente di nutrire alcun dubbio al riguardo”, sia per la mancata contestazione del fatto in primo grado da parte del comune.

Ed il comune ricorrente non richiama specificamente (e tanto meno trascrive) il contenuto dei propri atti processuali, nella parte in cui vi sarebbe la suddetta contestazione, esclusa dal giudice di appello.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione della Legge Regionale Puglia n. 12 del 1995, articoli 2, 3, 6, 8 e 9. Omessa e/o insufficiente valutazione di punti decisivi della controversia. Motivazione illogica e contraddittoria. Violazione di principi di diritto regolatori la materia”.

Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione della Legge Regionale Puglia n. 12 del 1995, articoli 2 e 6. Violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 2043 e 2051 c.c.. Omessa e/o insufficiente valutazione di punti decisivi della controversia. Motivazione illogica e contraddittoria. Violazione di principi di diritto regolatori la materia”.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati, per quanto di ragione.

Occorre preliminarmente chiarire che la responsabilita’ per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’articolo 2043 c.c., e non dalle regole di cui all’articolo 2052 c.c., che non sono applicabili – cosi’ come pacificamente si ritiene per l’analoga fattispecie dei danni causati dagli animali selvatici (ex plurimis: Cass. 25 novembre 2005 n. 24895; 24 aprile 2014 n. 9276; 10 novembre 2015 n. 22886) – in considerazione della natura stessa di detti animali e dell’impossibilita’ di ritenere sussistente un rapporto di proprieta’ o di uso in relazione ad essi, da parte degli enti pubblici preposti alla gestione del fenomeno del randagismo (del che non pare dubitare in realta’ neanche il giudice del merito).

Ai fini dell’affermazione della responsabilita’ di tali enti occorre di conseguenza la precisa individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile agli stessi.

Cio’ implica che non e’ possibile riconoscere una siffatta responsabilita’ semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui la normativa nazionale e regionale affida in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello piu’ specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, in mancanza della puntuale allegazione e della prova, il cui onere certamente spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, della condotta obbligatoria esigibile dall’ente e nella specie omessa, e della riconducibilita’ dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalita’ omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria.

Cio’ equivale a dire che, applicandosi i principi generali in tema di responsabilita’ per colpa di cui all’articolo 2043 c.c., non e’ sufficiente – per affermarne la responsabilita’ in caso di danni provocati da un animale randagio – individuare semplicemente l’ente preposto alla cattura dei randagi ed alla custodia degli stessi, non essendo materialmente esigibile anche in considerazione della possibilita’ di spostamento di tali animali – un controllo del territorio cosi’ penetrante e diffuso, ed uno svolgimento dell’attivita’ di cattura cosi’ puntuale e tempestiva da impedire del tutto che possano comunque trovarsi sul territorio in un determinato momento degli animali randagi.

Occorre dunque che sia specificamente allegato e provato dall’attore che, nel caso di specie, la cattura e la custodia dello specifico animale randagio che ha provocato il danno era nella specie possibile ed esigibile, e che l’omissione di esse sia derivata da un comportamento colposo dell’ente preposto (ad esempio perche’ vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e cio’ nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura).

Diversamente, si finirebbe per applicare ad una fattispecie certamente regolata dalla fattispecie generale della responsabilita’ ordinaria per colpa di cui all’articolo 2043 c.c., principi analoghi o addirittura piu’ rigorosi di quelli previsti per le ipotesi di responsabilita’ oggettiva da custodia di cui agli articoli 2051, 2052 e 2053 c.c..

Nella specie, l’accertamento della specifica condotta colposa omissiva del comune e del rapporto di causalita’ tra la suddetta condotta colposa omissiva e l’evento dannoso non risulta affatto operato dal giudice del merito, il quale si e’ limitato ad affermare che il comune aveva l’obbligo di vigilare sul territorio e a prendere atto della circostanza che i testimoni avevano riferito di avere notato il cane “nella zona” nei giorni precedenti, ma senza accertare che vi fossero state specifiche segnalazioni al comune in relazione alla presenza dell’animale nel territorio comunale, di modo che quest’ultimo potesse richiedere l’intervento del servizio di cattura da parte della ASL.

Dunque, l’articolo 2043 c.c., deve ritenersi falsamente applicato, essendo stata affermata la responsabilita’ del comune senza l’accertamento di una sua specifica condotta colposa omissiva in rapporto di causalita’ con l’evento dannoso.

La sentenza impugnata va pertanto cassata, di modo che in sede di rinvio possa procedersi a tale accertamento, in applicazione del seguente principio di diritto:

“la responsabilita’ per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’articolo 2043 c.c., e non dalle regole di cui all’articolo 2052 c.c.; non e’ quindi possibile riconoscere una siffatta responsabilita’ semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello piu’ specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, occorrendo la puntuale allegazione e la prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, e della riconducibilita’ dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalita’ omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria (ad esempio perche’ vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e cio’ nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura)”.

3. Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c.. Omessa e/o insufficiente valutazione di punti decisivi della controversia. Motivazione illogica e contraddittoria. Violazione di principi di diritto regolatori la materia”.

Il motivo e’ inammissibile.

Con esso vengono nella sostanza contestati accertamenti di fatto incensurabilmente operati dal giudice di merito sulla base dell’esame dei fatti storici rilevanti e della prudente valutazione del materiale istruttorio, il che non e’ consentito in sede di legittimita’, e vengono denunziati vizi di motivazione non piu’ previsti come ammissibili profili di ricorso per cassazione ai sensi dell’attuale formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile nella specie in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata.

4. Con il quinto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli articoli 319 e 320 c.p.c.. Violazione dei principi regolatori la materia”.

Il motivo e’ infondato.

La questione dell’esclusione dell’operativita’ della polizza assicurativa per i danni derivanti da circolazione in strade pubbliche costituisce mera difesa e non eccezione in senso stretto, diversamente da quanto sostenuto dal comune ricorrente, come del resto correttamente osservato dal tribunale.

5. Con il sesto motivo si denunzia “Violazione degli articoli 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1367, 1368, 1369, 1370 e 1371 c.c.. Violazione dell’articolo 13 delle condizioni di polizza. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui all’articolo 16, lettera a), delle condizioni generali di polizza e articolo 4, lettera D) delle condizioni particolari. Falsa applicazione dell’articolo 16 delle condizioni di polizza. Motivazione illogica e contraddittoria”.

Il motivo e’ fondato.

Per quanto fin qui osservato, e’ evidente che la fattispecie di responsabilita’ in base alla quale e’ chiamato a rispondere il comune non e’ quella dei danni derivanti dalla circolazione di veicoli (di cui all’articolo 2054 c.c.), ma quella generale di cui all’articolo 2043 c.c., che deriva da una condotta omissiva colposa in relazione agli obblighi discendenti dalle norme in materia di controllo e gestione del fenomeno del randagismo, e dunque si tratta di danno che non rientra tra quelli esclusi dalla copertura in base all’articolo 16 della polizza assicurativa.

Anche per tale aspetto, dunque, la sentenza impugnata va cassata, non potendosi escludere la copertura assicurativa per l’eventuale responsabilita’ civile del comune, sulla base delle clausole della polizza invocata, e dovendosi quindi in sede di rinvio procedere all’accertamento in concreto, in caso di affermata responsabilita’ del comune, dell’operativita’ della garanzia.

6. Sono accolti il secondo, il terzo ed il sesto motivo del ricorso, rigettati gli altri.

La sentenza impugnata e’ cassata in relazione, con rinvio al Tribunale di Lecce, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il secondo, il terzo ed il sesto motivo di ricorso, rigettando gli altri, e cassa in relazione, con rinvio al Tribunale di Lecce, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

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